Ieri l'altro, lasciando un commento sulla bacheca FB di Mariagrazia, m'è capitato di ricordare quand'ero studente al liceo e poi all'università e andavo a studiare a casa di Marco (Antonio Giamminola, per tutti Marco). Lo voglio scrivere anche qui, con più calma. Di quella casa, di quell'appartamento ampio, proprio sopra gli uffici della tessitura di proprietà di famiglia, ricordo l'ospitalità dei genitori di Marco, una coppia già anziana, che suscitava ogni volta in me ammirazione. Ora che ci ripenso, erano esempi limpidi di quella borghesia che di Como costituiva la spina dorsale. La mamma di Marco era una Sant'Elia, se non ricordo male, parente di quell'architetto Antonio Sant'Elia, che con Giuseppe Terragni diede forma e vita al "razionalismo". Era una signora alta e dal viso gentile, che non alzava mai la voce e d'un sorriso buono, come quello del marito, che era di poche parole e spesso trovavo seduto in poltrona, mentre leggeva il giornale. La casa di Marco era ogni giorno meta di figli e parenti, poiché la coppia aveva avuto in dote una prole numerosa. Più dei fratelli, che ho sempre visto di sfuggita, ricordo più di tutti la sorella Vittoria, la mamma di Mariagrazia e anche di Betty e Chicco. Ricordo le porte verniciate di smalto chiaro, i vetri che ricordavano la superficie per grattugiare le mele, i pavimenti di graniglia bianca e nera e l'odore della tessitura, l'odore dei telai che intrecciavano trama ed ordito. Mi sentivo a casa, quando salivo i gradini che portavano all'abitazione ed entravo. Ciò che studiavo l'ho dimenticato, non scorderò mai invece il senso del dovere, la cultura del lavoro e soprattutto la dignità, la compostezza e anche l'affetto privo si smancerie, ma genuino, sincero, che trovavo in quella casa. Per me i Giamminola Sant'Elia sono sempre rimasti una stella polare e un esempio, anche se forse a Marco non l'ho mai detto. Lo faccio adesso e glielo ricorderò la prossima volta che lo vedo, in una delle purtroppo sempre più rare rimpatriate tra compagni di banco al liceo.
Venti righe. Indro Montanelli sosteneva che in venti righe si può raccontare tutto. Bastano tre parole invece per spiegare le ragioni di questo blog: comunicare, in libertà. Per il resto, vale per me ciò che scrisse Jorge Luis Borges, "I miei limiti personali e la mia curiosità lasciano qui la loro testimonianza".
domenica 26 ottobre 2008
giovedì 23 ottobre 2008
Distillati di qualità
Non volevo scrivere questo post, era tardi, ero già a letto (e capita una volta al mese che riesca ad andare a letto quando la mezzanotte non è scoccata), mi aspettava il libro che ho iniziato ieri sera... Ma ci sono cose che quando le hai in testa non stai in pace con te stesso fino a quando non le partorisci. A me succede così, almeno. E allora mi sono alzato, sono sceso di sotto, ho preso il mio computerino, sono risalito, mi sono rimesso a letto, nel frattempo Isabella s'è svegliata, incinghialita e sbuffante ("E' mezzanotte! Non si può dormire, vado di là" m'ha detto). Io le ho risposto: "Ma figurati! Se vuoi di là, nel letto vuoto, ci vado io". Lo faccio sempre questo teatrino, tanto lei non torna mai indietro e così il giorno dopo posso pure borbottare: "Te l'ho detto che andavo io! Non mi hai neanche risposto!" Invece Isabella stasera mi ha risposto. Era già nell'altra stanza ma è tornata indietro e mi ha detto, mentre rimetteva piede a letto: "Va bene, vai di la tu". Così sono qua io, con il mio computerino acceso, nel letto freddo, a ripensare cosa diavolo avevo in mente di tanto urgente da scatenare tutto questo putiferio.
Il diavolo che avevo in mente è questo: qual è la chiave del successo e soprattutto della soddisfazione personale? Prendiamo il giornalismo, un mestiere che molti vorrebbero fare ma pochi riescono (e quei pochi spesso dopo qualche tempo dimenticano quanto lo volevano fare e te li ritrovi come impiegati tristi, a barcamenarsi tra un turno e l'altro). In questi anni ne ho visti passare di principianti e prima di loro sono stato uno della schiera degli aspiranti anch'io. Se tiro una riga, a parte qualche raro esempio di raccomandato o di botta di culo nell'essersi trovato immediatamente nel posto giusto al momento giusto, ce la fanno coloro che hanno una passione tenace e non mollano mai, e fanno tutto con entusiasmo da ragazzino innamorato, dicendo mai di no, se non in casi disperati, e quando lo dicono poi rimediano subito, facendoti capire che è stata un'eccezione di cui si scusano (si scusano anche quando a scusarsi dovrei essere io, che magari li volevo spedire in cima a un monte per scrivere quattro righe in tutto). Certe persone se sono in gamba lo noti subito: sanno cogliere le occasioni al volo e sanno conquistarmi perché in loro rivedo me stesso. Lo scrivo qui, pensando che un giorno mi leggerà mio figlio. Vorrei lasciargli questo biglietto: svegliati, perché se sei sveglio otterrai ciò che desideri, pur se costa sacrificio. Le spintarelle non servono, se non a piazzarti in qualche posto, magari ambito da altri, magari ben ripagato, ma dove ti troverai sempre a disagio. Tutto ciò non l'ho pensato come fulmine a ciel sereno. M'è venuto in mente leggendo il blog della Sketchin di Luca Mascaro, che con un amico carissimo, Francesco "Frenz" Lietti, s'è ritrovato per un "Meetup". Vedendoli lì, nella foto che vedete sopra, a Manno, a due passi da casa mia, questi giovani troppo in gamba per essere raccontati in poche righe di post, tutta questa storia della crisi e della recessione mi è sembrata una banalità e m'è tornato il buon umore, oltre che la fiducia nell'avvenire del mondo. "Questi sì che sono ragazzi svegli, in gamba" ho pensato. Gente che ha idee e non ha paura di confrontarsi, di discutere, di costruire il futuro e non soltanto di subirlo. E ho pensato che persone così non le trovi appena svoltato l'angolo, come i giornalisti in erba che già denotano le qualità che li faranno emergere, anch'essi sono frutto di una selezione naturale, di una distillazione che non avviene per coptazione, bensì per fioritura spontanea e successiva gemmazione, con una sorta di attrazione spontanea indotta dal valore che si riconoscono l'un l'altro. Potevano starsene quieti, a giocare alla loro play station, invece si sono dati appuntamento un giorno d'ottobre, hanno formato un gruppo di lavoro, senza fronzoli, badando alla sostanza. E se si muovono loro, dannato Giorgio - ho pensato - come diavolo fai tu a restartene a letto, a lasciar che la rivelazione che hai avuto possa appassire così, nel torpore del sonno, senza che rimanga scritta a futura memoria tua, di tuo figlio (un giorno) e di tutti quelli che passano dal blog e che magari hanno capito poco o nulla tanto ti sei spiegato male, ma almeno c'hai provato e se non altro conosceranno il perché ora sei qui, in un letto che non è il tuo, ma che nel frattempo è diventato anch'esso caldo e pure se hai tirato tardi sei felice e contento, per quello che hai scritto, per ciò che hai fatto.
Il diavolo che avevo in mente è questo: qual è la chiave del successo e soprattutto della soddisfazione personale? Prendiamo il giornalismo, un mestiere che molti vorrebbero fare ma pochi riescono (e quei pochi spesso dopo qualche tempo dimenticano quanto lo volevano fare e te li ritrovi come impiegati tristi, a barcamenarsi tra un turno e l'altro). In questi anni ne ho visti passare di principianti e prima di loro sono stato uno della schiera degli aspiranti anch'io. Se tiro una riga, a parte qualche raro esempio di raccomandato o di botta di culo nell'essersi trovato immediatamente nel posto giusto al momento giusto, ce la fanno coloro che hanno una passione tenace e non mollano mai, e fanno tutto con entusiasmo da ragazzino innamorato, dicendo mai di no, se non in casi disperati, e quando lo dicono poi rimediano subito, facendoti capire che è stata un'eccezione di cui si scusano (si scusano anche quando a scusarsi dovrei essere io, che magari li volevo spedire in cima a un monte per scrivere quattro righe in tutto). Certe persone se sono in gamba lo noti subito: sanno cogliere le occasioni al volo e sanno conquistarmi perché in loro rivedo me stesso. Lo scrivo qui, pensando che un giorno mi leggerà mio figlio. Vorrei lasciargli questo biglietto: svegliati, perché se sei sveglio otterrai ciò che desideri, pur se costa sacrificio. Le spintarelle non servono, se non a piazzarti in qualche posto, magari ambito da altri, magari ben ripagato, ma dove ti troverai sempre a disagio. Tutto ciò non l'ho pensato come fulmine a ciel sereno. M'è venuto in mente leggendo il blog della Sketchin di Luca Mascaro, che con un amico carissimo, Francesco "Frenz" Lietti, s'è ritrovato per un "Meetup". Vedendoli lì, nella foto che vedete sopra, a Manno, a due passi da casa mia, questi giovani troppo in gamba per essere raccontati in poche righe di post, tutta questa storia della crisi e della recessione mi è sembrata una banalità e m'è tornato il buon umore, oltre che la fiducia nell'avvenire del mondo. "Questi sì che sono ragazzi svegli, in gamba" ho pensato. Gente che ha idee e non ha paura di confrontarsi, di discutere, di costruire il futuro e non soltanto di subirlo. E ho pensato che persone così non le trovi appena svoltato l'angolo, come i giornalisti in erba che già denotano le qualità che li faranno emergere, anch'essi sono frutto di una selezione naturale, di una distillazione che non avviene per coptazione, bensì per fioritura spontanea e successiva gemmazione, con una sorta di attrazione spontanea indotta dal valore che si riconoscono l'un l'altro. Potevano starsene quieti, a giocare alla loro play station, invece si sono dati appuntamento un giorno d'ottobre, hanno formato un gruppo di lavoro, senza fronzoli, badando alla sostanza. E se si muovono loro, dannato Giorgio - ho pensato - come diavolo fai tu a restartene a letto, a lasciar che la rivelazione che hai avuto possa appassire così, nel torpore del sonno, senza che rimanga scritta a futura memoria tua, di tuo figlio (un giorno) e di tutti quelli che passano dal blog e che magari hanno capito poco o nulla tanto ti sei spiegato male, ma almeno c'hai provato e se non altro conosceranno il perché ora sei qui, in un letto che non è il tuo, ma che nel frattempo è diventato anch'esso caldo e pure se hai tirato tardi sei felice e contento, per quello che hai scritto, per ciò che hai fatto.
mercoledì 15 ottobre 2008
Generazioni in bilico
Oggi alla scuola elementare era tempo di incontri tra insegnanti e genitori.
In "prima" tutto tranquillo (anche perché hanno sei anni - Giovanni non ancora compiuti - e le lezioni sono cominciate da un mese), mentre le maestre delle "quarte" (ci va Giorgia) non le hanno mandate a dire, mettendo sul banco degli imputati i genitori. Motivo: bambini troppo maleducati. Fin qui niente di nuovo sul fronte occidentale, anche se sapere che bimbi di 9 anni rispondono male alla maestra già mi fa serrare la mascella, come direbbe il mio amico Maggi per esprimere un cocente arrabbiatura (e la chiamo così per amor di patria). Ciò che invece mi lascia basito, facendomi seriamente preoccupare, è il fatto che alcuni di questi cucciolini amorosi dududù dadadà si rivolgono ai loro compagni provenienti da altre nazioni con simpatiche espressioni tipo: "Rumeno di merda torna al tuo paese". Hanno fatto bene le maestre a dare a questi episodi un nome preciso: razzismo. Ora, io so poco della riforma Gelmini, del ritorno del grembiule azzurro o del cinghiale bianco, del voto in condotta e dell'insegnante unico, però se fosse mia figlia a dire una cosa del genere sarei grato alla maestra se le tirasse un'orecchio lungo un metro....
In "prima" tutto tranquillo (anche perché hanno sei anni - Giovanni non ancora compiuti - e le lezioni sono cominciate da un mese), mentre le maestre delle "quarte" (ci va Giorgia) non le hanno mandate a dire, mettendo sul banco degli imputati i genitori. Motivo: bambini troppo maleducati. Fin qui niente di nuovo sul fronte occidentale, anche se sapere che bimbi di 9 anni rispondono male alla maestra già mi fa serrare la mascella, come direbbe il mio amico Maggi per esprimere un cocente arrabbiatura (e la chiamo così per amor di patria). Ciò che invece mi lascia basito, facendomi seriamente preoccupare, è il fatto che alcuni di questi cucciolini amorosi dududù dadadà si rivolgono ai loro compagni provenienti da altre nazioni con simpatiche espressioni tipo: "Rumeno di merda torna al tuo paese". Hanno fatto bene le maestre a dare a questi episodi un nome preciso: razzismo. Ora, io so poco della riforma Gelmini, del ritorno del grembiule azzurro o del cinghiale bianco, del voto in condotta e dell'insegnante unico, però se fosse mia figlia a dire una cosa del genere sarei grato alla maestra se le tirasse un'orecchio lungo un metro....
Foto by Leonora
martedì 14 ottobre 2008
L'amico è
Ieri sera ho visto su Sky Cinema un film di cui non avevo mai sentito parlare. S'intitola "Reign Over Me", diretto da Mike Binder, con attori bravissimi, tra cui Adam Sandler, Don Cheadle, Jada Pinkett Smith, Liv Tyler, Donald Sutherland, Saffron Burrows (che, detto tra noi, è d'una bellezza che solo a guardarla mi manca il fiato). E' la storia di un uomo (Adam Sandler) che nell'attentato alle Torri Gemelle perde moglie e tre figlie e va fuori di testa, diventa ciò che noi chiamiamo un "disadattato". Di lui si interessa un ex compagno di college (Don Cheadle) e il film, pur nell'alveo delle americanate (che però a me non dispiacciono), è la storia di un'amicizia, la cui grandezza sta nell'assenza di calcolo e non solo di un tornaconto. Mi è piaciuto proprio perché mi ha ricordato il valore di un legame a cui spesso purtroppo lego il mio interesse personale. Per farla breve: io farei quello che ha fatto Don Cheadle? Mi metterei in gioco così? Oppure farei più o meno finta di nulla, me ne laverei quietamente le mani, chiudendomi nella torre d'avorio delle mie certezze, delle mie comodità? La risposta non è scontata e a dire il vero un poco m'inquieta.
Foto by Leonora (che qui si vede anche: delle tre ragazze è la prima a sinistra)
domenica 12 ottobre 2008
Mamma, m'ha preso mano la tecnologia
Stiamo entrando nella recessione, ma a passi di gigante a casa mia avanza la tecnologia. Oggi mio cognato Roberto dopo aver ripulito di tutte le schifezza il mio vecchio pc portatile lo ha installato accanto al nuovo televisore, collegandolo con l'impianto stereo di quando io e Isabella ci siamo sposati e con la rete wire-less posizionata qualche mese fa. Risultato: possiamo finalmente ascoltare cd, vedere dvd e persino guardarci i filmati di You Tube dal divano, in schermo 37 pollici.
Peccato che da qualche settimana il piccolissimo Eee Asus (che mi hanno regalato i mitici colleghi di Etv nei giorni in cui ho cambiato lavoro) è il compagno fedele delle serate libere, assai più del televisore, con Facebook e le mail e il blog e i feeds e tutte le altre diavolerie. E se non accendo quello, posso sempre dare un'occhiata a Internet con il telefonino, sempre wire-less. Non ho Skype, ecco. Lo scrivo perché me lo ha appena chiesto Barbara e mi sono sentito un po' a disagio, come colui che invitato a cena si presenta trasandato (tra l'altro era il Vangelo di oggi, ma lì finiva male, perché colui che senza motivazione si è presentato sprovvisto di abito nuziale ha avuto per compenso solo "lacrime e stridore di denti", mentre Barbara si sarà accontentata di fare spallucce). Vabbé, la faccio finita qua. Tenendo tra le mani il buon vecchio carissimo libro, tutto carta e cartone, che tra poco mi porterò sotto le coperte e non ha bisogno di filo elettrico o batteria.
P.S. La fotografia qui sopra, scattata come tutte le altre da Leonora, c'entra con quello che ho scritto, poiché dà l'idea della tecnologia che non conosce barriere, persino in piscina, ma soprattutto l'ho messa perché è sul suo blog da mesi e mesi e ho sempre cercato l'occasione per pubblicarla senza sembrar soltanto un po' intrigato :-)
venerdì 10 ottobre 2008
"Ti..nan": il valore di in concerto
In redazione c'è febbre da superenalotto. Sarà che avrò preso troppi antibiotici da piccolo, ma non avverto il contagio da gioco, né la smania di ritrovarmi ricco dalla sera alla mattina. Tra l'altro, ora come ora non avrei nemmeno nessuno da cui andare e fare il gesto dell'ombrello o una pernacchia, aggiungendo un bel: "Tiè, state lì voi adesso!"
Parimenti, come lo struzzo cerco di non pensare al terremoto economico che sta accadendo nel mondo e che brucia miliardi su miliardi, compresi probabilmente parte dei miei quattro soldi, messi da parte giorno per giorno con l'unico scopo di non ritrovarsi un domani con le spalle al muro. Forse ne usciremo indenni, forse è solo l'inizio di un tempo gramo. A maggior ragione mi pare opportuno dare valore alle cose che non hanno prezzo. I rapporti personali, l'amicizia ad esempio. Tramite Facebook ho ritrovato persone care e perse di vista da un pezzo (Mariagrazia, Riccardo, Claudio, Valentina, Silvia Cipo, Deborah...), altre che mi sono care ma vedevo di rado e invece adesso tengo nel mirino (David, Elisa, Viviana, Luca...) e altre ancora di cui ignoravo l'esistenza ma che mi sono stati simpatici da subito (Lucia, Barbara, Simone, Natasha, Augusto). Il problema è che sono troppi: centoventidue, un bel numero. Qualche amico, molti conoscenti, qualcuno perfettamente sconosciuto. Ma perché ho iniziato a scrivere di Facebook? Ah sì, ecco: per i rapporti personali, l'unica moneta che non conosce inflazione anche se si continua a battere conio. Compagni di strada che si prendono e si lasciano. A volte i cammini non si incrociano, altre volte le unioni si saldano. E a proposito di amicizia, voglio segnalare un'iniziativa di cui volevo scrivere già una settimana fa, ma che mi ha commosso talmente tanto da lasciarla per qualche giorno nel cassetto. Mio zio Gianni, il fratello di mia mamma, morto a maggio dell'anno scorso, aveva un collega e amico straordinario, Arnaldo Pagani, impiegato di banca e viaggiatore e musicista a tempo guadagnato. Sabato 25 ottobre, al cine teatro Pax di Lurate, per ricordare il suo amico Gianni, Arnaldo ha organizzato un concerto. Musica alla buona, leggera in ogni senso. A commuovermi però, oltre alla sua fotografia sorridente (scattata mentre era in Patagonia, con lo stesso Arnaldo) è stato il titolo. "Ti...nan" ha chiamato quest'idea di revival concerto. "Ti...nan" era l'espressione più usata da mio zio Gianni, "tu...ragazzino" potrei tradurla malamente dal dialetto lombardo. Ecco, in quel "ti...nan" è racchiuso tutto: la gentilezza di un gesto, il senso del ricordo, l'amore limpido per un amico. Un patrimonio che va al di là della morte e la cui cifra non starebbe in nessun mega assegno.
Parimenti, come lo struzzo cerco di non pensare al terremoto economico che sta accadendo nel mondo e che brucia miliardi su miliardi, compresi probabilmente parte dei miei quattro soldi, messi da parte giorno per giorno con l'unico scopo di non ritrovarsi un domani con le spalle al muro. Forse ne usciremo indenni, forse è solo l'inizio di un tempo gramo. A maggior ragione mi pare opportuno dare valore alle cose che non hanno prezzo. I rapporti personali, l'amicizia ad esempio. Tramite Facebook ho ritrovato persone care e perse di vista da un pezzo (Mariagrazia, Riccardo, Claudio, Valentina, Silvia Cipo, Deborah...), altre che mi sono care ma vedevo di rado e invece adesso tengo nel mirino (David, Elisa, Viviana, Luca...) e altre ancora di cui ignoravo l'esistenza ma che mi sono stati simpatici da subito (Lucia, Barbara, Simone, Natasha, Augusto). Il problema è che sono troppi: centoventidue, un bel numero. Qualche amico, molti conoscenti, qualcuno perfettamente sconosciuto. Ma perché ho iniziato a scrivere di Facebook? Ah sì, ecco: per i rapporti personali, l'unica moneta che non conosce inflazione anche se si continua a battere conio. Compagni di strada che si prendono e si lasciano. A volte i cammini non si incrociano, altre volte le unioni si saldano. E a proposito di amicizia, voglio segnalare un'iniziativa di cui volevo scrivere già una settimana fa, ma che mi ha commosso talmente tanto da lasciarla per qualche giorno nel cassetto. Mio zio Gianni, il fratello di mia mamma, morto a maggio dell'anno scorso, aveva un collega e amico straordinario, Arnaldo Pagani, impiegato di banca e viaggiatore e musicista a tempo guadagnato. Sabato 25 ottobre, al cine teatro Pax di Lurate, per ricordare il suo amico Gianni, Arnaldo ha organizzato un concerto. Musica alla buona, leggera in ogni senso. A commuovermi però, oltre alla sua fotografia sorridente (scattata mentre era in Patagonia, con lo stesso Arnaldo) è stato il titolo. "Ti...nan" ha chiamato quest'idea di revival concerto. "Ti...nan" era l'espressione più usata da mio zio Gianni, "tu...ragazzino" potrei tradurla malamente dal dialetto lombardo. Ecco, in quel "ti...nan" è racchiuso tutto: la gentilezza di un gesto, il senso del ricordo, l'amore limpido per un amico. Un patrimonio che va al di là della morte e la cui cifra non starebbe in nessun mega assegno.
Foto by Leonora
mercoledì 1 ottobre 2008
Giusto un anno
Oggi è un giorno speciale: esattamente un anno fa nasceva questo blog. Queste sono le prime parole che scrissi e non le rinnego. In dodici mesi ne sono cambiate di cose e io per primo. Ho perso mio padre, ho cambiato lavoro, ho ritrovato qualche amico, qualche altro l'ho perso. Soprattutto, in rete, ho scoperto un mondo. Un mondo che sarebbe incolore se fosse distante da quello vero. Per fortuna non lo è, perciò ringrazio tutti quanti passano di qua e danno una sbirciatina o addirittura si fermano, leggono. Con il passare del tempo, come ho già scritto, è diventato una sorta di diario, di portolano, e io per primo sono rimasto stupito, poco fa, a rileggere qua e là ciò che che in un anno ho scritto. Gutta cavat lapidem. Lo goccia scava la roccia e tante gocce mi sembrano a ritroso i 152 post di questo blog, nato il primo giorno d'ottobre di un anno fa, quando non mi sentivo né sereno né libero e che trova un senso anche oggi, pur dopo avermi per aspre rive e fonde valli accompagnato... Tanti auguri, per una volta li faccio a me stesso.
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