venerdì 29 settembre 2023

Cinque certezze (Più una)

“Non preoccupatevi se sbagliate, perché non è quello che traumatizza i figli. Li traumatizza piuttosto l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia e che basti un filo di vento per portare via tutto”.
Franco Nembrini

Le sabbie mobili. Quante volte, quanti giorni, nella vita, ci sentiamo così, come se affondassimo i piedi in assenza di una base solida su cui appoggiarsi, dove non si trova appiglio.
E la spinta, la mano che ancora trascina più a fondo è il racconto che ci viene fatto di ciò che non va bene, le brutte notizie, le crisi, i delitti, le guerre, le pandemie.
Narrazioni all’ingrosso, ma pure problemi al dettaglio, quelli con cui ci troviamo a convivere, in prima persona, ogni giorno: le crisi famigliari, il senso di solitudine, di smarrimento, la precarietà del lavoro, l’inquietudine dell’oggi, l’ansia per il futuro, l’erosione delle certezze…
Già. Le certezze. Le certezze sono o dovrebbero essere le strutture di palificazione, le fondamenta profonde in grado di sostenere la nostra esistenza al di là o, meglio, al di sopra delle sabbie mobili.
Quali sono allora, quali possono essere le nostre certezze, le sicurezze degli uomini e delle donne oggi?
L’elenco è aperto e personale: si recita a soggetto.
Io, da par mio, per non esagerare, ne indico quante se ne contano sulle dita di una mano.
Primo: la famiglia, le amicizie, le relazioni, i legami umani più stringenti e profondi, quelli con cui stiamo bene, certi di essere accolti, amati, cioè apprezzati al di là e pure al di qua dei nostri difetti. Le persone insomma sulle quali poter contare, che sappiamo “esserci”, in mille circostanze, dalle più serie (una malattia, un debito…) alle più banali (si buca una gomma, devo spostare un divano…).
Secondo: il senso di appartenenza a una comunità (ecco perché le trasformazioni fanno paura, perché ho la sensazione che la comunità in cui vivo non sia più la mia).
Terzo: la consapevolezza di far parte di qualcosa di misterioso, ma non insensato. Per qualcuno è Dio, per altri la natura, l’anima del mondo, la matematica dell’universo… Io dico semplicemente quel qualcosa, quella voce, che ciascuno sente dentro sé, in quel luogo chiamato “coscienza”, l’io, l’interiorità.
Quarto: la convinzione che - sia che tutto risponda a un disegno misterioso, sia che nel nulla cosmico sia immerso il mondo - è la fortuna (il caso) che fa la differenza, per cui tanto vale disporsi di fronte alla realtà con un certo “fatalismo”, imparando sì a ribellarsi all’ingiustizia ma accettando pure che l’ingiusto esista, per cui la canna che si piega al vento è meglio del tronco spezzato al fragore dell’uragano.
Quinto: l’essere umano in fondo aspira al bello, al buono e il male, che pure esiste, non ha mai l’ultima parola, perché anche da esso, sempre, prima o poi, nasce il bene.
A pensarci, non è poco.

P.S. "Non preoccupatevi di sbagliare". Un’affermazione rassicurante, quanto liberatoria. Non per tutti, soltanto per le persone più attente, sensibili, quelle che vanno in crisi facilmente. Per esse aggiungo un’ulteriore “certezza”: la capacità di essere indulgenti, per primi nei confronti di se stessi, accettando fragilità e debolezze, concedendosi tregua, se necessario. Sapersi perdonare, infatti, per uscire dalle sabbie mobili spesso è il primo passo.

sabato 23 settembre 2023

Continua per I (Siamo fatti di relazioni)

Incespico in mille pensieri e non faccio un passo, men che meno qui, in quella ch’è la parte migliore di me (anzi, la parte del me migliore, cioè al netto di limiti, vizi, debolezze).
Per scrivere ho bisogno di sponda, la consapevolezza di qualcuno che legga, a cui idealmente rivolgermi, di cui abbia dinnanzi il volto, con cui confrontarmi, dialogare, prendere ago e filo, tendere trama e tessere ordito.
Non è sempre stato così.
C’è stata una lunga stagione nella quale, per ingenuità o ricchezza di spirito, mi risultava facile dire la mia su tutto, riflettere, persino sentenziare.
Da tempo, invece, per evitare chiacchiere vane e costante rumore di fondo, avverto forte la tentazione di ripararmi in un guscio, di fare silenzio, astenermi e al tempo stesso astrarmi, pur se intuisco similmente il pericolo opposto, cioè il disimpegno, l’accidia, l’indifferenza totale, reciproca, il cinismo.
Perciò supplisco mandando messaggi, qualche mail, bussando come a una porta, cogliendo spunto da una foto, una storia, un commento, gli auguri per le feste comandate o il compleanno.
Grazie a chi comprende, a chi risponde, ancor più a chi mi scrive, mi chiama, contatta per primo, in vario modo, accendendo così la scintilla o tenendo viva la fiamma delle relazioni, dimostrando che da soli possiamo essere splendidi punti, ma sono le linee che uniscono a farci prendere forma, identità, disegno.

P.S. "Insieme" non è somma, bensì moltiplicazione. Ne sono convinto, sperimentandolo sulla mia pelle, ogni giorno. E "soli" non si è mai, basta volerlo, educandoci a tendere la mano "per primi" appunto, mai stancandoci di iniziare, ostinandoci a trovare rispondenza, rimbalzo.

sabato 9 settembre 2023

Partorito due volte (Un uomo)

"Gli innocenti non sapevano che quella cosa era impossibile e la fecero".
Mino Martinazzoli

C’è una linea, non d’ombra, lunga due anni e mezzo, che unisce un'alba di gennaio alla notte d’un settembre mite, lieto.
E ci sono due punti, uno di partenza e uno d’arrivo, che brillano nitidi nel mio ricordo.
Il primo è quando sei partito e t’ho abbracciato forte, con il groppo in gola mascherato da un sorriso, sciolto due minuti più tardi, con te oramai dentro l’aeroporto e io in auto, che tornavo da solo (ci trovavamo in piena pandemia, era un salto nell’ignoto e mi consolava unicamente il tuo vederti determinato, curioso, convinto).
Il secondo è ieri l’altro, all’ennesimo tuo ritorno per una breve vacanza, ascoltandoti mentre parlavi calmo, quieto, con le tue solite parole misurate e soppesate, rendendomi conto in un lampo che a ventisei anni sei diventato adulto, un essere umano fatto e finito, maturo.
Nel mezzo, tra questi due poli, un equatore d’esperienze che ti hanno trasformato.
I mesi di addetto alle pulizie, quelli trascorsi come fact totum in un negozio, l’impiego da cameriere nel ristorante gestito da cinesi nel centro di Dublino, le certificazioni di lingua inglese, l’assunzione al servizio tutela minori irlandese, il periodo di prova lungo, reiterato, superato…
E ancora, le decine di conoscenze, i mille incontri, le molte relazioni intrecciate, le amicizie - rare, come hai detto tu, perché l’amicizia è un sentimento profondo - che hai costruito, la girandola di sentimenti provati, gli entusiasmi, le ansie, le preoccupazioni, le delusioni, le incomprensioni, le sorprese, le consapevolezze, le gioie…
Il riassunto, la sintesi, è che a guardarli a ritroso, gli ultimi due anni e mezzo sono una montagna altissima, scalata grazie a due trampoli: la perseveranza e l’incoscienza.
Incoscienza perché due anni fa neppure immaginavi lontanamente la distanza che separava chi eri da ciò che sei diventato. Eri “innocente” appunto, ed è per questo che hai saltato.
Perseveranza invece è la cifra della persona che sei, fin da bambino, che a volte può essere scambiata per asprezza o cocciutaggine, ma soltanto se ti si squadra da lontano, fermandosi alla superficie, alla pelle, ignorando ciò che più conta, il cuore assai sensibile di un ragazzo partorito due volte: la prima da sua madre, la seconda da sé, diventando uomo.

P.S. “Voi dite, ridete, però l’ho visto uscire dalla porta per andare a fare un'esperienza di qualche mese in Irlanda e invece non è più tornato”.
Quando lo dice mi fa sorridere, perché un po’ teatrale, certo esagerata, neanche commentasse una disgrazia, fossi morto. Però la capisco tua madre, comprendo e ammiro quel legame speciale tra mamma e figlio, cordone ombelicale tenace, desiderio di protezione proiettato all’infinito.
“Grande” in qualche modo lo è diventata anche lei, lo siamo divenuti pure noi, genitori, rendendoci conto nella carne, piuttosto che a parole, che i figli, tutti i figli, non sono mai “nostri”, bensì altro da noi, concessi in prestito, il tempo necessario affinché spieghino le ali e prendano il volo.

venerdì 1 settembre 2023

Comincia per D (Il valore della diversità)

"Se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi ad un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedi a una donna".
Margaret Thatcher

Detesto lusinghe e adulazioni, diffido delle generalizzazioni, credo profondamente nel valore della diversità. Compresa quella tra generi.
Un preambolo debole per una dichiarazione d'ammirazione forte, nei confronti non di una categoria, bensì delle molte donne che conosco, con nomi, volti, storie.
Mentre scrivo è come le avessi una ad una davanti agli occhi, ciascuna con la propria singolarità, molte con tratti comuni: la bellezza - intesa non come estetica, bensì come riflesso della parte più intima, più originale della propria identità, che potremmo chiamare anche "anima" - la sensibilità, l'intelligenza, il pragmatismo che sovente le distingue.
Nei loro confronti mi sento principalmente debitore. Non come Giorgio in sé, che potrebbe anche starci, bensì come uomo, maschio, apice di una tradizione che ha molti pregi, ma altresì storture che è nostro dovere raddrizzare. Penso al ruolo all'interno della famiglia, alla suddivisione rigida dei compiti, alla prevalenza della forza, alla mancata parità in fatto di riconoscimento, retribuzione, potere.
Un fattore culturale che non si cambia a suon di slogan o limitandosi alla stesura di leggi, regolamenti, bensì con l'educazione. Partendo dai figli. Dai figli maschi, in particolare.
Educare al rispetto, alla giustizia, all'eguaglianza, alla nobiltà d'animo, alla generosità, ma prima ancora all'empatia. Mettersi nei panni dell'altro, dell'altra, sentire sulla propria pelle ciò che può provare, proiettare dentro sé le sue paure, gli imbarazzi, le frustrazioni, il dolore, viverlo, come se capitasse a noi e non a qualcuno ch'è banalmente estraneo, distante.

P.S. I figli vanno educati, ma i figli a loro volta educano. Debbo alla mia secondogenita, Giorgia, quella che definire una "conversione" sarebbe esagerato, certo però è un modo diverso di vedere e valutare le cose. Anche perché dei "convertiti" non ho il sacro furore. Piuttosto, a spronarmi, è una ferma consapevolezza: la convinzione che proprio perché siamo differenti è insieme che - confrontandoci, discutendo, aiutandoci vicendevolmente - possiamo trasformare il mondo in un posto migliore.