venerdì 19 aprile 2024

La bellezza della Miseria (L'aver vissuto non passa mai)

Io non so come sia il sole nel Laos. L'altra mattina però splendeva alto a Torre Boldone, in un cielo terso che pareva un drappo teso e tinto di fresco d'un azzurro intenso, con una brezza lieve che rendeva tutto perfetto.
La signora Banchit, mamma del mio amico Paolo, per il suo funerale immagino non avrebbe potuto desiderare di meglio. Almeno qui, in quella Bergamo diventata gioco forza la sua casa, mentre certo avrebbe apprezzato qualsiasi clima nel Laos, terra in cui è nata e che ha dovuto abbandonare troppo presto: a metà degli anni Settanta, complice una rivoluzione cruenta e le coincidenze che ricama il destino o la Provvidenza, per chi nei colpi di spatola della vita scorge un disegno.
Della cerimonia, composta ed essenziale come dovrebbero esserlo tutte quelle di congedo, non dico nulla, mentre tre dettagli ho impressi, marchiati a fuoco.
Il primo è il ciglio asciutto dei tre nipoti a funerale concluso. Un poco Anna, la più piccola, riusciva a stretto a trattenere il magone, mentre Marco ed Elisa parevano già adulti, stretti nella morsa di un dolore muto, nudo, di quelli che bruciano più a fondo, ma rendono uomini e donne, onorando così nel migliore dei modi il tributo di vita di chi li ha preceduti, il ramo da cui hanno preso germoglio.
Il secondo è stata la voce strozzata di Paolo, che per una volta è stato in pubblico come io lo conosco in privato, cioè una delle persone più sensibili e profonde che conosca, d'una tenerezza direttamente proporzionale all'esser spiccio, a tratti persino cinico, nelle situazioni in cui non c'è possibilità di alternativa o via di mezzo.
Il terzo è stato il prete, missionario, che con Banchit e suo marito ha incrociato i passi e messo a dimora un'amicizia, nel Laos. Sua è stata la frase appena sussurrata ma talmente potente da risuonare come un colpo di gong, un tamburo: "Il vivere passa, l'aver vissuto non passa mai". È proprio vero.
 
P.S. Di sua mamma Paolo ha ricordato soprattutto la capacità di ascolto, di silenzio, citando una sola frase, che non ricordo esattamente, ma che riguardava i colori e i profumi della miseria. "Soltanto oggi, poco fa - ha detto, come tra parentesi, Paolo - ho scoperto che 'miseria' è il nome di una pianta". Non lo sapevo neppure io. La "Tradescantia fluminensis" detta anche "Erba miseria", originaria delle foreste pluviali, dove prevale l'umido e passa poco sole, abbastanza però da far sbocciare fiori piccoli e delicati. Proprio come Banchit e le persone che insegnano come la vera grandezza sia racchiusa nell'umiltà. E che non servono troppe parole, per volersi bene conta l'esempio.

sabato 30 marzo 2024

Il giorno più bello (Prima dell'inciampo)

“Eravamo felici e non lo sapevamo” è una frase che mi suona spesso nella testa, specie in giorni in cui come i vecchi orologi  meccanici avrei bisogno per me stesso di ricarica.
L’esercizio della nostalgia, pur seducente e talvolta lenitivo, ha tuttavia la controindicazione di essere fine a se stesso: porta con sé qualche emozione, mai un cambio di pagina.
Per questo provo a spostare al tempo presente e in positivo quel pro memoria, declinandolo al qui ed ora: “Sono felice e lo so”.
Non capita sempre, di essere felici.
La felicità è puntiforme, mai continua, va a momenti, sfugge a qualsiasi gabbia e laccio con il quale trattenerla. In più, ha la stessa natura dei sogni, che puoi ricordarli vagamente o nel dettaglio, ma non è mai la stessa cosa, non si archivia: una volta che l’attimo trascorre si sbiadisce, evapora.
Io ad esempio ho traccia del giorno in cui sono stato più felice, ad occhio e croce, nell’ultima dozzina d’anni.
È stato il 24 febbraio scorso, un sabato (il sabato capita spesso sia tra i giorni felici, tranne che per chi fa il commessa o la commessa).
Per un combinato disposto di eventi su lunga e corta scala - un lavoro soddisfacente e stimolante, la sostanziale salute fisica mia e delle persone a cui tengo di più, il raggiungimento di obiettivi importanti per i figli, la vicinanza degli amici… - mi sono ritrovato la sera non potendo far altro che ringraziare per ciò che ho, non avendo null'altro da chiedere.
Ricordo nitidamente quell’istante.
Per due motivi: la sensazione bellissima di essere in cima a una montagna e insieme la certezza che da quel momento esatto in poi non poteva che esserci peggioramento, discesa. 
La felicità è così, l’esatto contrario della sventura: la seconda è orrenda, ma contiene in grembo un seme; la prima stupenda però porta in dote un tarlo.
Ed è così che si accompagnano, sempre, in eterno equilibrio, come morte e vita.

P.S. Per giorni ho taciuto persino a me stesso che quel giorno di pienezza poteva essere il perno di una svolta, l’apice a cui segue il declino, ripido o dolce che sia.
Anche gli adulti infatti, al pari dei bimbi piccoli, a volte chiudono gli occhi confidando che così nessuno li veda.
Qualche scricchiolio l’ho avvertito subito, ma poca roba, tanto da illudermi che mi sbagliavo, che forse potevo farla franca.
Mercoledì 28, sempre di febbraio, invece, a tarda sera, è giunta la certificazione di un balzo all’ingiù, in tutti i sensi. Per mia mamma, che ruzzolando sulla scala della cantina - la foto che ho messo e che ho scattato qualche giorno dopo, casualmente, a Brescia, rende bene l'idea - s’è rotta entrambi i talloni. E per me, che ho subito compreso come da lì in poi sarebbe stata dura.
Lo racconto ora, senza pesantezza, poiché il peggio è alle spalle e di quell’inciampo potrei elencare anche qualche seme positivo che ne è derivato. Ma questa è un’altra storia.

sabato 24 febbraio 2024

Ad alta voce (Elogio d'un puro)

Di nome fa Nicola ed è un puro.
Se ne scrivo qui è per mandargli idealmente un abbraccio, visto che ieri è andato in pensione e l’ho sempre stimato tantissimo, non tanto come cronista, che di colleghi bravi ce ne sono un sacco, bensì come persona, come essere umano.
Chi è poco attento alle vicende extra redazione Nicola Panzeri lo conoscerà a malapena o niente affatto: esordio professionale nella sua Brianza alta, se non ricordo male al Giornale di Merate, poi una vita a La Provincia, con una parentesi a Il Cittadino di Monza, dove l’ho conosciuto.
Un omone alto e grosso, anche di voce, tanto che convivere con lui non è stato facile per chi aveva la scrivania a un passo.
Anche perché, a differenza della maggior parte di noi, che utilizziamo (e spesso abusiamo) di messaggi o mail, lui è rimasto fedele al telefono, alla comunicazione diretta, alla relazione fatta di botta e risposta, spiegandosi a tono, anche se nel suo caso con qualche decibel di troppo.
Un dettaglio marginale, tuttavia, rispetto al motivo per cui ai miei occhi si è sempre distinto: il suo candore di fondo, una bontà d’animo scevra da ogni smanceria o pelosità, e che riassumo in un dettaglio che di lui dice tutto: non l’ho mai sentito parlar male di nessuno. Di nessuno. Mai. Neanche un accenno, un allusione, un pettegolezzo. Al massimo un sopracciglio alzato o un’espressione attonita, di stupore o perplessità, a cui però non aggiungere verbo. E anche quando esprimeva una riserva o un dubbio, era sempre contestualizzato a un fatto, mai alla persona in sé.
Ecco perché Nicola Panzeri mancherà, in un piccolo mondo qual è il nostro. Perché i grandi giornalisti possono scrivere articoli bellissimi, ma sono le persone serie, leali, a fare da colonna a un tempio qual è quello dell’informazione, sempre più a rischio d'esser profanato.

P.S. C’è un secondo aspetto per il quale Nicola ha da insegnare a chiunque, quello della fedeltà nell’amicizia. Se penso a lui non posso infatti prescindere da Ernesto, Ernesto Galigani, che di carattere è assai differente da Nicola, ma che con Nicola s’è sempre completato, esattamente come capita a me con gli amici a cui più tengo. 

sabato 10 febbraio 2024

Ma quali palle (Il grande inganno)

Io non lo so, figlia mia, se tutto il gran parlare di "patriarcato" contribuirà a raddrizzare qualcuna delle molte storture che tuttora resistono oppure se il tifo da stadio che si scatena su tutto - o di là o di qua, o con me o contro di me, bianco o nero - immergerà in una melassa di qualunquismo e di banalità ogni ragionevolezza e buon senso. Così come ignoro il giusto o lo sbagliato su molte questioni.
Quasi tutte, a dire il vero.
Se c'è una cosa che però mi risulta chiara è quanto truffaldino sia indicare ad un attributo maschile - "le palle" - qualità che noto spessissimo declinate al femminile: il coraggio, la schiettezza, la perseveranza, la forza, il puntiglio, l'audacia. E se fino a qualche tempo fa pure io, a mo' di complimento, dicevo: "Ha le palle", ora mi mordo la lingua, vergognandomi persino.
Perché le molte donne al comando che stimo, e anche quelle con ruoli di minore visibilità, ma di eguale responsabilità e servizio, non sono quelle emerse scimiottando irruenza o cinismo, bensì aggiungendo alla determinazione sensibilità, stile, spessore umano, garbo.

P.S. È stato un mese, quello appena archiviato, immerso in un'esperienza totalizzante, trascorsa con le ali ai piedi e un cuore a gonfie vele, impegnato come non mai e al tempo stesso mai stanco. Non aggiungo altro, per adesso. Se non un "grazie", perché davvero sono un uomo fortunato. 

lunedì 8 gennaio 2024

Un terno all'otto (Il giorno non qualunque)

Me ne sono ricordato all'ultimo, al termine di una telefonata in coda alla serata, quando il campanile di sant'Agata batteva le undici e già stavo per salutare spiccio mia mamma, curioso di vedere l'ultima bozza della prima pagina.
"Hai cominciato nel giorno del papà" mi ha detto, incrinando d'un tratto la voce, come chi d'improvviso si rattrista.
Il giorno del papà. Lo avevo completamente scordato, non soltanto oggi, che pur ho qualche giustificazione, essendo entrato in un frullatore d'informazioni, nomi, volti, ma altresì in ciascun iniziato degli ultimi due mesi, da che ho saputo che a Brescia avrei iniziato il nuovo lavoro proprio l'8 di gennaio.
Quindici anni fa, una notte di queste fu un'alba d'agonia. Se ne andava colui che più ha inciso nella mia vita, generandomi non soltanto biologicamente e donandomi quella libertà - di essere chi sono, di non adeguarmi a un modello costituito - che considero il vero privilegio tuttora.
Così sono i casi della vita, le coincidenze che sorprendono, dimostrando che la realtà è sempre più creativa della fantasia (perciò aveva ragione Buzzati, che sulla sua macchina per scrivere aveva appiccicato un bigliettino con scritto: "Racconta, non fare il furbo").

P.S. È stato un giorno denso e lieve insieme, una sensazione d'immersione, a metà tra il mare agitato e Gardaland. Qualche breve dettaglio in cronaca: sono arrivato in treno (ecologicamente corretto), ho sorriso molto e cercato di fare un'impressione buona (speriamo), ho voluto esserci all'apertura e restare fino alla chiusura (una sorta di rito di ringraziamento, di iniziazione auto imposta), mangiato da McDonald's (scorrettissimo, eticamente e dieteticamente), chiamato eccezionalmente mia mamma al telefono per rassicurarla che tutto è andato bene (ed è lì che è uscita la vera notizia, anche se poi la data dell'8 ha confuso entrambi, poiché quella esatta sarebbe stata il 10 di gennaio. Però, come pare abbia risposto a un collega scettico l'allora direttore di Repubblica, Ezio Mauro, riguardo una notizia riportata dal suo giornale in prima: "È talmente bella, vuoi anche che sia vera?")


 

domenica 7 gennaio 2024

Lo scarto (Granelli d'opportunità)

“Il viaggio d’una vita non corrisponde a un piano carriera”.
L’ho letto in un libro e lo riporto qui, sentendolo corretto, giusto, vero, in un tempo in cui pretendiamo che tutto - per primi noi stessi - funzioni perfetto, senza incepparsi, un tentennamento, un giro a vuoto, un guasto.
Una perfezione a immagine e somiglianza dell’unico mondo che sappiamo creare e che non ci siamo trovati, un mondo di “macchine” o, per parlar del contemporaneo, di programmi di computer, di algoritmi, catene infinite di simboli numerici che basta un punto o una virgola fuori posto per bloccare tutto.
Nella vita reale accade il contrario: è sempre l’errore, la stortura, il granello nell’ingranaggio che permette un salto in avanti o in alto. Guarda caso chiamiamo con lo stesso nome, “scarto”, sia ciò che ha poco valore e si butta, si elimina, e uno spostamento laterale, brusco, improvviso.
L’errore, lo sbaglio, la debolezza, l’assurdità, la svista, il malinteso, non sono vergogne o sentenze che inchiodano alla croce, bensì limiti da accogliere e possibilmente trasformare, in opportunità.
Un buon motivo per essere esigenti, ma non severi, nei confronti di noi stessi e degli altri.

P.S. Il professor Lombardi Vallauri, all’università, prendeva spunto dall’inglese e insisteva parecchio sul valore del verbo “realizzare”, cioè comprendere pienamente, rendersi esattamente conto.
Momenti così ne abbiamo tutti, il più recente per me è stato scoprire che da che l’essere umano può definirsi tale sono passate ventimila generazioni.
In pratica, ventimila anelli di catena, ventimila padri e nonni uno in fila all’altro, di cui soltanto gli ultimi cinquecento cacciatori o agricoltori, il resto ancora impegnato a restare sugli alberi, a destreggiarsi tra rami e foglie in qualche foresta pluviale a decine di migliaia di chilometri da dove abito adesso.
E io, che domani da qui partirò, alla volta di un'altra città, di una nuova sfida lavorativa, mi sento piccolo piccolo, ma pure sollevato, che per quanto possa essere inadeguato o sbagliare, non ne risentirà l'umanità e men che meno il pianeta.

domenica 31 dicembre 2023

Il seme del bene (Più prezioso Dell'Oro)

Una miriade di semi di bene, quelli che scopro qua e là, grazie alle molte persone che in questo tempo - complice l'imminente partenza da Bergamo - mi dimostrano vicinanza, riconoscenza, affetto.
Una bontà che mi avvolge e a cui spesso replico con imbarazzo, come quei bimbi che diventano rossi e non sanno dove posare lo sguardo. Messaggi inaspettati, parole sussurrate in ascensore, persino abbracci nei corridoi e una festa a sorpresa con pranzo frugale, filmato commemorativo e addirittura un murales composto dalle centinaia di foto polaroid scattate a ciascuno degli ospiti di "Via Novelli", il tutto organizzato dai ragazzi e dalle ragazze di Edoomark. Una grandezza, la loro, che mi fa sentire ancora più piccolo, certo di avere molto dato, non lo nego, ma altresì di aver assai più ricevuto.

P.S. Un altro anno se ne va, pagine spicce consegnate all’archivio, storie a lettere minuscole che interessano una cerchia ristretta, allargata alle persone che negli ultimi dodici mesi ho conosciuto e a coloro che non ci sono più.
L'ultimo - in ordine di tempo - è  un collega che ho stimato. Si chiamava Marco Dell'Oro e, conoscendolo, so che non apprezzerebbe se mi dilungassi o ne tessessi l'elogio. Perciò lo ricordo attraverso uno degli ultimi messaggi che mi ha mandato, prima che d'improvviso, nel maggio scorso, mentre era al lavoro, in una sera simile a tante altre la vita gli scivolasse via, come uno strappo.
"Commosso, ringrazio" mi aveva scritto per ringraziarmi di un saggio di Chesterton, che gli avevo regalato con questa dedica: "Grazie per ciò che fai, quasi sempre sottovoce o addirittura in silenzio...".
Ed è proprio così che se n'é andato, in silenzio, senza alzare la voce, in punta di piedi, come ha sempre vissuto.