giovedì 23 gennaio 2020

La lettera che non ti ho scritto (Ventitré anni, oggi)


I tuoi ventitré anni compiuti oggi li porti sulle spalle di un corpo che pare scolpito, epigono di generazioni che l'hanno forgiato a pane e fatica. Te ne prendi cura sempre, in questi mesi di più, attento a ciò che mangi, allenamenti, corse, palestra.
Ti osservo ammirato, soprattutto dalla determinazione con cui ti impegni in ciò che fai, stupito da quel tuo modo di essere diverso a seconda del contesto: silente e riflessivo in casa, sorridente ed esuberante in compagnia.
Non me ne faccio un cruccio: ho imparato ad apprezzare la tua riservatezza domestica, applicando la lezione del mio, d'un padre, che "ammaestrava" spostandosi, cioè senza volerlo fare, mettendosi innanzi tutto in ascolto, attendendo i momenti giusti, che non erano mai i suoi, ma quelli scelti dall'altro. Esiste pure un proverbio in dialetto comasco, calzante a pennello: "La légùra, senza cùr, la sà càta a tuti i ùr". La lepre, senza correre, si prende a tutte le ore".
Io di lepri non sono così esperto, di figli nemmeno. Imparo vivendo, sbagliando.
Se penso a te non ho preoccupazioni, hai carattere sensibile ma spalle forti, non soltanto quelle attaccate al tronco. Certo immagino per te una vita non chiusa nel bozzolo, piuttosto aperta alle relazioni, alle compagnie ampie, a una famiglia numerosa, se ne avrai una, come ti auguro.
Mi sembri un tipo di persona che in un tempo passato sarebbe stato un buon prete, uno di quelli che si consacrano al mondo, mettendo da parte l'io. Uno di quei preti saggi, perché hanno camminato e conosciuto il "deserto", il vuoto di relazione, di vocazione, di senso persino, e sono sopravvissuti lo stesso, più forti perché hanno sperimentato la debolezza, più saldi perché si sono perduti in qualche modo.
Sei migliore di me, di questo sono certo. E me ne compiaccio. Insieme alla fortuna che ho, di averti per figlio: uno dei motivi validi per cui essere stato al mondo.

mercoledì 22 gennaio 2020

L'amico è (Un Angelo)


Domani compirai un anno più di me, precedendomi, come sempre, come quasi in tutto.
Sei il primo di quei pochi amici che mi sono capitati in dono, coloro che c’è un modo semplice e lineare in cui si distinguono: può passare un giorno, una settimana o un anno, ma quando ti siedi di fronte e li guardi negli occhi riprendi il discorso che avevi lasciato, come se nulla fosse, anche se non ci si è raccontati tutto.
Debbo a te gran parte del buono dell’uomo che sono, anche se - proprio per ciò che ho scritto qui sopra - non te l’ho mai detto: so che lo sai, non ce n’era bisogno.
Faccio eccezione oggi, che ti attende un compleanno senza spigoli, tondo, perché un regalo lo fai continuamente a me, da mezzo secolo, da quando il bambino timido che ero, curioso quanto insicuro, ha incrociato la tua strada, trovando un’affinità elettiva e insieme un appiglio.
Pure se mi soffermassi a lungo e scrivessi un libro non riuscirei a descrivere un’infima parte di ciò che insieme abbiamo vissuto, condiviso.
Mi limito a questo, a dirti che con te, come con i veri amici, ho compreso e provato sulla mia pelle e nel cuore la forma dell'amore più puro, intenso, intimo, casto, generoso, disinteressato, scevro da competizioni, incomprensioni, pettegolezzi, garbugli e gelosie.
Un bene per scelta, ma anche un bene ricevuto, per provvidenza o destino.
Ha ragione Victor Hugo: “Tutti sanno provare dolore per il dolore altrui, soltanto i veri amici riescono a essere felici della gioia dell’altro”.
Un sentimento che fa da prova del nove e che per te ho sempre provato, avvertendolo ricambiato.
Perciò non posso che dirti grazie, questa volta sì, per iscritto, augurando a tutti di avere la mia fortuna: di avere accanto per la vita un Angelo.

domenica 12 gennaio 2020

Un gigante, in cinquanta chili d'uomo (Addio don Dino)


Mi ha voluto bene, guardando alla persona che sono più che ai difetti che sommo, difendendomi sempre in pubblico - pur se non mi aveva scelto lui - e dimostrandosi altrettanto indulgente nel privato.
Debbo a Don Dino Gariboldi molto della mia esperienza monzese, soprattutto i colloqui nello studiolo della porzione di appartamento accanto al Duomo, in cui ci trovavamo di fronte uno all'altro, lui con la saggezza degli anni, io con l'entusiasmo e la passione per il mestiere che ho scelto.
Quando giunsi a Monza ebbi la fortuna di non passare inosservato, per un paio di dettagli che con il senno del poi avrei pure evitato, conseguenza dell'aver applicato alla lettera le regole del giornalismo che mi era stato insegnato. Ciò che a Como o a Milano sarebbe stata una pastina insipida, lì si rivelò cibo indigesto, con tanto di mal di pancia e sollevazione di alcuni notabili del posto.
Ricordo il modo in cui ricompose la frattura, dandomi ragione in consiglio di amministrazione e presentandosi in ufficio il giorno dopo. Lo vidi arrivare con quel suo corpo di uccellino, risalendo il vicolo che portava alla sede de Il Cittadino, in centro, cappello in testa e passo leggero. Bussò lieve alla porta e si accomodò senza aspettare che dicessi: "Prego", cominciando a parlare con un sorrisino di ostentata umiltà dipinto sul volto ed elencandomi i punti nei quali secondo lui avevo sbagliato. Parlò cinque minuti, ripetendo spesso una frase che in seguito gli sentii ripetere di rado: "Se io fossi il direttore de Il Cittadino...". Un modo per suggerire un atteggiamento, un comportamento, senza imporlo, senza prevaricare il ruolo. Alla fine del discorso, riprese in mano il cappello e senza che io avessi il tempo di replicare aggiunse un complimento, uno solo, che tuttavia bilanciò nella mia vana gloria tutto il resto: "Comunque hai un'ottima penna. Fanne buon uso".
Monsignor Gariboldi, don Dino, per anni arciprete del Duomo di Monza, se n'è andato alla soglia dei novant'anni, ieri l'altro.
A Monza ha voluto bene, a "Il Cittadino" di più, salvandolo in più di un'occasione e difendendolo da ogni attacco.
Per chi ha sospettato un suo interventismo eccessivo, quasi fosse tessitore di chissà quali trame, dico questo: in tre anni di direzione, non ha fatto mai un accenno sul favorire questo o quello, né chiesto fosse messa o omessa una notizia.
Una sì, ora che ci penso. Una "breve", cioè due righe che si utilizzano come riempitivo di pagina, sovente per segnalare un appuntamento. Riguardava una messa che avrebbero celebrato in Duomo i cattolici fondamentalisti, quelli che non riconoscono le riforme ecclesiastiche degli ultimi secoli. Quella volta lo vidi per la prima volta furente, piccato, con un fuoco negli occhi e una rabbia covata dentro, che chi lo conosceva bene notava non di rado. "Questa no! Questa notizia non la devi mettere! Il Cardinal Scola ha dato il permesso, ma io non sono d'accordo e anzi, quel giorno me ne andrò lontano, perché il cuore non reggerebbe un simile scempio in Duomo!".
Questo era don Dino Gariboldi, un uomo certamente conservatore, ma prete profondamente legato al Concilio Vaticano Secondo. Un gigante, in cinquanta chili d'uomo.

venerdì 10 gennaio 2020

Dodici anni (Compleanno e anniversario, intrecciato)


Sei arrivato tre giorni prima che lui se ne andasse, anche se io non lo sapevo.
Il destino incrocia a suo modo i giunchi che raccogliamo lungo il cammino e mentre tu certo piangevi e cercavi il seno materno, mio padre si spegneva pian piano, andandosene la notte tra il nove e il dieci gennaio di dodici anni fa, chiamando nell'agonia due persone, me e suo nonno, cioè chi gli aveva fatto da padre e il figlio.
Le lacrime di entrambi si sono asciugate. Le mie, perché la morte ha rappresentato anche una liberazione dalla malattia e quelle che avevo pianto erano già numerose, come le gocce di pioggia a marzo. Le tue, poiché sei diventato grande e hai altri strumenti per esprimere bisogni e desideri, compresa quella capacità di parlare di te stesso, di esplicitare quanto ti manda in subbuglio, che unita all'empatia e al potere di "aggiustare" ciò che negli altri è rotto credo sia il tuo dono più evidente, prezioso.
Qualche volta ti viene tuttora il magone, è vero, soprattutto pensando al tuo di un padre, che non sappiamo bene dove sia e che tu non sai se ti abbia nel cuore o no, se ti è accanto almeno con lo spirito oppure è una traccia biologica nel tavolozza infinita del creato.
E' successo anche ieri l'altro, quando ti sei seduto a gambe incrociate sul letto, e hai cominciato a raccontare cosa sogni la notte, ciò che ti fa paura e cosa invece ti lascia contento. A un certo punto, mentre parlavi, hai portato le nocche delle mani agli occhi e ti sei fermato di colpo. Ho compreso che piangevi dal singhiozzo e m'è venuto da proteggerti, cingendoti in un abbraccio, piccolo come sei, nonostante abbia ormai un anno in più e sia un ragazzo fatto e finito.
Buon dodicesimo compleanno allora e grazie, perché come al solito il regalo lo hai fatto tu a noi, semplicemente essendoci, ma in quel modo originale, diretto, unico, che anche senza volerlo, ci mette in scacco.

mercoledì 1 gennaio 2020

2020righe (L'era della conoscenza)


Anno tondo, che per assonanza ricorda il titolo di questo diario e che si stende come una vallata, un panorama esteso quanto vario.
Lascio i buoni propositi per chi ha caparbietà di realizzarli o almeno tentare di farlo.
Confido in un mondo che migliora, sempre, pure quando non ce ne accorgiamo, e sono convinto che prima o poi finirà la predominanza del "materiale", a cui dobbiamo il benessere in cui viviamo ma che pian piano s'è trasformato in una pietra al collo.
Soldi per far soldi per far soldi. Ma i soldi finiscono sempre, non bastano mai, sono per natura limitati, mentre la natura dell'uomo - come quella del cosmo - è frutto di eccedenza, di uno sgorgare generoso e continuo.
Finirà prima o poi l'era del voler "avere", del possedere, comincerà quella del voler sapere, del conoscere: una signoria della cultura che, come indicava Gadamer, "è l'unico bene dell'umanità che, diviso tra tutti, anziché diminuire diventa più grande".
Gli strumenti li abbiamo, un livello sufficiente per la sopravvivenza altrettanto, sta a noi instillare della conoscenza, del sapere, il desiderio, prendendo spunto dalla saggezza di Antoine de Saint-Exupéry: "Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito".
Che sia dunque l'anno di un mare di conoscenza. Vasto. Infinito.

P.S. Hans Georg Gadamer è uno dei filosofi che più mi ha affascinato e di cui ricordo a memoria un aneddoto. Quando stava giungendo alla soglia del secolo di vita e gli chiesero di presenziare a non ricordo più quale evento, rispose: "No grazie, non ho più ottant'anni".