mercoledì 24 febbraio 2016

Attenti al lupo (Ridere senza offendere nessuno)

Foto by Leonora
Il branco non è soltanto quello di lupi, né l'uomo che fa impallidire la bestia e stupra, annichilisce, violenta il debole, l'indifeso. Il branco sono anche persone che restano all'ombra oltre la luce di uno schermo, facendosi forza l'un l'altro, come valanga che diventa greve lungo il pendio.
Un caso lo conosco da vicino: un frammento di trasmissione della televisione in cui lavoro.
Risale a quasi un mese fa, ma è diventato famoso ieri l'altro, dopo essere stato ripreso da una pagina che va per la maggiore in Facebook. L'episodio in sé è simpatico: una ragazza ospite di un programma sportivo di intrattenimento - una sorta di Quelli che il calcio in versione locale - viene invitata dal conduttore a leggere la classifica di serie A e confonde i punti con la posizione.
La gaffe è talmente clamorosa da farci quattro risate e in effetti le fanno, le facciamo anche noi e pure lei, quando glielo fanno notare. Basta però che il taglia e cuci di quell'intervento sia pubblicato sulla pagina di "Calciatori Brutti" e si scatena l'inferno. Non soltanto risate, com'è giusto, ma una pletora sterminata di insulti, di illazioni, di offese, che vanno dalle ipotesi più ardite sul motivo per cui la ragazza è stata invitata in studio alle prefiche sull'assenza in Italia del concetto di merito e via di questo passo, tromboneggiando, spargendo sale e fiele, spalleggiandosi l'un l'altro, in una gara a chi la spara più grossa e si indigna di più e denigra peggio. Con conseguenze e frasi sconclusionate che sarebbero anch'esse divertenti se non contenessero una tale carica di odio da far passare in secondo piano tutto il resto.
Perché lo scrivo qua? Per un motivo spiccio e personalissimo, perché queste pagine al nocciolo hanno un destinatario fisso, cioè i miei figli, chi sta diventando cittadino del mondo. Senza alzare la voce, allora, senza pretendere di essere ascoltato quale oracolo, vorrei che non vestissero mai i panni del fustigatore becero, vorrei che non si confondessero nel gruppo e menassero legnate senza cervello.
E' vero che ho insegnato loro a ridere di tutto, persino dei fatti più tragici, e che preferirei perdere un amico piuttosto che una battuta, ma tra l'ironia o il sarcasmo persino e la clava dell'insulto passa un oceano intero. Affondarci è facile, specialmente in gruppo.
P.S. Ludovica, entrata nell'occhio del ciclone, ha tutta la mia solidarietà. La sua gaffe è assai più innocente e meno grave delle offese e delle inesattezze nei suoi confronti. Volevo dirglielo, anche in pubblico.

venerdì 5 febbraio 2016

Sedici anni (Pane caldo e uva americana)

Foto by Leonora
I tuoi sedici anni, oggi. Vorrei bloccare il tempo, congelarlo come si fa con le provette e l'azoto, per averti sempre così, splendida e splendente, nell'aprile dei tuoi anni, sorridente di quel sorriso in bilico tra l'innocenza che non è più innocenza e la malizia che non è ancora malizia.
Nessun espediente però cattura e intrappola la magia della tua età senza guastarla e alla fine soffocarla, ucciderla. Gusto perciò l'attimo, questo battito d'ali breve ed intensissimo, istante perfetto di felicità, conscio di avere un'immensa fortuna già ad essermene accorto.
Non è accontentarsi, semmai l'opposto: godere pienamente di piccole gioie che porto idealmente al collo, grani perenni di un rosario gaudioso e umanissimo.
Come quando mi infilo nel tuo letto ogni tanto, la sera, e tu hai occhi e dita incollate al cellulare e mi dici sbuffando "Dai, papà!" ma poi porti pazienza e ridi mentre ti canto "Un corpo e un'anima" di Wes e Dori Ghezzi (due che se si presentassero oggi a Sanremo farebbero girare canale a quattro italiani su dieci perché no, gli extracomunitari con le nostre donne non li vogliamo) o "Tornerò"dei Santo California (con i cantanti che avevano senza saperlo il look degli iracheni durante il regime di Saddam Hussein eppure negli anni Settanta spopolavano). E poi canti anche tu e ti fai grattare la schiena, come piaceva a tua nonna che non hai conosciuto. O come quando fai la lotta con Giovanni e gli tiri i cuscini e lui fa versi da maiale sgozzato, che per fortuna non abitiamo in un condominio altrimenti ci avrebbero già denunciato. O ancora quando torni la sera tardi tardi ma sei con Giacomo e senza dirvi una parola vi ascolto congedarvi, ciascuno verso la propria camera, mentre continuo a tenere gli occhi chiusi per cercare il sonno e ringrazio il cielo che siete sani e salvi, al sicuro. Oppure quando abbassi gli occhi, diventati lucidi e con un lacrimone all'angolo, dopo l'ennesima ramanzina di tua madre, perché hai tenuto spento il telefono o hai lasciato disordine dappertutto.
Gesti banalissimi conservati nelle gocce d'ambra della memoria, preziosi più di un gioiello.
Auguri allora, figlia mia. Tu sai quanto poco assomigli la nostra famiglia a quella del Mulino Bianco, eppure grazie a te la mia vita profuma di pane caldo e uva americana ogni giorno.

lunedì 1 febbraio 2016

F di Febbraio (e Fortuna)


Foto by Leonora
Sono un uomo fortunato. Sono un uomo fortunato nel senso che mi rendo conto dei mille doni che ho ricevuto, di quante volte si è aperta la porta giusta e non quella che mi avrebbe fatto arrivare dritto sul grugno un autobus o il treno.
Sono un uomo fortunato, lo ripeto spesso, a dispetto della scaramanzia e del timore atavico che l'invidia altrui possa fare da sgambetto. Un'ostentazione che non odora di superbia, né si fa beffa della precarietà della condizione umana, bensì ha radice nel sentimento di riconoscenza, avendo ricevuto in dote più di quanto mi sia stato tolto.
Semmai, se ho una convinzione irrazionale ma profonda, è quella che fortuna chiami fortuna, che è poi lo stesso motivo per cui mi arrabbio quando un famigliare si lamenta oltre modo, arrivando persino a rinfacciargli la teoria della "profezia che si auto avvera" e di non venire a piangere poi,m che io l'ho avvisato.
Sono un uomo fortunato e alla fortuna debbo tutto, anche se ammetto che in alcune circostanze cruciali - senza scomodare Machiavelli - ho avuto il merito di coglierla al balzo, dimostrando quanto valevo.
Sono un uomo fortunato anche perché da piccolo desideravo un sacco esserlo, specie quando ascoltavo le fiabe sonore, quelle del "A mille ce n'è..." e in particolare il Gatto con gli stivali e I tre capelli d'oro dell'orco. Chiuso nella mia cameretta, mangiadischi alla mano e libro con le figure sotto gli occhi, rimanevo affascinato da colui o colei che nasceva "con la camicia". Nella mia placida e serafica ingenuità davo a questa espressione un significato reale, fisico, e non nutrivo dubbi che davvero qualche bimbo potesse essere così fortunato da nascere vestito di tutto punto. Ricordo pure la delusione quando interrogai mia madre scoprendo che io no, ero nato nudo, come chiunque altro.
Se ci ripenso credo che il seme dell'ambizione nel diventare qualcuno sia maturato in quel momento, dalla consapevolezza di non avere alcunché di speciale e al contempo dal desiderio di non rassegnarsi al destino.