mercoledì 25 novembre 2015

Emilia non è stupida (Guardare dalla parte sbagliata)

Foto by Leonora
"Emilia si stava convincendo di essere stupida!". Lo dice con foga sua mamma Laura, di getto, come se dovesse prender fiato dopo un'apnea, groppo di dolore tenuto troppo a lungo tra cuore e gola.
Emilia è una ragazza ormai, quarta di quattro figli, nata in una famiglia perfettamente normale o normalmente perfetta, tanto che la mamma la definisce  "famiglia invisibile". Una coppia che si ama, tenore di vita dignitoso, senza sciupare nulla e senza nulla lasciarsi mancare, fratelli che sono sempre andati bene a scuola, zero richiami, pochi brutti voti, mai una nota. Emilia no. Emilia fin dalle elementari ha espresso un disagio, stando male parecchie volte, vomitando persino, tanto che più volte i genitori sono stati chiamati per portarla a casa, con le maestre prima e i professori poi che storcevano il naso e ripetevano la solita litania: "Emilia non studia abbastanza... Emilia potrebbe dare di più... Emilia non si impegna...".
Una discesa ripida e faticosa quanto una salita, con nessuno che riesce a trovare il bandolo della matassa, finché il destino fa uscire il dado che sblocca lo stallo e risolve la storia. Emilia viene sorteggiata per una ricerca sul valore e l'utilità delle riunioni di famiglia in ambito scolastico. Attorno a un tavolo si siedono lei, la sua famiglia, i professori, un "facilitatore" delle relazioni e un "advocat", un "portavoce" potremmo chiamarlo, che parli a nome della ragazza.
Il risultato positivo non tarda ad arrivare, con Emilia che pian piano riprende fiducia, i docenti che allentano la presa e l'inizio di un percorso che porterà alla diagnosi di disturbo dell'apprendimento, concretizzato nella scarsa memoria a breve termine e la necessità di utilizzare tavole e altri strumenti per compensare la mancanza.
"Emilia si stava convincendo di essere stupida!" si sfoga la madre al convegno che racconta in teoria ciò che lei ha vissuto nella sua stessa carne, in prima persona. "Emilia si stava convincendo di essere stupida e se non fossimo stati fortunati nel far parte di questo percorso probabilmente ne saremmo stati convinti tutti, senza scoprire mai la cause delle sue difficoltà e del malessere che ne seguiva".
Riporto questa storia, pari pari a come l'ho ascoltata, ieri, perché Emilia non è sola, di Emilia è pieno il mondo e anch'io ne ho avuto da genitore un'esperienza diretta. Lo scrivo senza pretese di invettiva, con una funzione più prosaica, ch'è quella di lanciare una cima, un salvagente, per tutte quelle famiglie che si trovano in difficoltà e non sanno dove sbattere la testa: non lasciatevi cadere le braccia, non permettete a vostro figlio o figlia di convincersi che è stupido o stupida, cercate il tratto di genio che c'è in ciascuno di noi, perché spesso il problema di noi adulti è che guardiamo dalla parte sbagliata.
P.S. Grazie a David, a Laura, a Elena Meroni, a Francesca Maci e all'azienda speciale consortile Comuni Insieme che mi ha invitato come moderatore della tavola rotonda per spiegare i risultati della ricerca sperimentale sulle "riunioni di famiglia nella scuola". Ogni volta che vado a Bollate torno più fiducioso sul servizio pubblico e sulle risposte che è in grado di offrire nella società contemporanea.

sabato 21 novembre 2015

Voglio dire (Il coraggio della testimonianza)

Foto by Leonora
"Un semplice gesto d'amore genera un flusso senza fine". Lo leggo su un bigliettino e penso a tutte le occasioni che perdo quando ho la possibilità di mettere a dimora un seme buono e non lo faccio, tutte le volte che potrei parlare e sto zitto, quasi sempre per evitare di scontentare qualcuno, per un malinteso senso dell'ecumenismo, per un desiderio malsano di piacere a tutti, non essendo utile a nessuno.
Così facendo tradisco tutte le persone che ho sempre ammirato fin da quando ero piccolo, tutti coloro che mi hanno emozionato, andando contro corrente, prendendosi cura del debole, del diverso, del maltrattato, tutti coloro che hanno detto no alla violenza, all'abuso, al dominio di un essere umano sull'altro, rimettendoci del loro.
Rileggendo le loro storie mi sembrano giganti e nel cuore di bimbo che conservo mi illudo che se fossi stato al loro posto avrei fatto lo stesso, se avessi vissuto in quel tempo sarei rimasto al loro fianco.
Non ne sono più certo. Facile ripercorrrere il cammino a ritroso quando il solco è segnato, difficile invece tracciarlo noi, da principio, in un'altra epoca, in un altro campo.
Dare rifugio ad Anna Frank, salvare il bambino con il pigiama a righe, prendersi in casa Oliver Twist, scendere in piazza contro Hitler, essere bianco tra i neri di Mandela o Martin Luther King è scontato e semplice quando uno schiocco di dita, ma chi sono Anna Frank, il bambino con il pigiama a righe, Oliver Twist, Hitler, Mandela, Martin Luther King, ora, adesso?
La grandezza di coloro che ci hanno preceduto non è stata soltanto quella di scegliere tra bene e male, ma soprattutto di distinguerlo, rasente suolo, senza la possibilità che abbiamo noi, guardando tutto dall'alto.
Ecco, se ho un timore, se corro un rischio, mi pare questo: di non distinguermi per nulla, di fare parte di quella massa informe che con la propria indifferenza, banalmente chiudendo gli occhi o girando la faccia dall'altra parte, permette al male di prendere il sopravvento.
Non voglio sia così. Voglio dire con chiarezza che io sono per la pace e non per la guerra, ad esempio. Voglio dire che gli atti di terrorismo non mi faranno cambiare idea sull'astenermi da qualsiasi risposta che contenga pari violenza o odio. Voglio dire che l'accoglienza è un valore per me e che se è vero che quando avviene senza controllo può generare effetti deleteri, chiudere le porte o alzare muri non è la soluzione che cerco. Voglio dire che la libertà vale quanto la sicurezza. Voglio dire che un mondo in cui c'è chi guadagna mille o un milione di volte più dell'altro non è un mondo giusto. Voglio dire questo e molto altro e lo farò, già da oggi, usando i talenti che ho avuto in dono - la capacità di raccontare, ad esempio - e smettendola di girare alla larga dagli argomenti scottanti soltanto per paura di bruciarmi la reputazione e di essere etichettato.
P.S. Ieri ho avuto la fortuna di essere presente a un incontro di sensibilizzazione sulla pace, promosso dal comune dove abito, con ospiti Lorenza Auguadra e il gruppo dei 7grani, che di nome fanno Mauro e Fabrizio. E' stata una serata asciutta nella forma e feconda nella sostanza, in cui si sono alternate letture dal libro di Lorenza ("Ho visto il sole sorgere a Sarajevo") e brani di Mauro e Fabrizio. Grazie a loro, che a differenza mia il coraggio di "voler dire" ciò che pensano, ciò che ritengono giusto, l'hanno già trovato.

sabato 14 novembre 2015

Generazioni (Elogio della dolcezza)

Foto by Leonora
Carla non c'era. Ha avuto una colica renale ed è rimasta in Inghilterra, dove insegna fisica all'università di Londra. E mancava pure Mauro, a cui debbo tre promozioni su cinque al liceo e lo spunto decisivo per ciò che faccio ora, perché mi passava i compiti in classe di matematica e mi ha trasmesso la passione per il basket, con cui ho cominciato la carriera giornalistica. Assenti all'appello anche un Roberto Pini (ne avevamo due, l'altro c'era), Gianluca Gazzolo, Fabio Giovannelli, Marco Tettamanti, Gianbattista Peduzzi e Maria Pellegrini, unica assolutamente giustificata visto che fa la suora di clausura. Con gli altri ci siamo trovati attorno a un tavolo, a elle, proprio come l'ultima fila dei banchi quando andavamo a scuola.
Trent'anni, un giorno. Trent'anni da quando ci siamo diplomati al liceo, il giorno invece è stato quello della rimpatriata, ieri sera, venti compagni di classe che si rivedono, incrociano di nuovo le strade, si abbracciano come mai si erano abbracciati prima. Sì, perché se c'è un aspetto che mi ha colpito è stato il senso fraterno di questo incontro, come se gli anni avessero limato gli spigoli, eliminato le simpatie a gruppetti e restituito un senso di appartenenza comune, un sentimento di vicinanza con ciascuno, un guardarsi negli occhi e riconoscere nell'altro un pezzetto di sé, scordato per decenni in un anfratto della memoria. "Sei tu!" dicevano gli occhi che incontravo, "Sono io!" rispondevano quelli incontrati, con un sorriso che illuminava i volti, mentre le parole contavano poco o nulla.
Chi legge il mio blog sa che sono convinto che le generazioni attuali siano migliori della mia, che i ragazzi di oggi abbiano delle qualità e una consapevolezza che non io non conoscevo. Ieri sera tuttavia mi sono accorto dei talenti che portano in dono gli anni e che valgono assai più dei molti capelli in meno e di qualche ruga. Prima fra tutte è la dolcezza, la tenerezza dei rapporti, senza imbarazzi, pudore o vergogna. La seconda è la pacatezza, poi l'equilibrio, la capacità di tollerare i difetti altrui e giudicarli con meno durezza.
Ci pensavo tornando a casa e ascoltando alla radio il resoconto della strage di Parigi, degli attentati che hanno portato morte e dolore in Francia. Le ho collegate alle parole udite qualche settimana fa da Padre Pizzaballa, custode di Terra Santa, che raccontava come i terroristi sono ragazzi giovanissimi, tra i diciotto e i ventidue anni e che neppure i loro conterranei più grandi riescono a controllarli, schegge impazzite senza briglia.
Ho una fiducia immensa nei nostri figli, nelle nuove generazioni, mi piace un sacco la purezza dei sentimenti, la rettitudine, il desiderio di cambiare in meglio il mondo, la generosità di relazioni e la gratuità dei gesti. Però come tutte le virtù rischiano di lambire il vizio se non mitigate da una certa accondiscendenza, da un vedere le cose da una prospettiva diversa, più "alta", non più "vecchia". Dettagli che allora non coglievo, adesso sì, proprio perché sono salito in cima alla pianta. E se è vero che la maturità l'ho fatta allora, maturo - e per questi aspetti migliore - mi sento soltanto ora.

P.S. Grazie a Michele Bignami, Rodolfo Sonzogni, Marco Antonio Giamminola, Monica Bernasconi, Patrizia Mattaboni, Giovanni Bianchi, Massimiliano Monaci, Giovanni Braga, Antonello Vella, Marina Briccola, Roberto Pini, Simona Bettarello, Vittoria Fagetti, Luca Corvi, Rossella Castellini, Cristina Corti, Matteo Livio, Giovanni Ruffini, Franca Vitelli. Grazie per avermi fatto sentire importante allora, nonostante al liceo fossi il più asino in matematica, e per non avermelo ricordato ieri sera :-)

giovedì 12 novembre 2015

Chi difende Abele (Appello per restare umani)

Foto by Leonora
“Nessuno tocchi Caino”. Affermazione stupenda, divina in tutti i sensi, ripresa non a caso da un'organizzazione non governativa il cui principale obiettivo è l'abolizione della pena di morte.
Nessuno tocchi Caino, giusto, giustissimo. Ma chi difende Abele?
Chi protegge il mite, il quieto, il cittadino comune? Chi si prende cura di tutelare il debole quando si tratta di una persona non ai margini della società, ma che anzi della società è la pietra portante, la fetta più consistente?
Una domanda che mi faccio spesso, in questi mesi, non volendo cedere alla deriva giustizialista di chi vorrebbe regolare i conti fuori dalla legge, ma anche incapace di chiudere occhi e orecchi di fronte alla palese evidenza che la nostra legge e l'applicazione che se ne fa è inadeguata per proteggere chi invece lo meriterebbe.
Abele è Cloe, bastonata a morte da ladri senza scrupoli entrati in casa per portar via un magro bottino, in provincia di Ferrara, una sera di inizio novembre. Abele sono Roberta e Fabio, lei uccisa e lui ferito gravemente dal fidanzatino della figlia, che aveva annunciato il crimine senza che nessuno però intervenisse. Abele è la coppia di Ponte San Pietro, aggredita e malmenata dall’ex fidanzato di lei, accecato dalla gelosia ma libero di farsi vendetta da sé, terrorizzando un intero quartiere. Abele è Angelo, che ha sposato Gloria per amore e s’è ritrovato in casa una moglie aggressiva, che minaccia e usa violenza tuttora, nonostante la separazione, senza che carabinieri, agenti di polizia o alcun giudice possano impedire un assedio del genere.
Abele sono loro, Abele è la maggior parte di noi, non esenti da vizi e difetti, ma che rispetta la legge e appena non lo fa paga salate le conseguenze. Abele è colui che non cede alla tentazione di armarsi contro chi è armato, né di farsi giustizia da solo, eppure è frustrato dal fatto che la giustizia in Italia, per come funziona, non lo tutela per niente. Abele è chi è ben disposto verso l’accoglienza dello straniero, ma si trova esasperato quando nota che al bussare alla porta per chiedere di entrare si sostituisce la prepotenza di chi vuole farla da padrone.
Se lo scrivo non è per una durezza maturata nottetempo o per un ispessimento della coscienza, come un callo cresciuto su un piede. Piuttosto voglio continuare a credere che la convivenza civile non possa fondarsi su due opposti estremismi; voglio pensare che su un tema del genere anche le forze politiche che si definiscono moderate la smettano di voltare lo sguardo dall'altra parte e trovino risposte adeguate; voglio evitare che i tanti Abele smettano di confidare in una giustizia superiore e si trasformino a loro volta in Caino; soprattutto voglio evitare che nel disinteresse generale siano i furbi, i prepotenti, gli infingardi a guadagnarsi un’opportunità e che i tanti Abele esasperati chiudano le loro porte, lasciando fuori chi invece avrebbe più bisogno, cioè i più fragili tra i fragili, i più piccoli tra i piccoli, i più poveri tra i poveri.

giovedì 5 novembre 2015

Incroci (Le persone vanno e vengono)

Foto by Leonora
Le persone vanno e vengono, tutte, comprese quelle che vorremmo trattenere e non riusciamo e coloro che preferiremmo non fossero tra i piedi e invece tra i piedi rimangono.
Le persone vanno e vengono, tutte, per questo ho imparato ad essere dolce e duro insieme, senza illudermi che nulla sia "per sempre" ma sapendo che "per sempre" sono i momenti trascorsi insieme, un dono unico e incredibile per cui non sarò mai abbastanza grato.
Le persone vanno e vengono, tutte, alcune però mi tengono compagnia anche se non sono fisicamente accanto, presenti nei ricordi che trovano spunto dalla coincidenza di una somiglianza, di una situazione, di un profumo.
Le persone vanno e vengono, tutte, anche se alcune le vorrei trattenere, pur sapendo che non è stringendole in pugno che riesco a farlo.
Le persone vanno e vengono, tutte, perciò sono riconoscente a quanti mi camminano al fianco, non per imposizione, non per necessità, bensì per scelta, chi chiacchierone, chi in silenzio, chi con un sorriso sempre a portata di faccia, chi invece parla poco e mi ascolta, serio.
Le persone vanno e vengono, tutte, comprese mio padre e mio figlio Giovanni, nati entrambi nel medesimo giorno, questo, il 5 novembre, a sessantacinque anni di perfetta distanza uno dall'altro, filo d'Arianna e insieme testimoni mirabili della vita che è un passaggio e un incrocio di storie, meraviglioso.
P.S. Mio papà da sette anni non c'è più, è andato e venuto anche lui, in un mare di cui mi sento onda anch'io. Ed è per questo che riesco a ricordarlo a ciglio asciutto, sorridendo.