“Non preoccupatevi se sbagliate, perché non è quello che traumatizza i figli. Li traumatizza piuttosto l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia e che basti un filo di vento per portare via tutto”.
Franco Nembrini
Le sabbie mobili. Quante volte, quanti giorni, nella vita, ci sentiamo così, come se affondassimo i piedi in assenza di una base solida su cui appoggiarsi, dove non si trova appiglio.
E la spinta, la mano che ancora trascina più a fondo è il racconto che ci viene fatto di ciò che non va bene, le brutte notizie, le crisi, i delitti, le guerre, le pandemie.
Narrazioni all’ingrosso, ma pure problemi al dettaglio, quelli con cui ci troviamo a convivere, in prima persona, ogni giorno: le crisi famigliari, il senso di solitudine, di smarrimento, la precarietà del lavoro, l’inquietudine dell’oggi, l’ansia per il futuro, l’erosione delle certezze…
Già. Le certezze. Le certezze sono o dovrebbero essere le strutture di palificazione, le fondamenta profonde in grado di sostenere la nostra esistenza al di là o, meglio, al di sopra delle sabbie mobili.
Quali sono allora, quali possono essere le nostre certezze, le sicurezze degli uomini e delle donne oggi?
L’elenco è aperto e personale: si recita a soggetto.
Io, da par mio, per non esagerare, ne indico quante se ne contano sulle dita di una mano.
Primo: la famiglia, le amicizie, le relazioni, i legami umani più stringenti e profondi, quelli con cui stiamo bene, certi di essere accolti, amati, cioè apprezzati al di là e pure al di qua dei nostri difetti. Le persone insomma sulle quali poter contare, che sappiamo “esserci”, in mille circostanze, dalle più serie (una malattia, un debito…) alle più banali (si buca una gomma, devo spostare un divano…).
Secondo: il senso di appartenenza a una comunità (ecco perché le trasformazioni fanno paura, perché ho la sensazione che la comunità in cui vivo non sia più la mia).
Terzo: la consapevolezza di far parte di qualcosa di misterioso, ma non insensato. Per qualcuno è Dio, per altri la natura, l’anima del mondo, la matematica dell’universo… Io dico semplicemente quel qualcosa, quella voce, che ciascuno sente dentro sé, in quel luogo chiamato “coscienza”, l’io, l’interiorità.
Quarto: la convinzione che - sia che tutto risponda a un disegno misterioso, sia che nel nulla cosmico sia immerso il mondo - è la fortuna (il caso) che fa la differenza, per cui tanto vale disporsi di fronte alla realtà con un certo “fatalismo”, imparando sì a ribellarsi all’ingiustizia ma accettando pure che l’ingiusto esista, per cui la canna che si piega al vento è meglio del tronco spezzato al fragore dell’uragano.
Quinto: l’essere umano in fondo aspira al bello, al buono e il male, che pure esiste, non ha mai l’ultima parola, perché anche da esso, sempre, prima o poi, nasce il bene.
A pensarci, non è poco.
P.S. "Non preoccupatevi di sbagliare". Un’affermazione rassicurante, quanto liberatoria. Non per tutti, soltanto per le persone più attente, sensibili, quelle che vanno in crisi facilmente. Per esse aggiungo un’ulteriore “certezza”: la capacità di essere indulgenti, per primi nei confronti di se stessi, accettando fragilità e debolezze, concedendosi tregua, se necessario. Sapersi perdonare, infatti, per uscire dalle sabbie mobili spesso è il primo passo.