giovedì 28 maggio 2015

I bambini non deludono mai

Foto by Leonora
L'ho chiamata verso mezzogiorno, perché alle otto mi sembrava presto. Erano due giorni fa, il 26 maggio, ed esattamente cinquant'anni prima lei e mio padre si sposavano.
Di quel giorno, oltre ai ricordi e all'album di grandi fotografie in bianco e nero, resta lei e per gemmazione io, nato un anno e mezzo dopo e che senza quella data sarei un nulla assoluto.
Ho telefonato a mia madre perché sapevo che non l'avrebbe fatto nessun altro. Nemmeno mio padre, se fosse ancora vivo, avendo moltissimi pregi, non la sensibilità del romanticismo.
Il 26 maggio, ho appreso alla radio, è anche la data in cui si ricorda la Madonna di Caravaggio, al cui santuario è legato il ricordo più triste che ho da bambino.
Frequentavo la seconda elementare e in gita ci portarono alla Minitalia e a Caravaggio appunto. Fu lì che pranzammo e accanto ad una stele del colonnato dimenticai la "gavetta".
Ora, della gavetta non c'è più traccia, ma a quel tempo era uno dei rari oggetti indispensabili nella vita di un operaio. Si trattava di un contenitore di alluminio o acciaio cromato dove si riponeva il cibo, che poteva essere anche scaldato a bagnomaria, immergendolo in acqua calda.
Dopo pranzo, intento a giocare a perdifiato con i compagni di classe, dimenticai di avere con me lo zaino e salii sul pullman senza portarlo con me, accorgendomi appena partiti ma senza avere il coraggio di proferir parola, tanto meno per fermare l'intera comitiva. A quel tempo ero davvero timidissimo e avevo sempre timore di disturbare, per cui tacqui, covando in principio il dispiacere e man mano che i chilometri passavano la preoccupazione di dover tornare e spiegare tutto ai miei genitori.
Fu mio padre ad arrabbiarsi di più, con quella stizza che anch'io ogni tanto manifesto. Piansi a lungo, affranto. Ricordo mia madre seduta sul divano e io che mi nascondevo dietro lei, singhiozzando fino a mancarmi il fiato, disperato come forse non lo sono mai stato.
La gavetta non la trovammo più e nemmeno la cercammo. Tutto era diverso allora, a casa non avevamo il telefono, non c'era Internet per trovare il recapito del santuario e anche se l'avessimo individuato il viaggio fino a Caravaggio era considerato un'impresa, oltre che costare almeno una mezza giornata di lavoro. Sta di fatto che io piansi un fiume di lacrime ma finii con il sopravvivere, limitando i danni al costo della gavetta e alle cicatrici del ricordo.
A quella gavetta penso spesso, specialmente in questi mesi, che ogni paio di giorni passo di fronte all'ex Minitalia. Adesso sono certo che quel pianto a dirotto non era per la gavetta né per la rabbia di mio padre, bensì per la sensazione di averlo deluso. Oggi, che sono padre anch'io, so benissimo che non è così, ma allora vedevo tutto ad altezza e profondità di bambino, quando persino uno stagno assomiglia al mare aperto. Anche per questo, pur non comportandomi con i miei figli da genitore modello, ripeto loro spesso che non mi deludono. Mai. Neppure quando sbagliano.