sabato 28 aprile 2018

L'acqua del pozzo (Chi siamo e come decidiamo di apparire)


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Non sei mia figlia, pur se potresti esserlo, con i tuoi anni dispari anche quando sono pari, quel corpo sbocciato in fretta e mille pensieri in testa. Ne conosco soltanto una parte minima, una virgola, ciò che traspare dal sorriso ampio quando ti incontro e dal ricordo di qualche momento condiviso, in cui mi era sembrato di comprendere tutto e invece non sapevo nulla. Fuori sei marea placida, onda leggera del mare quando sale la brezza, dentro invece è un pozzo, che a volte mi pare acqua torbida, nonostante resti convinto sia colpa dell'ombra e che in realtà sia come l'ho sempre immaginata: cristallina.
Penso a cosa ricordo di te, all'impressione avuta, fatico a ritrovarla quando inciampo nelle immagini che pubblichi, in ciò che scrivi, con un linguaggio che urta e ti calza come una scarpa larga, sgualcita.
Rimango incerto se la ragazza che conosco, da quel frammento che rammento e da cui ti ho ricostruita, sia la stessa che fa mostra di sé provocando, assumendo una posizione estrema.
Credo di sì, sei la stessa. Ne sono certo anzi. Sono io che non ti conoscevo abbastanza (nessuno si conosce mai abbastanza) e sei tu che decidi di apparire esagerata, di recitare una parte, anche se è una parte vera.
Do la colpa all'età, a quella fase della vita in cui si forma una personalità adulta, ma mi rendo conto di essere superficiale o, peggio, di dire una bugia.
Tu non sei differente da chi è più grande di te: ciascuno di noi indossa una maschera, bella o brutta che sia, chi più bravo e chi meno a rifarsi il trucco ogni mattina, chi più abile e chi meno a coesistere con serenità alle incongruenze, alle debolezze, ai limiti della natura umana.
Tu non sei diversa dagli altri e mentre lo scrivo mi rendo conto che quanto considero una rassicurazione potrebbe suonare alle tue orecchie come una sconfitta, poiché ciò che cerchi è proprio la diversità, la capacità di evidenziarti, di ritenerti unica.
Metteti il cuore in pace. Unica lo sei, lo sei sempre stata, dalla prima scintilla che ti ha dato vita alla scelta del vestito che indosserai questa sera. E prima di scrivere qualsiasi cosa ricorda che c'è chi ti guarda e merita la parte migliore di te, non spazzatura.

P.S. Avrei voluto pubblicare un post sull'importanza del contesto, del distinguere la vita reale dai social, del fare attenzione al linguaggio che usiamo. L'ho fatto.

domenica 22 aprile 2018

Brava Giulia (Fiducia nel futuro)



Fiducia. Una parola che non uso spesso, un sentimento che raramente esige di essere pronunciato: quando c'è, sta in piedi da solo, senza necessità di evocarlo.
Faccio eccezione, poiché in questi giorni la sento particolarmente presente, soprattutto abbinata ai termini "giovani" e "futuro".
Sarà che nei mesi recenti ho ricevuto un regalo stupendo, quello di stare a contatto e lavorare con i ragazzi delle scuole superiori, un'esperienza che si somma alla compagnia dei miei figli, anch'essi più o meno di quell'età, con ogni contatto che diventa occasione di scambio, iniezione di positività, di ottimismo, confermando ciò che già sapevo: il mondo è una ruota che gira, quasi sempre in meglio.
Ieri l'altro poi si è laureata Giulia, mia nipote, dimostrando una caparbietà, una determinazione, pure un'ambizione che molte ragazze della generazione precedente non avrebbero avuto. Sono così orgoglioso di lei, che non si è limitata a seguire un solco già segnato, costruendosi piuttosto un percorso e un destino. Molto resta ancora da fare, è vero, la laurea al giorno d'oggi non è un punto di arrivo, semmai una base di partenza, un possibile trampolino, tuttavia merita un applauso l'esserci saliti, aver compreso che l'avvenire si gioca innanzi tutto puntando in alto, cercando ciò che genera passione e dà soddisfazione davvero.

P. S. Non sono uno dei suoi moltissimi fan, sulla persona in sé ho anzi motivate riserve, tuttavia c'è una canzone di Vasco Rossi che fa da colonna sonora perfetta di questo post. Soprattutto il ritornello: "E brava Giulia, e brava Giulia / prenditi la vita che vuoi / E brava Giulia, e brava Giulia / sceglitela, certo che puoi". Brava Giulia, te lo dico anch'io, per tua fortuna (di tutti) senza cantarlo. La vita non si subisce: si sceglie. Una lezione che ci hai dato, insieme a tutte quelle che a tua volta hai imparato.

sabato 14 aprile 2018

Eravamo quattro(mila) amici al bar


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Baglioni e i suoi occhi scuri sono diventati grandi insieme e negli ultimi dieci anni mano nella mano si sono accompagnati pure i social network e questo blog.
Un bar. Così Pierluca Santoro descrive Facebook. Un bar, un luogo dove passare spesso o raramente o di tanto in tanto, per incontrare gente, per dire la propria, per sapere cosa pensano gli altri, come vanno le cose, quali gli argomenti più discussi.
In quel bar mi sono trovato bene e per anni ho accettato che diventasse più grande, con un'ampia cerchia di amici (conoscenti, sarebbe la definizione corretta), andando d'accordo con alcuni e limitandomi a osservare gli altri, proprio come in un bar, dove attorno al tuo tavolo sono pochi, molti quelli che sbirci e ogni tanto incappi in qualcuno di nuovo o scambi due parole, mentre ti alzi per andare al banco e ordinare un'altra bibita.
Un paio di mesi fa, per la prima volta, ho cambiato registro e accompagnato idealmente alla porta del "mio" bar chi non sopporto più, comprese persone che conosco di persona e di cui mi ritengo amico ma che lì - in quella bolla che molti si ostinano a ritenere vita ma rimane sempre e fondamentalmente un bar - mi risultano fastidiose come mosche nella minestra.
Breve elenco.
I negativi. Gli odiatori. Coloro a cui non va mai bene niente. I detentori della verità assoluta. Chi tifa contro (in maniera seriale, senza usare leggerezza e ironia). Quelli che hanno la puzza sotto il naso. I saccenti. I diffusori di falsità, bassezza, violenza.
Prima li tolleravo, adesso li cancello, talvolta con amarezza, altre con soddisfazione, come quando ci si libera da una zecca.
Alcuni, rarissimi, invece li conservo, pur appartenendo a una o addirittura a più delle categorie indicate qui sopra. Lo faccio non per masochismo, bensì per ricordare che il pensiero unico è comunque pericoloso, che l'omologazione è rischiosa e per continuare ad indurre, però in dosi omeopatiche, un moto di reazione, di indignazione, di ribellione alla stupidità umana.
P.S. Perché come mi ripete spesso Paolo Ferrari: "A dire sì siamo capaci tutti, ma sono i no che fanno crescere, perché marcano una differenza e costringono a un cambio di rotta".

martedì 10 aprile 2018

La tentazione del silenzio


Scrivo a molti, quasi mai a me stesso.
Dovrei farlo, più spesso, per ricordare il ragazzo che ero, quanto sono cambiato, quali invece le impronte immutabili, ciò che mi emoziona e quello che invece mi fa serrare la mascella e masticare amaro.
Mi commuovo parecchio. L'ultima volta qualche giorno fa, durante la registrazione del programma che conduco, alla visione di un breve video commissionato dall'Ats al Media Center dell'Eco.
Il tema era quello delle dipendenze, con i ragazzi di quarta superiore che l'hanno realizzato ribaltando la prospettiva, mostrando alcuni atteggiamenti che rafforzano l'autostima, che producono una specie di anticorpi per evitare che la difficoltà diventi disagio.
La scena era semplice: un bimbo che sbaglia il rigore, suo padre che ci rimane male eppure non smette di incoraggiarlo. Balzo in avanti e otto anni più tardi quel cucciolo d'uomo, diventato nel frattempo un giovanotto, segna e va ad abbracciare il genitore che l'ha sempre sostenuto.
Quando siamo tornati in studio avevo i lucciconi agli occhi e un po' me ne vergognavo. Per fortuna la regia mi ha tratto d'impaccio, impostando inquadrature da lontano o almeno non tanto vicine da notare un paio di lacrime che nel frattempo rigavano il viso.
Ho letto da qualche parte che le persone forti sono quelle che si commuovono più facilmente: io devo essere fortissimo.

P.S. Ho un ringraziamento particolare da fare, a coloro che passano da qui e mi leggono e me lo fanno sapere e si lamentano se sono pigro e mi sostengono. Già, mi sostengono. La vita non è mai una linea retta, c'è stato un tempo in cui per passione e per mestiere o qui o sul giornale scrivevo ogni giorno. Quattro anni fa altro giro di giostra, una nuova opportunità, un modo di comunicare diverso e molti fogli bianchi, un po' per scelta, un po' per caso. Spesso mi capita di preferire la lontananza, l'assenza, il silenzio, da contrapporre alle molte chiacchiere, alle parole in eccesso, al rumore di fondo costante che diventa di volta in volta sibilo, borbottio, frastuono. In queste settimane avverto tuttavia  l'urgenza di non abdicare, di far sì che la moderazione non si trasformi in accidia, disimpegno, indifferenza. Mettere a frutto il talento, non seppellirlo sottoterra insomma, poco o tanto che sia. Per farlo userò uno stratagemma, scriverò di volta in volta a qualcuno di voi, anche senza mettere il nome, per non creare imbarazzo. Non sarò insistente, ma nemmeno assente. Il filo annodato più di dieci anni fa merita di continuare ad essere tessuto.