Il destino incrocia a suo modo i giunchi che raccogliamo lungo il cammino e mentre tu certo piangevi e cercavi il seno materno, mio padre si spegneva pian piano, andandosene la notte tra il nove e il dieci gennaio di dodici anni fa, chiamando nell'agonia due persone, me e suo nonno, cioè chi gli aveva fatto da padre e il figlio.
Le lacrime di entrambi si sono asciugate. Le mie, perché la morte ha rappresentato anche una liberazione dalla malattia e quelle che avevo pianto erano già numerose, come le gocce di pioggia a marzo. Le tue, poiché sei diventato grande e hai altri strumenti per esprimere bisogni e desideri, compresa quella capacità di parlare di te stesso, di esplicitare quanto ti manda in subbuglio, che unita all'empatia e al potere di "aggiustare" ciò che negli altri è rotto credo sia il tuo dono più evidente, prezioso.
Qualche volta ti viene tuttora il magone, è vero, soprattutto pensando al tuo di un padre, che non sappiamo bene dove sia e che tu non sai se ti abbia nel cuore o no, se ti è accanto almeno con lo spirito oppure è una traccia biologica nel tavolozza infinita del creato.
E' successo anche ieri l'altro, quando ti sei seduto a gambe incrociate sul letto, e hai cominciato a raccontare cosa sogni la notte, ciò che ti fa paura e cosa invece ti lascia contento. A un certo punto, mentre parlavi, hai portato le nocche delle mani agli occhi e ti sei fermato di colpo. Ho compreso che piangevi dal singhiozzo e m'è venuto da proteggerti, cingendoti in un abbraccio, piccolo come sei, nonostante abbia ormai un anno in più e sia un ragazzo fatto e finito.
Buon dodicesimo compleanno allora e grazie, perché come al solito il regalo lo hai fatto tu a noi, semplicemente essendoci, ma in quel modo originale, diretto, unico, che anche senza volerlo, ci mette in scacco.
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