martedì 26 novembre 2024

L'eredità (Una famiglia allargata)

Lo dico spesso, con ironia, che è l'abito che indossa la verità quando vuole vestirsi di leggerezza: «Trovarci attorno a un tavolo, il fine settimana, a pranzo o a cena, è il segreto  per andar d'accordo della nostra famiglia allargata». Allargata ai miei cognati e ai loro figli, una dozzina di persone di media, a massimo regime una quindicina.
Non mi vergogno ad ammetterlo: quei momenti sono per me una festa e rinunciarci, quando capita, è una pena, mancando il piacere della convivialità spontanea, che infonde dosi omeopatiche di tolleranza, impedendo che incomprensioni o differenze montino a neve, trasformandosi da fiocchi sporadici in slavina.
Una sorta di rito laico, in cui il cibo importa meno dell'ingrediente principale, che è la compagnia, la chiacchiera, esente da ogni "politicamente corretto" e obbligatoriamente a voce alta, altissima, soprattutto man mano che il pasto avanza, raggiungendo verso il dolce la punta estrema.
E se penso a qualcosa di buono da lasciare un giorno in eredità mi viene in mente proprio questo: l'occasione cercata, creata, rinnovata periodicamente, di "essere famiglia", che mi fa sentire parte di qualcosa di ampio e di antico, di casa.
P.S. La famiglia è per sua conformazione "democratica", uno vale uno e si è sempre tra pari, al netto di età, sesso, storia. Se cito una persona, mio cognato Fulvio (per chi non lo conoscesse, colui che nella foto qui sopra serve la pasta), è soltanto perché so che ci tiene, che vorrebbe un post tutto suo già adesso che è in salute perfetta e non nel giorno in cui servirà da tributo alla memoria. Il fatto è che non è semplice realizzarlo in maniera preventiva. Gli spunti ci sono, difficile invece è attingere al pathos, al sentimento, che certamente farà da carburante allora. Per la commemorazione ufficiale dovrà dunque farsene una ragione e portare pazienza. Di certo, posso assicurarglielo, userò per lui l'identico criterio di luci ed ombre (che a riportare soltanto le prime sarei un leccapiedi, se mi concentrassi unicamente sulle seconde mi dimostrerei una canaglia). Tra i pregi, ad esempio, direi che è generoso, una generosità da prodigo, mai di calcolo e sempre di cuore. In più è la persona meno sboccata che conosca, non dice parolacce ed è una "pulizia" a specchio dell'assenza di volgarità che lo caratterizza. Non basta. Gli invidio profondamente l'eccellente manualità, l'abilità pratica che applica sia al fai da te, sia allo sport o nella navigazione in barca, alla guida di un’auto, ai fornelli in cucina... Tra i difetti, dicono sia lunatico, ma a me non pare o comunque non tanto da volerne evitare la compagnia. Pensa di essere migliore di tutti, quello sì ("Non penso di esserlo, lo sono" direbbe, con fare ostentatamente smargiasso e un sorriso beffardo, da attore consumato, se glielo si facesse notare) ma lo si perdona volentieri se gli si fa la tara e non si soffrono complessi di inferiorità. Ciò che invece gli confesserei se fossimo soltanto io e lui, in quel momento in cui ci si deve salutare per sempre e la voce si strozza in gola, è che davvero mi ha fatto sempre sentire "famiglia" e che "famiglia" ha contribuito a costruire per noi. Al netto di tutto ciò che abbiamo passato, la mia vita, la nostra vita, senza lui sarebbe davvero più povera. E non mi riferisco ai soldi. Anzi, proprio il contrario dei soldi, cioè quello che non ha prezzo e che vale più di tutto. Per fortuna però quel momento non è arrivato e sperando giunga tra minimo cinquant'anni, confidando che sia resistente come suo papà Bruno, che fino a qualche anno fa andava ancor in settimana bianca e pure adesso che barcolla, non molla.

domenica 6 ottobre 2024

Spezzare le catene (Non vi possiedo)

“Spezzare le catene”. Di questi tempi mi vengono in mente frasi che paiono lapidi, apparentemente a caso, come se me le sussurrasse all’orecchio qualcuno, pur se a girarsi di scatto non scorgo nessuno.
“Spezzare le catene”. Un invito e insieme un piccolo mistero, non essendo così intuitivo il significato. “Catene” infatti attorno a me non ne vedo, non a un primo sguardo almeno. Pensandoci però forse ciò che mi “lega”, in un certo senso “imprigiona”, lo trovo.
Il laccio delle abitudini ad esempio.
Quello del comodo, della pigrizia che frena la ricerca del bello, del buono.
O lo spago del misurare tutto, lo schiavismo del bilancino, che inibisce il dispensare con generosità, non tanto e non solo il materiale, quanto nelle relazioni, innescando quel meccanismo del “do soltanto se ricevo”.
E il peggiore di tutti, il cappio della paura, il timore paralizzante del giudizio altrui, del fallimento. Dimenticando che, in realtà, fallisce soltanto chi non ci prova davvero.

P.S. Ti vedo, vi vedo, così parte di me e così diversi da me, così vicini e così estranei, indipendenti, autonomi, alberi che crescono portando frutto, personalità che si formano e sbocciano in modo originale, unico. Esiste un filo elastico che ci lega, ma al contempo così lasso e lungo da permettervi di camminare e giungere ovunque, senza sentire vincolo, senza catene, anche se anelli di catena siamo.
Con voi sperimento l’amore vero, quello del non trattenere, dell’essere lieto soltanto di ciò che rende lieti voi davvero, del restare sempre disponibili senza pretendere nulla in cambio o di ricambio.
In questo credo stia il senso più profondo di “dare la vita”, che non si riduce all’inizio, ai cromosomi e a quell’unica cellula dalla quale è iniziato tutto ma si rinnova ogni giorno, lasciando semi in continuazione, senza pretesa o certezza o sospetto che mettano radice, si riproducano.
E in questa storia che si riduce a una parentesi tonda di qualche decennio, in cui di me tra due generazioni non resterà nemmeno il ricordo, voi siete ciò che ho di più prezioso, proprio perché “siete” e non “vi possiedo”.

sabato 21 settembre 2024

Aprirsi alla meraviglia (La vena creativa)

“Aprirsi alla meraviglia”. Una frase che mi rimbalza in testa da qualche settimana, formatasi nella mente come un lampo, tanto che per giorni ho avuto la sensazione che non fosse mia, bensì l’avessi avuta in dono per farmi da bussola e nel contempo affidarla a chi, per intuito, potesse giovarne, facendola a sua volta propria.
“Aprirsi alla meraviglia” può voler dire mille cose, è soggettivo, ciascuno può interpretarlo come pare.
Per me significa non essere pigro e osservare con stupore tutto, non dando per scontato nulla, considerando ciò che accade non come semplice puntino, bensì come linea d’un disegno.
“Aprirsi alla meraviglia” per me è soprattutto creare una relazione pienamente umana con le persone che incontro, osservandole dritte negli occhi, non facendo scivolare lo sguardo su nessuno, godendo delle occasioni in cui per un passo mio o dell’altro il contatto è ricambiato e si innesca uno scambio che fa sentire anche soltanto per quell’istante speciale, unico.

P.S. Non essendo un genio e neppure un suo parente lontanissimo, ora che scrivo ogni giorno sul giornale (qui sul web) esaurisco rapido la vena creativa e mi ritrovo per questo “diario” d’una vita asciutto.
Poco male. Sarei più preoccupato se non cogliessi il confine del banale o mi ostinassi a replicare l’ovvio, lasciando traccia qui di una mammella vuota, convinto invece di scrivere pensieri imprescindibili da consegnare al mondo.
Faccio eccezione oggi, per ringraziare le persone che mi sono amiche, contentandosi d’una presenza intermittente, che somiglia a un ritaglio pure quando non lo è.
Anche se ho sempre la sensazione di procedere su un ciglio sottile, in precario equilibrio, pedalando veloce o spingendo sull’acceleratore del motorino, ma con la sensazione che basterebbe poco per farmi scivolare in un dirupo, ammetto che questi sono mesi sereni, di soddisfazione ampia, in cui il lavoro mi fa sentire realizzato. Soprattutto, a differenza di altre fasi del passato, non mi sento più “trasparente”, bensì considerato, consapevole che il mio impegno sia utile a una buona causa.
Non è poco.

sabato 31 agosto 2024

Il caso esiste (Facciamoci caso)

Caso e destino. Destino e caso.
Per definizione comune “il destino presuppone che un fatto sia legato ad altri fatti da una catena di eventi: è una visione deterministica del mondo. La coincidenza, al contrario, spesso implica che le cose accadano per caso, non quindi secondo una determinata catena di eventi”. Per quanto mi riguarda, invece, mi paiono la stessa cosa, soltanto guardata da un punto di vista diverso: prima e dopo.
La linea che li separa, nella vita, è meno netta di quando la si scrive nero su bianco. Dire che possiamo contribuire a creare la realtà, trasformare il caso in destino, ha un suo significato.
Pensiamo a quella che in psicologia si chiama “profezia che si auto avvera”, una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Non è scontato, però conta.
La differenza è sottile, la stessa che passa tra conoscere e intuire, tra il sapere e il sentire. Al caso non si comanda, semmai lo si orienta, lo si instrada, gli si prepara un solco dove sarà più facile che si incanali, sapendo che se lo si prende di petto, s’impunta, mentre se lo si ghermisce, lusinga, è più facile che si sdrai nel letto che abbiamo preparato per lui.

P.S. In questi mesi ho un espediente per scacciar le nubi quando l’orizzonte si fa cupo: faccio l’elenco di ciò che c’è di positivo.
Stendo così luce sull’ombra, consapevole che mai tutto è nero e sempre fa differenza la prospettiva, ciò che i nostri occhi scelgono di guardare, il pieno o il vuoto, il buono o il gramo, fuori dalla finestra o dentro un pozzo.
Credo valga in special modo quando si affronta un periodo difficile o si porta nel cuore una pena.
Non esistono bacchette magiche, né ricette miracolose o clausole di salvaguardia: sempre la tribolazione - per uscirne - va attraversata. Creare però degli appigli, compiere piccoli gesti di resistenza, può accorciare la strada.

sabato 24 agosto 2024

Chi ha tempo (Non aspetti tempo)

Scusate s’è tardi, ma si fa presto a dire: “Tempo”.
Quale tempo? Non il meteo e neppure il kairos, il momento opportuno, propizio. Proprio il tempo, il kronos, quello che scorre e che siamo abituati a considerare “uno”. Sbagliando.
Sì, perché non c’è soltanto il nostro, di tempo, quello che siamo abituati a conteggiare con le lancette dell’orologio o i minuti in evidenza sul telefono.
Il tempo al singolare non esiste, esistono i tempi.
C’è quello infinitesimale, per il quale persino il “secondo” è unità di misura a grana troppo spessa per coglierlo. Pensiamo alle cellule che si dividono, alle molecole che si abbinano, agli atomi che si aggregano e scindono… Sembra fermo, invece è tutto un movimento, anche adesso, mentre scrivo: le unghie, i capelli, i fili d’erba, le foglie d’albero, stanno crescendo o regredendo, modificandosi insomma.
Poi c’è quello enorme, degli astri, delle ere geologiche, dell’universo che si espande…Tredicimila e rotti miliardi di anni. Tredicimila. E rotti. Miliardi di anni. Miliardi.
Anche ad impegnarsi, una dimensione tanto estesa che la nostra mente non può cogliere.
In mezzo, tra il grande e il piccolo, ci siamo noi, abituati a pensarci al centro forse proprio perché ci troviamo “in mezzo”.
Sì, vabbè, e allora? Cosa vuoi dirci?
Nulla. Non ho lezioni da impartire, soltanto pensieri da condividere. Ciascuno può prenderli per intero o coglierne un pezzetto, aggiungendone dei propri o semplicemente mettendoli da parte, conservarli in un cassetto o masticandoli come si fa con il nocciolo dell’oliva, prima di sputarlo.

P.S. Le coincidenze. Anche ad esse facciamo poco caso, dando tutto o quasi per scontato, mentre la nostra vita non è che un continuo, incessante, verificarsi di sincronismi, simultaneità, concomitanze. La maggior parte non le governiamo, accadono da sé, qualcuna invece possiamo combinarla. Come decidere di trascorrere qualche ora di qualità con le persone che amiamo. O prendere il telefono e chiamare qualcuno che non sentiamo da un pezzo. O scrivergli. O cominciare un progetto a lungo rimandato. Buoni propositi di fine agosto, che non lasciano soltanto il tempo che trovano.

sabato 17 agosto 2024

L'anello ereditato (Cosa conta davvero)


Se li avessi qui, se me li trovassi faccia a faccia di nuovo, se per un istante potessi rincontrarli e guardarli negli occhi, proferendo verbo, direi loro che non abbiamo mancato di onorare il nocciolo di ciò che erano e hanno lasciato in eredità più dei soldi, più dei risparmi d’una vita grama e in salita, masticando per anni pane duro, tanto che quando è arrivata la tranquillità, il benessere, non sono riusciti a goderselo appieno.
Angelina, Carletto, l’altra Angelina, Emilio, Carla, Eudemia, e poi Irene, Mario, un altro Emilio e un’altra Carla, Gemma, Luigi, Assunta, Francesca, Pierino… Li ho conosciuti da bambino e frequentati parecchio, specialmente i primi, sangue del mio sangue, radice riconosciuta e rispettata d’una storia che chiamare famiglia è un tutt’uno.
Non ci sono più da un pezzo ormai, se non nei ricordi e nelle chiacchiere tra noi cugini o con chi ha fatto in tempo a conoscerli. Eppure resistono. Consapevolmente ancora un poco, finché ci sarà la mia generazione almeno, poi i loro contorni, i profili di volti e voci inevitabilmente svaniranno, mentre rimarrà inconsciamente quel nocciolo di lascito che in noi si è fuso e a nostra volta consegniamo: stare bene insieme; discutere anche animatamente senza però mai spezzare il filo; non litigare per i beni materiali; andare d’accordo; cercarsi con costanza; celebrare insieme le feste comandate; creare occasioni di incontro; esserci, quando si ha bisogno; sapere di contare sempre l’uno sull’altro.
Perché “famiglia” è sì ciò che si è, che è capitato, ma pure quello che si vuole, si sceglie di essere. Proprio come l’amore: un dono e insieme una decisione, un atto di volontà, istante per istante, giorno per giorno.

P.S. Vale per il mio lato di parentela e pure per quello ricevuto in dote, generazioni che si susseguono e intrecciano. Un anello che si rinnova e che ad agosto, da decenni ormai, trova modo di trascorrere insieme qualche giorno, con un piacere di “stare” senza obblighi o vincoli, che è la vera ricchezza inestimabile che abbiamo per retaggio e trasmettiamo a nostra volta, per contagio. 

giovedì 1 agosto 2024

Si sta come pietre (In equilibrio)

Scorrono i giorni come minuzzoli di vetro, di quelli che si trovano in spiaggia, lisci, opachi, levigati negli anni dal moto delle onde, fatti ruzzolare all'infinito l'un contro l'altro, belli ciascuno in sé e nessuno di valore alcuno, tranne che per l'attimo in cui si tengono tra le dita e si osservano, prima di gettarli ancora in mare, che tenerli via tutti non si può, non avrebbe senso, non ci sarebbe spazio.
Guardo a questo mio anno da qui, primo giorno d'un mese di mezzo, in cui per tradizione si prende vacanza, si stacca il piede dall'acceleratore o per lo meno si pigia un poco il freno.
Emergo anch'io con la testa, dopo un'immersione cominciata a gennaio, con il nuovo lavoro, il quale ha aderito a me perfettamente, quasi un esoscheletro. Sette mesi per certi versi turbolenti e ardui, come per ogni impresa al suo principio, riconoscendo che entusiasmo e incoscienza hanno supplito alla mancanza di esperienza, mentre desiderio di fare bene e buona volontà hanno posto rammendo alle inevitabili smagliature di chi si approccia a un mestiere nuovo e ha molto da imparare, pur se piazzato in alto (e proprio perché "in alto" avendo da imparare ancora di più).
La sensazione è però quella di un punto raggiunto, di una base posta, di qualcosa di buono che si è compiuto e che si schiude ora ad altre mete, altri obiettivi, non più in solitudine, ma finalmente in sintonia, in pieno affiatamento con le persone che ho la fortuna di avere accanto.
Di contro, a specchio, per quanto riguarda la vita, proprio questo momento esente dal bisogno, senza preoccupazioni eccessive o dolori o spine nel fianco, crea un tempo propizio per le domande eterne che accompagnano l'essere umano. "Si sta come sugli alberi le foglie" ha scritto Salvatore Quasimodo. Io mi sento più come quelle delle pietre messe in pila, una sopra l'altra, in equilibrio, stupende da vedersi eppure precarie, labili, che basta un nulla per spazzarle via, senza che lascino memoria del loro "esser state", un puntare verso l'alto ammirevole ma effimero. Pure io, come tutti - tutti coloro che hanno una certa sensibilità, almeno - non ho certezze, risposte di senso, ma fin che corro, come in bicicletta, resto in equilibrio, mentre appena mi fermo sperimento il vuoto, casco. Eppure nessuna caduta è continua. Per quanto possa far male, c'è sempre una fine, un fondo, la base per ripartire, ricominciare, rialzarsi di nuovo. 

P.S. Raramente do consigli di lettura, poiché i libri sono un vestito su misura, non esiste una taglia unica, che si adatta a ciascuno. Qui trascrivo titoli e autori di quelli che nelle ultime settimane ho letto io. "Il cacciatore di draghi" e "Lettere (1914-1919)" di J.R.R. Tolkien. "Il sesso è (quasi) tutto. Evoluzione, diversità e medicina di genere" di Antonella Viola". "Confessioni" di Lev Tolstoj. "Dodici racconti raminghi" di Gabriel Garcia Marquez. Sul comodino invece ho "Resurrezione", sempre di Tolstoj, e "La crisi del capitalismo democratico" di Martin Wolf.