Venti righe. Indro Montanelli sosteneva che in venti righe si può raccontare tutto. Bastano tre parole invece per spiegare le ragioni di questo blog: comunicare, in libertà. Per il resto, vale per me ciò che scrisse Jorge Luis Borges, "I miei limiti personali e la mia curiosità lasciano qui la loro testimonianza".
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giovedì 7 luglio 2011
Sazio di giorni (Dedicato al professor Giorgio Luraschi)
Oggi ho visto Martina che andava all'oratorio. L'oratorio feriale. Pedalava veloce, in bicicletta, come colei che ha fretta e voglia di arrivare. Quante volte l'ho fatto anch'io, quante estate passate all'oratorio feriale, quanti amici conosciuti lì, quante cose imparate. Ci sono andato prima da bambino, poi da adolescente e da giovane educatore. Ricordi e sensazioni mi sono venuti in mente come cascata in un imbuto, mentre osservavo pedalare Martina, che ha svoltato a destra, all'oratorio, mentre io ho tirato dritto, verso casa. E mentre guidavo mi sono detto: "Vorresti tornare indietro, a quel tempo, Giorgio?". "No" ho risposto, pronto. Sono state stagioni straordinarie, incredibili, bellissime, ma non le rivivrei più. Il motivo è semplice: perché quel tempo me lo sono goduto appieno. Il lampo c'è stato in quel preciso istante, quando ho realizzato che il segreto di un congedo sereno può essere l'aver vissuto pienamente, tanto pienamente da non aver desiderio di tornare indietro, di ripetere oggi ciò che ieri ho già fatto, ciò che sono già stato. Vale per l'oratorio, per le vacanze di gruppo, per la pallacanestro, ma anche per le esperienze professionali, come condurre il telegiornale di Espansione Tv.
Qui non mi voglio limitare però all'elenco del "ho già dato", bensì provare a mettere in fila alcuni momenti, alcune situazioni, di cui non sono stanco. Chiacchierare con gli amici, ad esempio. Leggere un libro. Vedere le partite della Juventus. Mangiare le cose che mi piacciono. Leggere il giornale mentre mangio. Fare all'amore. Fare all'Amore, maiuscolo. Stare sul terrazzo e sentire il rumore del vento. Bagnare i piedi nel mare e camminare sulla spiaggia. Dormire nel mio letto. Abbracciare i miei figli, osservarli mentre dormono. Ricordare i morti. Bere acqua fresca o ancor meglio una coca cola gelata, quando mi sveglio, e ho una sete del diavolo. Non me ne vengono in mente altre, ma dev'essere quel maledeto effetto della cascata nell'imbuto. Comunque sia, oggi grazie a Martina e ai suoi quindici o sedici anni in bicicletta, ho ricordato che l'unico modo per sperare di affrontare serenamente la morte è arrivare sazio di giorni. Ma anche in quel caso, anche se fossi tanto sazio e stanco da non voler rivivere nulla di ciò che ho già vissuto, qualcuno dei piaceri che ho elencato sarà ancora tale e mi dispiacerà quel giorno chiudere gli occhi sapendo che mai più si riapriranno.
La foto qui non è by Leonora bensì un disegno di Mauro Fuggiaschi, che ritrae proprio il professor Giorgio Luraschi, scomparso ieri. Tale disegno accompagnava l'intervista che feci a Luraschi tanti anni fa e che ora si può leggere su questo blog, cliccando qui.
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