E' proprio vero che mille teste ragionano meglio di una. O almeno aiutano quell'una sola a ragionare. Non è poco.
Da un paio di settimane sto pensando di dedicare un post ad un aspetto della professione giornaistica che, a mio parere, pregiudica gravemente la qualità complessiva dell'intera categoria.
Voglio scriverlo e circostanziarlo, ma poi aspetto e aspetto e aspetto, finché ieri, nei commenti di un
blog di una
persona che stimo e che leggo sempre, trovo non soltanto uno spunto, ma anche l'occasione già bella e pronta per una riflessione.
Il post è
questo e, nei commenti, lo stesso autore aggiunge:
"Ho citato il passato di Vulpio, perchè è importante ricordare che mentre qualcuno - per anni - ha fatto il giornalista precario, sottopagato o non pagato affatto, nelle redazioni di giornali, giornaletti, televisioni locali e uffici stampa, qualcun altro poteva permettersi il lusso di lavorare sottopagato (si chiama concorrenza sleale), perchè tanto avevano il culo in caldo con lo stipendiuccio del posto fisso. Detto questo, io lavoro in Rai e anche sulle pagine di questo blog ho raccontato episodi poco edificanti. Ma questo non significa che tutta la Rai sia da buttare".
Al che, ho scritto anch'io un commento. Questo.
Caro Alfredo, due cose. Primo: grazie al web, e ai blog, per me la "sconosciuta" Basilicata è diventata una regione da prendere ad esempio. Grazie soprattutto a te, ma anche a Granieri, Francesco Goffredo (neolaureato, da Matera) e tanti altri. Secondo: che tu ce l'abbia con Vulpio (di cui non ho letto molto) posso capirlo, ma sul fatto che abbia cominciato come vigile urbano gli va ascritto ad onore, non a demerito. Tu dici "il culo al caldo", ma non è il culo al caldo lavorare per poco più di mille euro al mese e nel contempo dedicare il proprio tempo libero facendo il giornalista. Non so in Basilicata, ma qui da noi, in Lombardia, un problema della classe giornalistica io lo considero proprio questo: che la selezione premia non già i più bravi, bensì chi può permettersi di fare il precario, sottopagato, per una vita, facendo lo "sguattero" di redazione per anni e anni, finch'é assunto per coptazione/compassione. Ciò non significa che così non vengano assunti giornalisti bravi (se è il tuo caso, quello che descrivevi, significa che i precari bravi prima o poi ce la fanno) ma che elevato a sistema di selezione finisce per essere dannoso e fatale. Con stima, Giorgio
Fin qui la premessa. Per la conclusione non mi dilungo, ribadendo soltanto un concetto: la difesa di una categoria, della qualità di una categoria, passa anche attraverso l'individuazione di meccanismi d'entrata rigorosi e non affidati a variabili negative.
Purtroppo l'iscrizione ad un Ordine professionale, con tanto di esame ("no comment" sulle modalità di tale esame!) e neppure la formazione scolastica universitaria offrono garanzie sufficienti.
Conosco molte persone che hanno cominciato e, pur possedendo talenti e doti, hanno poi rinunciato non potendosi permettere una "aspettativa sine die".
Al contrario - ma non farò nomi, tranquilli - potrei stilare un lungo elenco di persone che pure lavorano, senza avere un decimo delle qualità di chi ha abbandonato a metà strada il cammino.
In un mondo qual è l'attuale, con le possibilità che offre l'informazione "diffusa" e il rischio che la professione giornalistica fatichi a ritagliarsi un ruolo riconosciuto ed autorevole, possiamo permettercelo?
Ecco perché resto convinto che sulle modalità d'ingresso (e di permanenza) nel mondo del lavoro ci sia molto da riflettere e ragionare.