Sei partito all'alba, destinazione Irlanda, per qualche mese, scegliendo un lavoro che non c'entra nulla con la tua recente laurea, ma che mi rende fiero di te, perché mestieri di manovalanza hanno dato terra alle radici della famiglia di cui sei fronda e, in futuro, quando magari seguirai percorsi diversi, saprai sulla tua pelle cosa significa l'umiltà di una mansione, il sudore che si accompagna al pane e come gira il mondo quando si nuota nella parte meno a galla.
Nella tasca del giaccone ho la busta che mi hai lasciato in mano, dopo esserci salutati, aggiungendo soltanto: "Questa è per te e per la mamma".
Credo che la diga si sia sgretolata lì, nell'istante esatto in cui mi sono voltato per tornare alla macchina.
Un groppo in gola che non era timore né tristezza. Resti un ragazzo fortunato, con un paracadute ampio sulle spalle, per cui anche una sola lacrima versata avrebbe il sapore del melodramma.
Se mi sono commosso, piuttosto, è poiché nel tuo andare ho avvertito il senso di un distacco, di ogni distacco, del destino di qualsiasi essere umano che, a dispetto di tutto, resta sempre e soltanto una linea retta.
Non voglio però essere greve. Ogni nube si è dissolta velocemente e ora che le vele sono spiegate l'unico desiderio è che tu abbia buon vento, consapevole che, per quanti porti ti attendono, qui avrai sempre casa.
P.S. No, non l'ho letta. Ce l'ho ancora nel giaccone, quella lettera. Sono curioso per mestiere e per natura, ma non è indirizzata soltanto a me, per cui saprò aspettare, almeno fino stasera.
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