domenica 29 marzo 2009

Ricordando Gigi (e Adolfo)


Gigi Meroni (non quello famoso, l'altro, lo storico usciere del Comune di Como) era un cuor contento e il cielo l'ha aiutato: se l'è portato via in venti giorni appena, neanche quasi il tempo di rendersene conto. Per dieci anni (l'ampia parentesi in cui ho lavorato ad Espansione Tv) non c'è stato giorno in cui non l'abbia incontrato e mi abbia salutato. "Ciao Barda" gridava, mentre passava sulla sua bicicletta Graziella o in piedi, fuori dal Lucernetta, o seduto al primo tavolino fuori dalla porta del bar Rosso, in piazza San Fedele. E io, che odio gli abbreviativi, a lui perdonavo questo accorciare il cognome: una mutilazione d'affetto, la sua. Mi dice Francesco Chillino, collega ed amico, che ogni anno "il Gigi" metteva di tasca sua i soldi (non pochi) che la polisportiva della Città Murata aveva accumulato in debito. Non stento a crederlo. Gigi e sua sorella Cherubina, la Cheru, sono due tra le persone più buone e generose che abbia conosciuto. Mi spiace di non aver saputo ch'era malato, mi spiace non essere andato a trovarlo. Mi resta però di lui assai più di quanto avrei immaginato, anche se senza la sua Graziella, senza il suo "Ciao Barda", senza il suo sorriso e la erre arrotata, il centro storico di Como non sarà più lo stesso. Mi ha commosso ieri, più del funerale, con la chiesa gremita, il feretro messo al centro del cortile di palazzo Cernezzi, in quel municipio di Como dove per anni ha prestato servizio, diventando - come ha scritto oggi Mauro, su L'Ordine - un biglietto da visita che un altro così non puoi neanche immaginarlo. Gigi è morto nel giorno in cui a me, senza saperlo, ho ricordato il mio vecchio direttore, Adolfo Caldarini. Ero sul terrazzo e c'era un sole tiepido, senza un alito di vento, stavo leggendo un racconto di un padre morente e d'un figlio che l'accompagna nell'ultimo tratto del sentiero e m'è tornato in mente lui, ormai malato, gonfio di cortisone eppur così attivo e ottimista come l'ho sempre conosciuto. Erano due persone agli antipodi, Adolfo e Gigi, salvo che per quella cortesia che trasforma in una festa ogni saluto. Quell'angolo di città murata, all'incrocio tra via Vittorio Emanuele e piazza Medaglie d'oro, da giovedì è più vuoto e un po' più poveri siamo anche noi, che invidiamo il cuor contento di Gigi e di Adolfo più del potere o delle ricchezze di qualsiasi altro uomo.

Foto by Leonora

sabato 21 marzo 2009

Uomini d'un altro pianeta


Mi avvicino ai duecento post e sono grato ad ognuno che passa da qui e legge o semplicemente dà una sbirciatina, ogni tanto. Noto, guardando a lato, che aumenta il numero dei lettori che mettono nome e volto accanto al mio. Li ringrazio tutti e undici, uno ad uno. Alcuni li conosco benissimo, altri meno, qualcuno niente affatto. E' pensando a me e a loro e a tutti quelli che leggono o leggeranno queste righe che scrivo. Lo faccio col mestiere con cui compilo un articolo e con lo spirito che si riserva a una lettera da inviare al fratello, all'amico. Esattamente come adesso, che batto le dita sui tasti dell'alfabeto, alla luce fioca e calda di un paralume, mentre tutto attorno è silenzio, ma nell'istante preciso in cui scrivo è come se fossi in compagnia di persone che conosco e ci fosse baccano e rumore di bicchieri e di vino versato. Oggi sono stato al Planetario di Milano. Ho portato Giacomo e Giorgia e Giovanni perché c'ero stato quando ero piccolo e ricordavo ch'era stato bello. Lo è stato ancora. E più di tutto, più della conferenza, più dell'astronomia, più del pur incommensurabile fascino dello spazio infinito, mi ha colpito quel proiettore enorme detto appunto "planetario". Nell'era dei computer, delle immagini virtuali, della grafica digitale, degli effetti speciali, è arduo stupirsi. Lo faccio se penso a quegli uomini che poco meno di cent'anni fa costruirono uno strumento di precisione sofisticato e portentoso, capace di ricreare il movimento degli astri e riprodurlo su una volta a mezza sfera. Lo stesso ingegno che portò Copernico, Keplero, Galileo e ancor prima gli scienziati arabi a scrutare il cielo e fare calcoli e determinare teorie scientifiche che resistono nel tempo. E' lì, al buio, con un mal di collo d'accidente (bello, il planetario, ma scomodo!) che mi sono sentito nello stesso istante grande grande e piccolo piccolo.

Foto by Leonora

venerdì 20 marzo 2009

Impastare parole



Riprendo in mano "Alzaia", di Erri De Luca. E' raro che rilegga un libro: le mie letture sono a immagine e somiglianza del mio vivere, corro e accumulo ripromettendomi di tornare un giorno indietro e di sostare su ciò che in genere sfioro con un dito. Non è così. Non mi fermo, vado avanti, sbuffando come la locomotiva di un vecchio treno, macinando terreno, fino a che non so nemmeno più da dove sono passato, dimenticando ciò che ho visto dal finestrino e colto soltanto un istante, visione veloce, embrione di un desiderio. Sono stato dai miei diciannove anni un divoratore di pagine, onnivoro. Lo sono tuttora. Un paio di giorni fa però, mi sono fermato. D'accordo, fermato è una parola grossa. Diciamo che sono tornato indietro, riprendendo a correre da un punto già sorpassato. "Alzaia" sono pagine d'appunto. Le rileggo volentieri. Mi piace De Luca, perché ha "una testa che impasta sempre parole" e fa diventare letteratura il letterale, non badando soltanto ai rami, al senso ultimo delle parole, bensì al primo significato, alla loro radice. Per associazione d'idee, penso al mio mestiere, a quell'artigianato delle parole che è fare la cronache delle giornate, di ciò che succede in città. Scrivere articoli, raccontare storie. Penso ai tanti ragazzi che vorrebbero farlo per professione e non mi vengono in mente altri consigli di tenere duro, di restare aggrappati a quel desiderio con i denti e con le unghie e non perdere mai la passione di farsi domande e cercare risposte. Il resto è talento e soprattutto metodo: mettere la notizia nelle prime cinque righe; pensare un finale e specialmente un inizio non banale; usare gli aggettivi con parsimonia che sfiora l'esser tirchio; raccontare i fatti e far parlare e le persone, senza perdersi in proprie teorie; rileggere il tutto, frase per frase, con gli occhi della propria madre e domandarsi: "Avrebbe capito?". Se la risposta è sì, non sarà un brutto articolo. Ed è tutto.

Foto by Leonora

martedì 10 marzo 2009

Sette pensieri



Pensieri sparsi, raccolti come in un mazzetto.



  • Giovanni, sei anni, legge le parole in stampatello e mentre lo accompagno a scuola mi regala considerazioni varie. Sabato, ad esempio, mi sono accorto che passavamo accanto a un officina perché lui, tutto serio, mi ha guardato e mi ha detto: "Lì ci sono macchine Fiat". Bravo, gli ho risposto, come quella della nonna. "E quella della mamma. Ulisse Fiat" ha replicato lui, serafico, minuscolo e preciso contabile di lettere maiuscole. Oggi, con lo stesso stile spiccio e asciutto, sempre seduto in punta al sedile posteriore, ha detto: "Via Esse Ambrogio, siamo in via Esse Ambrogio". Non gli ho detto che Esse sta per Santo: il reale può attendere, Ambrogio sarebbe contento così.

  • In questi giorni, al giornale dove lavoro, è stata proclamato lo stato di crisi (situazione seria, non drammatica) e ci sono state due assemblee. Mi piacerebbe raccontare ciò che è stato detto, le dinamiche di gruppo, perché sarebbe istruttivo, ma ci sono regole precise, che assomigliano a quelle di uno spogliatoio di una squadra di calcio: si discute dentro, non fuori. Metto un appunto qua soltanto per dire quanto ci partecipo volentieri e che, a differenza di tutti gli altri, per cui sono abituali, per me - che vengo da un posto dove le assemblee non esistevano - rimangono una sorta di rito laico. Uomini che discutono del loro lavoro, del loro futuro, da pari a pari, senza che nessuno possa dire all'altro: tu taci, che conto più io... In azienda, com'è giusto, ci sono le gerarchie, che permettono di prendere decisioni e portare in edicola un giornale, ma lì, in quell'ora, ora e mezza, tutti hanno pari importanza attorno a un tavolo. Un buon motivo per non sprecare il dono che ci siamo guadagnati, ma che abbiamo anche ricevuto, di un mestiere bello e unico.

  • La Juventus, pochi minuti fa, è stata eliminata dalla Coppa dei campioni. Giacomo, 12 anni, è appena andato a letto e ho sentito che al buio, piangeva, in silenzio. E' un cucciolo e capisco cosa prova, perché per parecchi anni l'ho provato anch'io. Ora ci soffro, ma è un po' diverso. La vita mi ha insegnato, a volte a carezze, a volte a calci, che c'è altro e che uno stile è più importante di una vittoria. La Juventus ha dato tutto ciò che poteva dare e ne sono orgoglioso.

  • Oggi, via mail, mi è arrivato un pensiero riguardante il post precedente a questo. Lo riporto qui, perché sono contento di averlo ricevuto, anche se ometto il nome di chi me lo ha mandato, poiché se avesse voluto renderlo pubblico lo avrebbe semplicemente fatto aggiungendo un commento. Mi ha scritto: "Un pensiero per te. Dalle tue parole alla mia testa, nei miei ricordi. Il valore... Due anni fa ho scoperto in un articolo una frase che ancora è qui tra le mie carte. Più vicina di tante altre cose ormai distanti. Tra la voce e la musica di Malika Ayane con Come Foglie ti scrivo... "Il valore di un uomo dipende anzitutto dalla misura in cui i suoi sentimenti, i suoi pensieri, e le sue azioni contribuiscono allo sviluppo dell'esistenza degli altri individui." Einstein. Parole semplici. Parole a cui credo. Ho pensato che ti potevano interessare. Sono poche, più brevi delle mie. C'è un cielo particolarmente blu stanotte e il vento si è fermato. Una bella notte, sospesa. Ciao".

  • Quattro o cinque giorni fa ho visto un film scritto e diretto da Sean Penn, "Into the Wild". E' la storia vera di Christopher McCandless, giovane proveniente dal West Virginia che subito dopo la laurea abbandona la famiglia e intraprende un lungo viaggio di due anni attraverso gli Stati Uniti, fino a raggiungere le terre sconfinate dell'Alaska. Lo scrivo per una frase degna di nota: "Happiness is real only when shared". La felicità è autentica soltanto se è condivisa.

  • C'è una mamma saggia, a Como, che ha insegnato a un altrettanto saggia figlia una frase che quest'ultima ha regalato a me: "La perfezione è paralisi". Dedicato alle molte persone, compreso il sottoscritto, che hanno paura di prendere il volo.

  • Per me Leonora è un genio e vorrei saper usare io le parole come lei la macchina fotografica e il suo "racconto" a immagini di Londra m'è piaciuto come leggere un libro.

Foto (obviously) by Leonora

martedì 3 marzo 2009

Valore aggiunto


Ieri l'altro Nadia mi ha fatto un regalo. Mi ha inviato un suo libro di poesie ("L'una di lago"). Non solo. In un bel pacchetto giallo ha infilato anche le fotocopie di altre poesie, che attendono stampa e rilegatura. Le sono grato e lo scrivo qua, pubblicamente, poiché le poesie sono sogni e non si affidano sogni a uno sconosciuto.


Purtroppo non posso esserle molto utile, poiché - come le ho scritto - con la prosa distinguo (credo di distinguere) il buono dal gramo, il falso dal vero, mentre la poesia per me è terreno in cui mi muovo incerto, a stento, come cieco in luogo sconosciuto. Vanto poche letture e un numero ristretto di poeti di riferimento. Fino a una decina di anni fa, non esistevano nemmeno. Poi, un giorno, una ragazza venuta in redazione per fare uno stage, mi disse che si era laureata in lettere con una tesi su Clemente Rebora. Non ho più rivisto quella ragazza, ma il giorno successivo comprai l'antologia Mondadori dei poeti italiani del Novecento e da allora altri autori sono entrati dall'uscio. Il mio preferito è Giorgio Caproni, ma anche Antonia Pozzi e Sandro Penna, tra gli italiani. E Neruda, Prevert, Kavavis, Lee Masters, recentemente Baudelaire tra gli stranieri. Poco, troppo poco per aiutare Nadia (Nadia Cavalmoretti) senza esserle d'intralcio.
In redazione, però, con me lavora Pietro Berra, che ne sa più di me. Gli chiederò un parere. Intanto lascio questa traccia, ripromettendomi di tornare sull'argomento di nuovo. E aggiungendo, per Nadia, Luciana (altra innamorata di poesie) e tutti coloro che hanno passione e cuore per la poesia, questi versi di De Luca, che il solito David mi ha fatto scoprire un giorno e che da allora mi accompagnano.


VALORE

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto,
un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato,
due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua,
riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordarsi di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord,
qual'è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo,
la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.


Erri De Luca (da “Opera sull'acqua e altre poesie”, Einaudi, To, 2002


Foto by Leonora