mercoledì 30 settembre 2009

Hanno vinto tutti...

Hanno vinto tutti (tranne loro due)

Siamo stati facili profeti nel prevedere che alla fine Formigoni avrebbe tirato per le orecchie Bruni, spiegandogli che a cinque mesi dalle elezioni regionali non era proprio il caso di far figure barbine in tutto il mondo, piazzando un muro di fronte al lago e sostenendo ch’era giusto così, che in ottantamila si sbagliavano, mentre la ragione la possedevano soltanto loro due, il sindaco e il suo vice. «Ho parlato questa mattina con Formigoni...»: il primo cittadino l’ha messo persino per iscritto, nello stringato comunicato ufficiale che ne sancisce la resa. Le picconate al muro però le hanno date tutti i comaschi, senza distinzione di colore e casacca, ricordandoci un bel passo dell’ultimo libro di Erri De Luca, in cui si descrive la forza di una città che si ribella all’invasore e per quel tempo si trasforma in gigante, per poi ritrarsi e disperdersi, una volta raggiunto l’obiettivo, la meta. Il grosso è fatto, anche se il giornale rimarrà di vedetta, per assicurarsi che all’annuncio segua una retromarcia vera e che non sia tradita un’esperienza unica: la prova provata che Como, oltre a un cuore, ha anche una spina dorsale e un’anima.
La Provincia, 29.09.09

Bruni sordo...

Bruni sordo. I politici di razza hanno più fiuto

Un uomo solo è al comando. Stefano Bruni ha scelto di esserlo da tempo, tirando dritto come suo solito, sordo a una sollevazione che va dal Manzanarre al Reno (in pratica, dal Rotary Club al Circolo Arci, caviale e martello) incurante di immolare se stesso e forse confidando di scamparla anche stavolta, come già in passato gli è successo.Il fatto è che i politici di razza fiutano lontano un miglio dove va il vento e, ad uno ad uno, i vari leader lo stanno scaricando. Ha cominciato Bossi, ha continuato Butti (rimasto per lunghi giorni in vibrante silenzio) e sospettiamo che pure Formigoni farà lo stesso, al terzo servizio del Tg Uno in cui si dice che con i soldi della Regione si sta rovinando il lago. E poi ci sono i cittadini comuni, per primi i suoi elettori, che da quell’orecchio non ci sentono e, Bruni o non Bruni, quel muro pretendono sia tolto. Ci spiace che ieri un gruppo di ragazzi sia andato a importunarlo urlando davanti al suo portone e se qualcuno anche soltanto pensasse di esagerare con la protesta, sappia che noi saremmo i primi a difendere il sindaco, a consentirgli di esercitare il ruolo istituzionale che ricopre. Nulla nuoce a una buona causa più degli estremismi: chi ha ragione deve essere ragionevole. E di ragioni, chi sostiene che quel muro vada abbattuto, ne ha un mondo intero.
La Provincia, 28.09.09

domenica 27 settembre 2009

L'addio gentile di Jole...

L'addio gentile di Jole e le storie che meritano
Oratorio di Albate, giovedì scorso. Ventidue ragazzini in calzoncini e maglietta inseguono un pallone su un campo lungo e stretto, mentre i genitori chiacchierano. Il tema, manco a dirlo, è il muro in riva al lago. Uno di loro è scettico, dice che era scontato ci fosse, e quando una mamma interviene timidamente, dicendo: «Però ho letto sul giornale...» subito viene interrotta, con fare spiccio e un: «I giornali, i giornali... I giornali scrivono quello che vogliono».È vero, scriviamo quello che vogliamo. Ma ciò ch’è scritto è alla luce del sole, ognuno può valutarlo e andiamo in edicola guardando negli occhi il lettore, rispondendo - oltre che alla nostra coscienza - al suo giudizio e a quell’euro che decide di spendere ogni giorno. Nell’ultima settimana la vicenda delle paratie ha tenuto banco, lasciando molte altre notizie in secondo piano. Purtroppo, aggiungiamo, poiché avrebbero meritato più attenzione, più spazio. Personalmente, ad esempio, ci piacciono le storie. Le storie di tante persone non illustri, uomini e donne normali, magari protagoniste loro malgrado o che si sono distinte non per avere affrontato come San Giorgio il drago, ma per avere fatto il loro dovere con umiltà, anch’esse ogni giorno. È il caso di Jole Mognoni, alla quale questo giornale ha dedicato un trafiletto, sempre giovedì scorso. Per decenni ha lavorato in Comune di Como, nell’ufficio di segreteria del sindaco, vedendone passare ben sei (Spallino, Meda, Bernasconi, Pigni, Botta e Bruni) e imparando a conoscere pregi e difetti di ciascuno, distinguendo l’amministratore dall’uomo e probabilmente imparando sulla propria pelle la massima secondo cui: «Nessun uomo è grande per il suo cameriere». Nemmeno per l’impiegata di turno. Ma stupendo è il messaggio che Jole ha lasciato: «Scendo da questo treno con serenità e senza rimpianti e con una certa impazienza attendo di salire sull’altro treno chiamato nonna/famiglia dal quale spero di non scendere più».Glielo auguriamo anche noi, Jole. Se l’è meritato.
La Provincia, 27.09.09

Cari comaschi...

Cari comaschi, contro lo scempio alziamo la voce

Le prime avvisaglie, è onesto riconoscerlo, le aveva date già in consiglio, quando aveva rassicurato i colleghi politici con sorrisi e strette di mano, ma al momento del discorso ufficiale, quello che rimane registrato, era stato più doroteo di Rumor, cesellando parola per parola, dicendo che sì, insomma, anche la moglie ci aveva messo del suo e l’aveva convinto, che così, proprio così, il muro è brutto e alto, troppo alto, provvederemo, lo abbasseremo. Il punto è questo: Stefano Bruni e con lui Fulvio Caradonna, quel muro, quel mausoleo di cemento armato, vogliono limarlo, non abbatterlo e una conferma senza appello l’ha data ieri il sindaco stesso, dichiarando nero su bianco: «No a modifiche radicali».Ed è qui che tra noi e lui la distanza è di un chilometro, è qui che dobbiamo porre la linea di demarcazione tra chi è tiepido, tra chi è disposto a farsi condire dai buoni propositi, dalla politica degli annunci a buon mercato, sperando che magari si plachi il vento, e chi invece su questa tema non accetta compromessi, distinguo. L’abbiamo scritto ieri e ieri l’altro e da una settimana a questa parte almeno: quel muro non lo vogliamo, la vista lago deve essere restituita alla città per intero. Non è questione di centimetri e neppure di punti di vista: se non fossimo preoccupati, ci farebbe sorridere l’insistenza con cui Caradonna mette le assi in riva al lago, per dimostrarci che il marciapiede sarà un po’ più alto, che qualcosa alla fine guadagneremo, che se ci mettiamo d’impegno "ruberemo" anche una mezza spanna dalla strada e così anche nostro figlio, che invece di essere alto due metri, supera a malapena il metro e mezzo, se salta o monta in spalletta, uno spicchio d’acqua lo potrebbe vedere davvero. Per non parlare delle pietre preziosissime con cui il muro verrebbe ricoperto o le foriere, spacciate per novello giardino pensile di Babilonia e che, a sentir il sindaco e il suo vice, dovrebbero convincerci che sì, in effetti, finalmente loro hanno portato a Como la cultura del nuovo, del bello. Il muro, le fioriere, le preziosissime pietre, se fosse per noi, potrebbero portarsele tutte quante a casa loro, perché tra la città e il lago non dev’esserci alcuna barriera più alta del ginocchio. Se questo significa «una modifica radicale al progetto» che si provveda, bene e presto. La sollevazione che c’è stata, l’unanimità con cui i tre giornali cittadini e la tv hanno preso posizione, la lunghissima lista di cittadini che hanno preso carta e penna e hanno scritto o semplicemente firmato contro il muro, è una forza senza precedenti. Un tornado che non deve cessare, una tensione che è giusto mantenere. Lo scriviamo non per timore che i comaschi si stanchino di difendere casa loro: abbiamo parlato con troppa gente, in questi giorni, e visto troppe facce di persone che hanno preso l’auto o il bus e sono venute nella nostra sede per lasciare il tagliando "Una firma contro il muro" e che consegnandolo volevano parlare, sfogare la loro rabbia, la loro delusione e non possiamo immaginare una resa prima che lo scempio sia abbattuto. Ma ci preoccupano i politici che con l’elezione credono di avere una cambiale in bianco e non li smuovi dalle loro convinzioni neppure cascasse il mondo. Per il flauto dolce c’è tempo: finché non sentono ragione, è giusto e sacrosanto battere il tamburo.
La Provincia, 27.09.09

venerdì 25 settembre 2009

Anto', mannaggia...

Anto', mannaggia. Casca il mondo e non ti smuovi

«Anto’, mannaggia ’o core tuio». Antonio è Viola, di nome ma non di fatto, perché lui - uno dei "tre uomini in barca (per tacer del cane)", che hanno fatto sbocciare in riva al lago un muro - difficilmente si scompone. Anche l’altra sera, in televisione, portato a peso da Caradonna per spiegare l’inspiegabile, non ha fatto un plissé: seduto sul suo sgabello, pareva un personaggio degli atti unici di Eduardo. E mentre l’assessore sbraitava e azzannato azzannava, lui rimaneva lì, ieratico, per proferir due parole a bassa voce solo se chiamato in causa, con quell’aria da napoletano in fuga, che se casca il mondo fa un passo più in là, convinto che qualunque accidenti accada, prima o poi «Ha dda passà ’a nuttata». Viola Antonio, cinquant’otto anni, una laurea in ingegneria civile e trasporti, di nottate ne ha passate parecchie, da quel 3 novembre 1981 in cui mise piede in Comune, a Como, fino a diventarne capo dell’area tecnica, nel 2004. In quasi trent’anni ne ha fatta di strada e più ancora di strade, sempre con quell’aria impassibile, che non gli ha impedito d’infilarsi nei guai. Successe al tempo del Dadone, quando fu indagato da Astori, uscendone però immacolato. Gli capitò peggio per lo svincolo di via Scalabrini e fu rinviato a giudizio per truffa e falso. Poi assolto. Una vicenda che comunque ha pagato caro: più di quindicimila euro, confermati dalla Corte dei Conti in appello. Gli andò bene: il procuratore ne pretendeva 75 mila. Vicende vecchie, passate, aggiungendo un giorno dopo l’altro, portando a casa un reddito lordo annuo di 115 mila euro, scivolando sugli asfalti e sempre rialzandosi, meglio della Kostner, senza scomporsi, tra una ‘tazzulella” di caffé e l’altra, sapendo che a ogni "nuttata" ne segue sempre un’altra e che prima o poi passerà anche quella. E non sarà certo un muro, neppure questo, a togliere il sonno all’ingegner Viola, il quieto don Antonio, «mannaggia ’o core tuio».
La Provincia, 24.09.09

Molti colpevoli...

Molti colpevoli, un Abbondino per l'Innocente
Con un nome e cognome così, che pare il titolo d’una rubrica della Settimana Enigmistica, non poteva che entrare a piedi uniti nella cronaca cittadina. Innocente Proverbio è la piccola vedetta lariana che per primo ha gridato: «Al muro, al muro» e lo ha fatto prendendo carta e penna e scrivendo al giornale. Un nostro lettore, ma poteva esser fedele a un altro quotidiano o vedere "Striscia la notizia", poco importa. Un cittadino qualunque, meticoloso, preciso, probabilmente un pignolo e fors’anche - ma sì, diciamolo - un po’ rompiscatole, almeno a vederlo così, in fotografia, e a sentire ciò che dice. Ma che il cielo benedica quell’Innocente "rompiscatole" e con lui tutti quei cittadini che ogni giorno ci scrivono, segnalano, s’interessano insomma, della città in cui vivono. È la nostra, la loro. Sapete cosa pensiamo? A Innocente Proverbio - e idealmente a tutti quei lettori - sarebbe giusto assegnare l’Abbondino. È lui il milite noto che se vede qualcosa che stride non alza le spalle, non si volta dall’altra parte, ma inizia la sua battaglia, senza preoccuparsi di quanto alto o robusto sia il muro dove sbattere il muso. Gli sia dato merito.
La Provincia, 23.09.09

mercoledì 23 settembre 2009

Quello che nella vita...

Per una volta la copertina di Como Cronache è dedicata a qualcosa di diverso, rispetto ai fatti quotidiani. Lo spunto è dato da una classifica del Sole 24 Ore, che mette in fila le città tenendo conto non soltanto del Pil, ma anche di altri indicatori di soddifazione. La nostra città si scopre mediocre, a metà graduaturia: ricchi ma stressati, per sintetizzare.

Quello che nella vita conta davvero
Muri, buche, strade... Polemiche, bufere, scontri... Destra, sinistra, centro... Soldi, cemento, affari... Problemi, problemi, problemi. Concreti, fisici, materiali, che trovano spazio sulle nostre pagine perché s'insinuano nella vita di tutti i giorni, la influenzano, la soffocano persino. E noi schierati in prima fila, a denunciare situazioni, chiedere spiegazioni, pretendere e suggerire soluzioni. Un rullare di tamburi ch'è il nostro mestiere: vedere e raccontare.Ci sono giorni come questo, però, in cui una semplice notizia, una classifica stilata dal Sole 24 Ore, getta scompiglio nelle certezze e ci costringe a sostare, riflettere, porci domande, pensare. E se la priorità fosse un'altra? E se anche noi, anche su queste pagine, scordassimo troppo spesso che il "fare" è importante, ma l'essere, e l'essere felici in particolare, lo è molto di più. Ricordiamo un bel libro di Luca De Biase ("L'economia della Felicità") e una frase che vogliamo condividere con voi, in cui si diceva più o meno questo: «Occorre una cultura che rivaluti ciò che non ha prezzo: il valore del tempo da dedicare alle persone; la sapienza di distinguere quello che vale e quello che non vale; la ricchezza della qualità; l'indifferenza per l'ostentazione. Perché quello che dà significato alla vita non si misura con la moneta: l'amore, la bellezza, la tenerezza, l'amicizia, la passione per fare bene quello che si sa fare». Parole sante. Non scordiamole.

martedì 22 settembre 2009

Eppur si muove...

Anni fa, quando lavoravo al telegiornale di Etv, mandammo Mauro Migliavada alla sede locale della Regione Lombardia e né uscì un reportage al vetriolo, impietoso nella semplicità delle immagini: una cattedrale nel deserto, con pochi utenti e molti impiegati nulla facenti. Altri, mesi dopo, ritornarono e la realtà non si discostava affatto da ciò che avevamo illustrato. Nei giorni scorsi, avendo dato notizia di quanti soldi raccoglie in tasse la stessa regione Lombardia, abbiamo chiesto a Maria Castelli di curiosare di nuovo in via Einuadi, a Como, nella convinzione che tutto fosse immutato. L'articolo ch'é arrivato in redazione risultava di tutt'altro tenore, descrivendo il contrario di quanto immaginavamo. In questi casi la scelta è duplice: o si cestina il pezzo o lo si pubblica, aggiungendo un commento, per non lasciare disorientato il lettore, che si trova sul giornale il ritratto della normalità, cioè di un ufficio dove si lavora. Da parte nostra, non ci abbiamo pensato due volte.

Eppur si muove. Quando la stampa dà fastidio ma è utile

Se il resoconto di ciò che succede al Pirellino non fosse stato fatto da una giornalista che stimiamo e che in carriera ne ha raccontate molte e viste di più, avremmo storto il naso e diffidato di una sede regionale che abbiamo sempre considerato la roccaforte della burocrazia fine a sé stessa, mostro che si autoalimenta e che riesce a crescere a dismisura cibandosi del nulla. Del resto, le precedenti incursioni avevano confermato una situazione da ministero romano nei film di Sordi: uffici vuoti, dipendenti che giocavano con il computer invece di lavorare, cataste di scartoffie inevase, un andazzo da italiani in gita, del tutto estraneo all’operosità del comasco.Ora, rimaniamo sempre scettici su gran parte delle funzioni e sull’effettiva utilità di quella che continuiamo a ritenere una cattedrale dei passacarte, però dobbiamo essere altrettanto onesti e notare che dei cambiamenti sono avvenuti e in meglio. Finalmente le varie sedi sono state concentrate in via Einaudi, riempiendo gli spazi prima deserti e portandovi anche quell’Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente) che si occupa di inquinamento e ad occhio e croce è l’unica attività lì dentro ad avere un impatto concreto nell’interesse del cittadino comune. Finalmente il cronista che sbircia oltre le porte non nota più impiegati disinvolti che non sanno far altro che girarsi i pollici. Finalmente, anche nelle curiose indicazioni dei cartelli («Alla macchinetta del caffè non si fa salotto per non disturbare chi lavora nei vicini uffici») pare d’intuire la volontà di girare pagina rispetto al passato, di conformarsi alla forma e alla sostanza di un posto di lavoro e non di svago. Una novità che ci apre il cuore e che oltre a restituire dignità a coloro che anche prima al Pirellino lavoravano (e che nel mucchio si vedevano messi alla berlina e dunque presi due volte per il naso) ci conforta sul valore che la stampa ha di controllare e denunciare le situazioni che non vanno. Un pungolo, questo siamo, e lo ricordiamo a chi ha un ruolo di responsabilità e se potesse ci tirerebbe un destro sotto il mento. È quello che probabilmente avrebbero fatto quei dirigenti della Regione incalzati mesi fa e che magari vorrebbero fare pure adesso, se gliene fosse concessa la possibilità. Ma intanto qualcosa è migliorato. Lo stesso speriamo valga per la Ticosa, per le buche nelle strade o per i muri delle paratie che tolgono la vista lago. Sappiamo di dare fastidio, ma se solleviamo un problema non è per il gusto di farlo, bensì per la speranza che venga risolto.
La Provincia, 21.09.09

lunedì 21 settembre 2009

Tracce d'amico


Se n'é andato anche lui, che alla vita ha sempre sorriso, riso in faccia persino. Renato Riva aveva cinquant'otto anni e una voce a due dimensioni: o il bisbiglio, che riservava per le confidenze, mentre ti prendeva sotto braccio, o - assai più frequentemente - lo squillo, che sentivi anche a cento metri di distanza, accompagnato da una risata sonora, piena, gustosa e gustata. Un cuor contento, così l'ho conosciuto e così lo ricorderò, con le camicie verdi (verde alpino, non padano) o i cardigan noisette e quel saluto ch'era uno scoppio, un turbine a cui non potevi sfuggire, né lo avresti voluto, perché volergli bene, trovarlo simpatico per me era naturale. La prima volta che lo incontrai fu per merito di Roberto Ghioldi: Renato era presidente dell'asilo di Caccivio, membro del consiglio economico della parrocchia dell'Annunciata e anima degli alpini, si avvicinavano le elezioni e cercavamo qualcuno che potesse affrontare e battere Fogliani. Il soggetto mi affascinò per affabilità e competenza e da allora l'ho sempre considerato un amico. Quella volta non riuscì a imporsi nelle votazioni comunali, complici le divisioni interne alle opposizioni (che presentarono due liste e non una) e forse ancora di più per l'esuberanza di carattere di Renato stesso, la cui vitalità e bonaria simpatia finivano paradossalmente per oscurare - nell'immaginario di chi non lo conosceva bene - la preparazione, la serietà nell'affrontare i problemi. La sua rivincita l'ha avuta a fianco di Emilio Botta, come vice sindaco, trovando un collega amministratore ma soprattutto un fratello, un amico. Negli ultimi anni, prima di conoscere la portata della malattia, aveva dato una svolta alla sua vita familiare, dimostrando un coraggio e insieme una debolezza che ai miei occhi l'hanno reso ancora più vicino. Ultimamente non l'ho sentito spesso, ma mi resta la serenità di averlo sempre considerato uomo di valore e di non averglielo mai nascosto. Se davvero esiste qualcosa oltre questo mondo, so che lo ritroverò e lo riconoscerò, vedendolo salutare agitando il braccio da lontano e sentendolo urlare il mio nome (all'inglese: "George"), mentre gli occhi socchiusi ridono, dietro le lenti degli occhiali, in uno sguardo affettuoso e furbo. Ciao Renato, grazie per avermi voluto bene e arrivederci a quel giorno.

Presidente baùscia...

Tengo fede ai proclami, mettendo sul blog gli articoli che pubblico il giorno precedente su "La Provincia". Lo farò senza accostare alcuna fotografia e titolando il post con le prime parole del titolo del giornale. In più, all'occorrenza, aggiungerò qualche riga di "retroscena", a mò di postilla e ad uso e consumo degli amici che passano di qui.

Presidente baùscia, non si scordi di noi
«Ci penso io». È una lunga, lunga campagna elettorale quella che si concluderà la prossima primavera, nel momento in cui il consiglio regionale verrà rinnovato, presidente compreso. E Formigoni è un passista, un instancabile maratoneta, che non conosce soluzione di continuità: lui in campagna elettorale vive dodici mesi all’anno, fin da quando alla politica è nato, contento come un bimbo che tiene in mano un biberon di latte tiepido. Ieri, a Como, l’ultimo esempio: «Alla Ticosa, se me lo chiedono, ci penso io». «Ghe pensi mi»: non l’ha detto alla lombarda, ma è come se l’avesse fatto. In campagna elettorale, del resto, una promessa non si nega a nessuno (ha persino giurato che la tangenziale di Como si farà, guardandosi però bene dallo specificare come e soprattutto quando). Lo salva il dettaglio che alla parole egli sovente fa seguire un fatto e lo scriviamo noi che, come del resto con il sindaco di Como, non siamo teneri. Formigoni incarna alla perfezione l’imprenditore lombardo, spaccone (il "baùscia") ma anche intraprendente, concreto, che quando decide una cosa è un carro armato. Ci viene in mente l’ospedale, con quei colpi di teatro che parevano tuoni nel vuoto, eppure qualcosa di buono hanno portato. Il fatto è che Formigoni di Como si ricorda poco e la colpa è soltanto nostra, che ogni cinque anni gli concediamo un plebiscito e quando c’è da passare a riscuotere ci assopiamo. Nostra e dei nostri politici, che dormono anch’essi e quando aprono gli occhi, prima ancora di finire lo sbadiglio, litigano tra loro, come i polli di Renzo.
La Provincia, 20.09.09

L'articolo in questione qualche scrupolo me lo ha lasciato, proprio per il titolo scelto e quel "baùscia" (senza virgolette) che può sembrare strafottente e urtare quelle persone pacate, moderate, non necessariamente schierate da una parte o dall'altra, a cui idealmente mi rivolgo quando scrivo un articolo. E' vero che poi nel pezzo si spiega cosa s'intende con il termine "baùscia" (a cui ho sempre attribuito un'accezione affettuosa, considerato che a casa mia, baùscia si attribuisce agli interisti tout court e appunto alle persone intraprendenti ma un po' spaccone) però potevo pensare che per qualcuno suonasse villano. E faccio questa riflessione poiché mi è stato fatto notare dal mio stesso direttore (che appunto risponde a quei requisiti di pacatezza, di moderazione, condivisi dalla maggior parte delle persone che conosco) e avendo come interlocutori i lettori, non certo Formigoni, che in quanto potente (molto potente) considero un vanto e un privilegio punzecchiare, senza badare se lui o qualcuno dei suoi amici sia contento o vada su tutte le furie per ciò che scrivo.

sabato 12 settembre 2009

Remo e i suoi fratelli


Le due torri: non è soltanto la seconda parte della trilogia del Signore degli Anelli, ma anche la situazione in equilibrio precario sul mio comodino. Due pericolanti pile di libri, che attendono di essere letti o terminati. E' stata un'estate proficua, come non accadeva da qualche anno. Sto concludendo ora "Un uomo" della Fallaci, che mi ha fatto compagnia al mare insieme con "L'ombra del vento" di Zafon e a "Remo contro" di Enzo Gianmaria Napolillo. Il primo mi ha appassionato (eccellente l'architettura del racconto, collaudato l'argomento - la passione per i libri e il genere giallo -, discreta la scrittura, a parte qualche concessione al dilettantismo nelle descrizioni). Il secondo pure (consigliatomi da un amico, Michele Sada, che a sua volta conosce bene l'autore, "Remo contro" l'ho letto in un solo giorno, duecento quaranta pagine d'un fiato, con sofferenza persino, tanto mi sono immedesimato nel personaggio e a parte il finale rassicurante credo abbia saputo ben interpretare l'ansia di una generazione che è anche la mia, pur essendo Napolillo dieci anni più giovane di me). Adesso non vedo l'ora di cominciare e finire altri tre libri: "Che ne è stato di Buzz Aldrin?" di Johan Harstad; "L'eleganza del riccio" di Muriel Barbery; "Frammenti di memoria"di Giulio Einaudi.
Photo by Leonora

Le parole che non ti ho trascritto


Casa dolce casa. La Sardegna però non era male e conserverò momenti lieti, che nei ricordi valgono più di qualsiasi cartolina. Appena tornato, per caso, ho rimesso ordine su una mensola e in una vecchia agenda ho ritrovato un articolo che avevo scritto anni fa per il Corriere di Como, un editoriale in prima pagina sulla vicenda dei coniugi Martinoni, scomparsi e ritrovati cadavere, uno accanto all'altra, lei la vittima, lui suicida ed assassino.

M'é piaciuto rileggerlo e ho pensato che sono stato sciocco, in questi anni, a non fare copia qui, sul blog, degli articoli che ho scritto, che scrivo. D'ora in poi lo farò e per sigillare questa decisione, comincio con il riportare proprio quell'articolo scritto in fretta e furia, mentre si avevano notizie confuse di quanto era successo, ma bisognava andare in stampa e bisognava scrivere possibilmente bene e certamente svelto.

"All'ultima pagina di un giallo diventato d'un tratto pallido, il lupo e l'agnello giacevano accanto. Un'epilogo mesto e tragico, senza lieto fine, né morale.
Achille Martinoni ha scelto di morire lassù, tra le sue montagne, dove forse per la prima volta s'è ritrovato davvero solo. Proprio come un lupo, ha cercato riparo lontano da tutti, a mezza costa, tra la neve e la roccia e il gelo. Un ghiaccio che gli è arrivato dentro, fino al distacco supremo, a un gesto disperato che non ne lava le responsabilità, ma le copre. Un velo di tomba che chiamiamo pietà. Una compassione che si aggiunge al dolore dell'agnello, al sangue innocente versato senza senso. L'hanno trovata così Adalgisa, raccolta in un fagotto, stretta in un abbraccio di amore rifiutato. Cala in questo modo il sipario su una vicenda nuova e antica al tempo stesso, in un modo semplice ed atroce, con la verità vicina più di quanto ognuno avrebbe pensato. Carabinieri, pompieri, protezione civile e inquirenti avevano cercato in lungo e in largo, tranne nel posto più scontato. In quindici giorni molto era stato detto e altrettanto ricamato. "Forse sono ancora vivi... Magari almeno lui è sopravvissuto... Sarà scappato... Può darsi che l'abbia abbandonata in un dirupo, nel lago, nell'Adda, nel bosco... Non è da escludere che sia in Svizzera, in Romania, in un alpeggio... Ha lasciato un pupazzetto prima di gettarla nella diga... Sul biglietto c'è scritto che la mamma sta bene: forse è ancora viva... Attenti, potrebbe tornare a Garzeno, farla pagare a qualcuno...".
Invece niente. Niente di tutto questo. Niente fuga, niente vendette, niente colpi di scena. Nessun mistero, se non quello estremo della sofferenza, del male. Una domanda a cui fa eco soltanto il silenzio.
Il medesimo silenzio che domina il Monte Spluga dodici mesi all'anno e che a breve, quando l'ultimo essere umano se ne sarà andato e i riflettori si saranno spenti, tornerà padrone di quelle vallate sferzate dal vento. Lo stesso silenzio che da oggi dovrebbe prendere il posto delle molte parole spese non sempre invano. Un silenzio a rispetto dei morti e dei vivi, di chi non c'è più e di chi è rimasto: le due famiglie, gli anziani genitori, i parenti, soprattutto la figlia. Con ieri sono finite per lei le speranze, ma anche le paure. Il peggio che poteva capitarle l'è capitato, sul dorso di una montagna profonda quanto un pozzo. Non ci illudiamo che qualcuno o qualcosa possa consolarla: questo è il momento del dolore nudo. A lei va il nostro cordoglio, unito alla certezza che dei suoi genitori, di chi le ha dato la vita, non rimarrà solo il ricordo di un tragico finale, in un novembre cupo".
Photo by Leonora

martedì 1 settembre 2009

Il mai contento e il mare


Ultime ore di lavoro, di tran tran, di vita normale. Domani si parte, dieci giorni di vacanza, uno stacco che sono deciso a vivere bene, a gustare appieno. Un proposito di volontà e non spontaneo. Ci pensavo ieri sera, quando m'è stato chiesto a bruciapelo s'ero contento di partire. "No" m'è venuto fulmineo, perché in fondo sono pigro, in fondo sono abitudinario, in fondo - e pure in superficie - apprezzo il comodo delle cose che non cambiano e se potessi scegliere in libertà me ne starei a casa, senza vedere nessuno, da solo. Un desiderio d'eremita che magari si squaglierebbe subito, ma come la gran parte degli esseri umani anelo anch'io alla condizione che non ho, attribuendo ad essa le virtù che - se davvero si realizzasse - vorrei all'esatto contrario. Ecco perché sono fermamente deciso a non perdere questa occasione, a godermi i giorni che verranno, nella consapevolezza che - se non lo faccio - non ritorneranno e che il rischio è di ritrovarmi qui, fra dieci giorni, arrabbiato e frustrato. Così penso ai molti aspetti piacevoli che mi attendono: il profumo di pineta e di mare, la sabbia sotto i piedi, il fresco della sera, i libri da leggere, il pranzo sulla veranda, l'assenza di impegni da rispettare e i pensieri, i mille pensieri senza costrizioni, i sogni da custodire, accarezzare... Voglio che siano giorni sereni, da ricordare.

Foto by Leonora