E io, che scrittore non lo sono affatto, ma che in effetti scrivo, in queste settimane il respiro corto l'ho avuto eccome, a immagine e somiglianza del male che stiamo affrontando e che non a caso è terribile proprio perché toglie letteralmente l'aria, manda prima in affanno e poi ti schianta, lasciandoti senza fiato.
Ho scritto nulla, ma letto molto e ascoltato di più.
Mi sono preoccupato (lo sono tuttora, per alcune persone care che in un letto di terapia intensiva stanno resistendo, appese a un filo, o per una deriva da Stato vigilantes, non di diritto, a cui quotidianamente assistiamo).
Ho provato sgomento (per le testimonianze terribili di chi ha convissuto con il virus o da esso è stato sbaragliato).
In qualche caso ho avvertito rabbia (soprattutto per coloro che hanno aggiunto divisione nelle difficoltà e fatto intendere che quanto successo - specialmente qui - non sia una fatalità, bensì una colpa, che ci meritiamo).
Rabbia, preoccupazione, sgomento.
Ci sarà un tempo in cui tutto ciò che si è accumulato fluirà, in cui il groviglio di sensazioni emozioni sentimenti verrà dipanato.
Per ora mi accontento di alzare il capo, di guardare l'orizzonte di nuovo, di tastare con le mani le braccia, il torace, le altre parti del corpo e realizzare di essere vivo, vispo, senza poter annunciare lo scampato pericolo, ma consapevole che l'onda di piena che ha rotto gli argini e travolto tutto, ha esaurito la forza d'urto, rientrando.
Non è molto, lo so. Però è un inizio, il ramoscello d'ulivo nel becco della colomba sull'arca di Noè terminato il diluvio, il segnale che il peggio è passato. Speriamo.
P.S. Non vorrei essere frainteso: le difficoltà non stanno finendo, le difficoltà stanno cambiando. Questo però fa parte dell'esistenza, della continua tensione che accompagna la storia dell'essere umano, come sempre è stato prima, come sempre sarà dopo.