sabato 28 marzo 2020

La prima cosa che voglio fare (Dopo, ma anche prima)


La prima cosa che voglio fare, quando "tutto questo sarà l'anno scorso", non sarà prendermi una settimana di ferie, vere, né pensare a nulla, uscire con gli amici, mangiare al ristorante, andare al cinema, bere il caffè in centro, visitare altre città e i musei, tuffarmi nel mare, girare in bicicletta, prendere il treno, vagare a zonzo tra gli scaffali del supermercato o nei boschi dietro casa.
E neppure tornare a baciare finalmente mia mamma, abbracciare le persone a cui voglio bene, stringere la mano alle persone che stimo, chiacchierare con chiunque senza badare a che ci sia più di un metro di distanza, cenare o pranzare con la famiglia allargata, come accadeva prima, ogni sabato o domenica, guardare le partite in tv tutti insieme, ascoltare gli amici dei miei figli che fanno un accidenti di baccano, dentro casa, fare visita alle persone malate, mettere un fiore al cimitero, aprire a chiunque bussi alla porta.
No. La prima cosa che voglio fare, quando "tutto questo sarà l'anno scorso" è tenere la testa alta, riappropriarmi della mia dignità di persona, levarmi da dosso la negatività che mi ha appiccicato addosso questa situazione assurda, lavar via la paura, non ripetere gli stessi errori, coltivare la mia parte razionale ma pure quella istintiva, fare e mantenere memoria.
Soprattutto questo: fare e mantenere memoria. Perché tanta apprensione, tanta sofferenza non sia stata vana, perché ne usciamo cambiati, in meglio, riuscendo a percepirci come comunità e non soltanto come individui, ognuno con la sua pena, ciascuno con a cuore soltanto la propria scialuppa.

lunedì 16 marzo 2020

Ho imparato (Le radici buone dell'empatia)


Imparo sempre, molto. In questi giorni di più.
Ho imparato ad esempio che con i gomiti si possono fare un sacco di cose, comprese aprire le porte o salutarsi, tenendo una distanza quasi di sicurezza.
Ho imparato che pensavo di saperla lunga, invece era corta, tanto corta.
Ho imparato che la vita è spiazzante persino in questo tempo in cui credevamo di averla in pugno tutta e di poterla piegare, all'occorrenza.
Ho imparato che può capitare anche a te, a noi, e non soltanto a loro, agli altri.
Ho imparato ad avere paura, non il terrore dei film o degli incubi, piuttosto il timore del cerchio che si stringe, della marea che sale e non sai come andrà a finire, se l'acqua ti lambirà soltanto le caviglie o salirà ai polpacci o supererà il capo e dovrai restare in apnea.
Ho imparato ad avere paura, ma anche a non cedere all'angoscia degli ipocondriaci, ad essere prudente senza cadere nella fobia.
Ho imparato la compostezza nel dolore di una città che mi ha adottato e che sta reagendo con dignità superiore alla tristezza per i troppi morti tutti insieme, senza l'occasione di congedarsi bene, di accompagnarli nell'ultimo tratto di strada.
Ho imparato il coraggio di chi fa il proprio mestiere con coscienza, sia esso in prima linea oppure nelle retrovie, medico in terapia intensiva o addetto alle pulizie della corsia, direttore di giornale o edicolante, cassiera al supermercato o volontario in ambulanza, autista di bus o insegnante a distanza.
Ho imparato che si possono dire moltissime cose, quasi mai quella giusta (e proprio per questo l'umiltà dovrebbe far premio sul giudizio o quanto meno sospenderlo, evitando ogni saccenteria).
Ho imparato, più di tutto, che se ne esce più forti di prima soltanto se la radice è buona, perché altrimenti anche l'albero apparentemente robusto vacilla, s'incrina, si spezza.

P.S. Badare alle radici, fare in modo che siano sane, virtuose, è la vera emergenza. Perché le epidemie passano, la nostra comunità continua e questi giorni saranno trascorsi invano o, peggio, ci consegneranno una civiltà ancora più disgregata, individualista, se non mettiamo al primo posto ciò che conta davvero: la comprensione, l'aiuto reciproco, l'empatia, l'amore per l'altro, l'amicizia.

domenica 8 marzo 2020

"Tutto questo si chiamerà l'anno scorso"


Ho scritto poco, anzi nulla, adempiendo a un disorientamento, che mentre tutti sembrano maestri io mi sento ancora più allievo.
Non giudico gli altri, preferisco per me stesso il silenzio, anche perché "Finché le parole sono nella tua bocca, sei il loro signore, quando sono uscite sei il loro servo".
Vivo ciò che sta accadendo, come tutti, navigando a vista, a volte illudendomi di intravedere una rotta già nota, altre comprendendo che per ciascuno di noi è un mare aperto, inesplorato, e anche i marinai più esperti (virologi, medici, statitistici, funzionarii, scienziati, politici...) ne conoscono al più un breve tratto, quello che riguarda le loro competenze, ma scenari, scelte complessive e possibili ricadute sono simili a un tiro di dadi, appartengono all'azzardo.
Pesco il buono, come cerco di fare sempre, per tutto, astenendomi dalla facili critiche e trovando gusto nello scoprire del bicchiere il mezzo pieno, provando a essere positivo, aggrappandomi alla storia, alle prove che le porzioni di umanità hanno vissuto in passato e che hanno condotto fin qui, cavando sempre del bene anche dal gramo.
E quando proprio sono in difficoltà, quando l'incertezza ha la meglio, quando l'apprensione o lo sgomento o la confusione prendono il sopravvento, mi porta conforto il proverbio bosniaco che recita: "Tutto questo si chiamerà l'anno scorso".
Già. Passerà, come passa ogni cosa, per epocale che possa essere questo tempo diventerà soltanto un ricordo.

P.S. Diventerà soltanto un ricordo, è vero, e proiettarsi oltre l'ostacolo del tempo è una consolazione e insieme un appiglio. Tuttavia la dignità con cui lo affrontiamo, le prove che supereremo, l'esempio che in ogni istante diamo ci accompagneranno e definiranno di noi stessi un profilo, l'immagine che vedremo a lungo, guardandoci allo specchio. Poterlo fare, fissandoci negli occhi, confessandoci di essere stati coraggiosi ma al tempo stesso responsabili, credo debba essere la stella polare, per ognuno.