Foto by Leonora |
Lo avesse fatto, fosse rimasto un paio d'ore, d'estate, falce in mano, a liberare dalle piante infestanti una lista di prato o un muro di cinta, avrebbe provato nella sua stessa carne la forma arcuata della spina, che arpiona la pelle dell'avambraccio o di qualsiasi lembo di pelle non coperta e si conficca arpionandola. Per toglierla esistono soltanto due modi: con la forza, a strappo, procurandosi un dolore ancor più acuto di quando nella carne è entrata, oppure - se la spina è una sola, al massimo un paio - ruotandola leggermente, in modo che si stacchi da sé, seguendo il senso d'ingresso.
Non è però dello stupore di fronte a qualsiasi dettaglio presente in natura di cui voglio scrivere, ora. Piuttosto mi incuriosisce l'illusione di forza e al contempo la pochezza unita all'ostinazione del roveto. Esso infatti è rigoglioso e forte e verde, esplode in questa stagione e tutto ammanta e ricopre, all'apparenza inestricabile, arduo da debellare quanto da contenere. Basta tuttavia un poco di attenzione e di destrezza contadina per accorgersi quanto fragile sia, tutto fronde e rami che si inerpicano, ma di sostanza sotto sotto poca o niente, tanto che bastano rari tagli netti alla base per recidere i fusti principali e quel groviglio vegetale subito si inchina, si affloscia, si sgonfia, mantenendo la bruttezza, senza più possanza.
Non è finita. Poiché per averne ragione basta mano ferma e taglio sapiente, ma debellarlo definitivamente è assai più complicato, capace com'è di rigenerarsi da una radice o da un semplice ramo, che da solo si interra e ne crea altri che a loro volta si allungano, incessanti, coprendo tutto ciò che incontrano, armati soltanto di pazienza e di una forza misteriosa il cui nome è vita.
Non è finita. Poiché per averne ragione basta mano ferma e taglio sapiente, ma debellarlo definitivamente è assai più complicato, capace com'è di rigenerarsi da una radice o da un semplice ramo, che da solo si interra e ne crea altri che a loro volta si allungano, incessanti, coprendo tutto ciò che incontrano, armati soltanto di pazienza e di una forza misteriosa il cui nome è vita.
Certi giorni immagino il male che è in me - l'invidia, la disonestà, la debolezza, la cattiveria - proprio simile al roveto: ostinato, pervicace e, se non lo si respinge giorno per giorno, in grado di diventare rigoglioso e ammorbante. Basta però poco per troncarlo: un taglio netto, un'azione decisa, un gesto radicale, uno slancio di bene per districare l'intreccio che ci aggroviglia, soffocando la nostra migliore natura. Una battaglia che ogni volta si può vincere, in una guerra che non finisce mai.
P.S. Dai rovi nascono le more, morbide, dolci, gustose. Perché la natura sa sorprendere, sempre. E forse per insegnarci che anche da ciò che consideriamo male può nascere il bene.