domenica 23 febbraio 2014

L'ala della farfalla (e noi di corsa, in bicicletta)

Foto by Leonora
La fretta non sempre è conseguenza di circostanze esterne, di fattori imponderabili, del vortice di impegni e scandenze e incombenze la cui somma sembra esser diventata la vita.
Andar di corsa spesso è una nostra scelta, a volte consapevole, quasi sempre inconscia, per rispondere al bisogno di equilibrio a cui ogni essere umano anela e che al giorno d'oggi rischia di infrangersi ogni qualvolta si rallenta o, peggio, ci si ferma, proprio come accade quando si va in bicicletta. E' così che tutto finisce nella centrifuga, compresi rapporti, relazioni, affetti, emozioni che invece, per loro stessa natura, necessiterebbero di tempo, quiete, calma, pazienza.
Uno scatto in avanti, una continua tensione che in sé non è negativa, anzi, potrebbe esser definita l'impronta digitale del genio, della forza creatrice che procede per strappi, per salti, e abbraccia l'ignoto senza curarsi di cosa lascia sotto, senza corde di sicurezza o rete protettiva.
Anche per il miglior trapezista arriva tuttavia il momento di fermarsi un istante, non fosse che per quel secondo tra l'asta che lascia e quella che arriva o perché il triplo carpiato è finito e si rimane in cima alla torre, sentendo nelle orecchie gli applausi e nelle vene l'adrenalina.
Le poche righe che ho scritto vorrebbero essere questo: il momento in cui si riprende fiato, una bolla spazio temporale senza attorno nulla, il minuto che ritagliamo per noi stessi, per guardarci come fossimo allo specchio e vedere chi siamo, chi siamo diventati, per ricordare che siamo fragili come ala di farfalla ma pure unici, irrepetibili, portatori di un seme che non è soltanto corpo, ma anche spirito, anima, bontà, bellezza.

sabato 15 febbraio 2014

Il filo (positivo) di Arianna

Foto by Leonora
A fronte di tanto, troppo pessimismo che si avverte in questi giorni di politica convulsa (con un tasso di ipocrisia e retorica imbarazzante da parte dei vecchi politici, delle gran parte dei commentatori e anche di molte persone comuni, scontente comunque di tutto e di tutti) mi ostino a pensare che ce la faremo, che questo non è il capolinea, che c'è un Italia migliore di come viene dipinta e di come sembra.
È l'Italia che sorprende, quella dello short track o dello slittino, gente che non si vede e non si sente per mesi e medi e poi si nota, si distingue, si impone come eccellenza mondiale e dimostra quanto valga il talento, il sacrificio, la fatica. È l'Italia di Arianna Fontana, bronzo pure oggi alle Olimpiadi di Sochi, che guadagna fama e copertina, con un sorriso furbo e l'espressione sfrontata. Mentre la guardavo scivolare in tondo come una trottola, rapidissima, sul ghiaccio, pensavo a tutte le mattine in cui si sarà alzata all'alba, a quante privazioni avrà affrontato, quanti dettagli curati, che meticolosità con i suoi allenatori per affinare la tecnica, quanta passione messa, il dolore per superare gli acciacchi, l'attenzione al cibo, al bere, le rinunce... Lei è la punta, ce l'ha fatta, ma identica è l'impresa per le decine di italiani che sono lì, che fanno sport in un Paese in cui lo sport spesso è chiacchiera, senza lamentarsi delle poche strutture, più forti di ogni ostacolo e avversità. Non meritano forse loro una medaglia? E se sì, se la meritano, se dimostrano che il risultato si può raggiungere e bando a qualsiasi scusa, che diritto ho io di lamentarmi, di alzare il sopracciglio ed eccepire, di brontolare soltanto e criticare chi si dà da fare, chi almeno ci prova?
Non voglio farlo, non mi voglio accodare ai profeti di continua sventura, voglio insegnare ai miei figli ciò che ho imparato da mio padre, che il lavoro, la fatica, il sudore alla fine paga, sempre. Anche qui, in Italia.
P.S. Per la cronaca, sia Arianna Fontanna sia mio padre sono nati in Valtellina, di più, sono di Berbenno di Valtellina, ma credo che valga per qualsiasi borgo della penisola.

domenica 9 febbraio 2014

Taglia e cuci (sul desiderio di unità e forse anche sul perché del male)

Foto by Leonora
Tutta la nostra vita è una separazione, uno staccarsi, tagliare, dividere, dire e dirsi addio. Riguarda le persone, le relazioni e anche noi stessi, che cambiamo, ci trasformiamo, in una continua scissione tra prima e dopo, passato e futuro, ieri e oggi.
Se penso a me stesso e cerco di fare un riassunto mi pare di essere questo: un individuo che si è dovuto abituare a lasciare (dal cordone ombelicale di mia madre, ai compagni delle elementari, alle persone che avevo care, gli amici, le diottrie, i capelli, i vestiti dismessi, le esperienze belle e brutte, il letto in cui ho dormito finché non mi sono sposato, la casa paterna, le compagnie, i lavori, gli abbracci, gli sguardi, gli orizzonti...) e che ha imparato ad attutire l'impatto del dolore provocato da tale separazione e nel contempo che ricerca instancabilmente, razionalmente e anche inconsciamente unione, accordo, condivisione, rinnovata armonia, legame. Come se non esistessero che forbici a cui mi ostino ad opporre fili e aghi.
Credo sia questo che Isabella chiama "esser cinico" ma anche il motivo per cui in fondo mi stima e per il quale di conseguenza non smette di amarmi. "Esser cinico", poiché a volte scambia per freddezza o distanza la mia accettazione della circostanza per cui si cambia, ci si separa dal passato, dagli affetti, dalle abitudini. Non sono apatico né credo di essere insensibile, piuttosto - se proprio proprio - mi illudo di sedare la sofferenza comportandomi come il giovane signor Spock di "Star Trek: into the darkness", quando ammette di provare emozioni ma di controllarle per evitare che esse lo devastino. Contemporaneamente però, forse come istintivo riequilibrio e risarcimento, mi pare di essere un naturale ricucitore. Non per riparare quello che non si può aggiustare, bensì per creare qualcosa di nuovo, sapendo che proprio ciò distingue l'essere umano e forse anche il divino: generare nuova unità da ciò che si è separato, in un flusso costante, ininterrotto, un continuo scindere e innestare, fiorire.
È ciò che spero accada pure con la separazione per eccellenza, la morte, anche se ignoro come possa accadere. Ma quella stessa vita che da un'altra e precedente separazione è nata potrebbe avere sempre una parola in più del taglio, della cesura definitiva, del forcipe che divide.
P.S. Senza separazione non esisterebbe ricerca né ottenimento di unità. Forse, se sostituiamo a taglia e cuci i termini "male" e "bene", potrebbe esser qui il seme della spiegazione al mistero dell'esistenza del male.