giovedì 24 dicembre 2020

Silent Night (Elogio del vuoto)

In genere lo rifuggo e, anche per il mestiere che faccio, a tratti ne ho proprio orrore.
Eppure, in questo Natale per cause di forza maggiore azzoppato, del bicchiere metà pieno apprezzo proprio l'altro mezzo, quello vuoto, l'assenza, il silenzio, con la conseguente possibilità di ritagliare un poco più di tempo per la compagnia a cui faccio caso meno, quella con me stesso.
I giorni di festa, nel bene e nel male, restano questo: un'occasione.
Lo spunto per mettersi in moto, per uscire dai binari, per compiere gesti pure nel loro piccolo straordinari.
In questo senso le restrizioni imposte dalla pandemia possono diventare trampolino e non necessariamente ostacolo, restituendo alle relazioni sostanza e soprattutto spessore.
Un Natale meno di fretta, più rado di avvenimenti, di obblighi, impegni.
Un Natale a misura d'uomo, essenziale.
Un Natale in cui riscoprire la possibilità di ciò che conta veramente: tenersi in contatto, esprimere i propri sentimenti, telefonando, scrivendo, approfittandone per uscire dal banale e provando a esprimere ciò che si prova, prendendo coraggio e superando ogni imbarazzo, tornando in qualche modo innocenti, i bambini che eravamo.
Il mio proposito, per questo e per i prossimi giorni di festa, sarà proprio questo: parlare meno, ma di cuore.
A chi passa di qui intanto anticipo abbracci ed auguri sinceri, come ogni anno.


giovedì 17 dicembre 2020

Guardarsi, in prospettiva (La rivoluzione esaurita)

Facciamoci un regalo: tiriamo le somme degli ultimi dieci anni e guardiamoci, in prospettiva.
Senza giudicarci. Semplicemente osservando il punto di partenza e dove siamo arrivati, talvolta consapevolmente, nella maggior parte dei casi invece - compreso il mio - senza accorgersene, condotti dalla vita e trascinati dagli eventi, barca in mezzo al mare, Ulisse che cerca un'Itaca senza conoscerne nome proprio e punto esatto sulla cartina.
Abbiamo compiuto passi, macinato chilometri, intravisto mete e orizzonti, siamo tornati indietro, spesso cambiando direzione, altre riprendendola, in alcune circostanze trovandoci di fronte un’autostrada, altre perdendoci nella nebbia, restando invischiati senza orientarci, confusi come i lotofagi.
Se mi metto a sedere e volgo lo sguardo alle spalle fatico a distinguere eventi epocali miei, personali, pietre miliari di quello che è per tutti un peregrinare.
Lo stato non è mutato, ad esclusione delle rughe del volto e di alcune convinzioni profonde, composte o rinsaldate dalle esperienze accumulate. La sensazione è di aver avuto accanto - per tratti lunghi o brevi - persone meravigliose, compiendo un viaggio straordinario, quasi sempre senza accorgermene.
Faccio eccezione oggi, in questo anno strano e straniante, ponendo nero su bianco queste righe, mettendo a fuoco la consapevolezza della fortuna che ho, i gradini percorsi, le lezioni imparate, le persone godute, l’essere stato dono e un dono averlo ricevuto, nel bene o nel male, da tutti.

P.S. Lo metto qua, come postilla, poiché non ho pretese di saggista né conclamate capacità di comprendere ciò che oltre il pelo d'acqua sta capitando: nuoto, in qualche caso annaspo, a fatica riesco di tanto in tanto ad allungare il collo e ancor meno di frequente ho la lucidità per analizzare il quadro generale e trarre uno spunto di senso.
Faccio un'eccezione poiché mi pare di cogliere un ciclo che si chiude, uno degli eterni cicli delle rivoluzioni che si aprono, scorrono (spesso senza piena consapevolezza, senza coglierne la portata piena) e poi si chiudono, con l'inizio segnato dalla rottura delle regole e la fine con l'imposizione di nuove regole, che non sono più quelle precedenti la rivoluzione ma un ritorno allo stato di equilibrio infranto prima.
Ciò che è avvenuto centinaia di volte nel passato dell'evoluzione umana sta succedendo ora, con la rivoluzione introdotta da Internet e la sensazione che sia generalmente assestata, ingabbiata quasi.
Le sterminate opportunità che in principio presentava si sono moltissimo ridotte, il denaro, la finanza sono tornate a farla da padrone, riprendendo potere e guida dopo averla smarrita per anni a favore della creatività, della libertà, dell'intraprendenza.

sabato 5 dicembre 2020

Ti avrei voluto accorciare tutte le strade (Invece no)

Ti avrei voluto accorciare tutte le strade.
Ma è in esse - nel percorrerle, nel sentirne la consistenza sotto i piedi, nell’irrobustire le gambe, nel gustarne i panorami - la bellezza del diventare adulti.
Ti vorrei portare sempre sulle spalle, sgombrare la via dagli ostacoli, impedire inciampi, buche, pozzanghere, se lo facessi però ti ruberei la soddisfazione che provi ogni volta che cadi e ti rialzi, l’auto stima che rafforzi a salita conclusa, ad ogni tuffo in mare che compi.
Ti ascolto a notte fonda, mentre nella tua stanza ripeti la lezione, ripenso a quante volte ho confuso l’arrivo con ciò che importa veramente: poniamo una meta, scordando che essa è soltanto un pretesto, la scusa per metterci in cammino, quel che conta invece è “il fiume che scorre”, l’esperienza del viaggiare.
Forse per questo non sono mai troppo attento ai voti, alle pagelle, ai giudizi delle commissioni, tuoi e dei tuoi fratelli.
E ora che vi osservo diventare grandi non ho timore di distanze, né paura di perdervi, soltanto il gusto di ritrovarvi.

giovedì 3 dicembre 2020

Il bene inferiore (Lezioni etiche, senza pulpito)

Ti devo chiedere scusa, ma prima ancora grazie, per ciò che in questi anni stai facendo e per come lo fai, per lo stile, il modo.
Dell'amministrazione parlo di rado, in pubblico mai, tanto meno per difenderti, anche quando ne sono tentato, anche quando evitarlo mi fa sentire codardo.
A casa sono peggio: il più delle volte brontolo, eccepisco, critico.
Tutti i miei discorsi, i miei principi, le mie visioni, non valgono la metà della metà dei tuoi gesti, della tua concretezza, della puntualità con cui porti avanti l'impegno che hai preso, senza smarrire un'oncia dell'essenza della persona che sei e che ti distingue ai miei occhi, in positivo.
Nessuno, tranne chi ti è più vicino, conosce il fardello che porti sulle spalle.
Non mi riferisco al "lavoro", alle difficoltà dell'amministrare, che credo comuni a tutti, chi più chi meno, bensì al prezzo che paghi al talento che la natura ti ha portato in dono, a quella purezza d'animo e sensibilità che al pari di ogni vetta presenta sempre un abisso sul versante contrario.
Perciò ti chiedo scusa, per le infinite volte in cui ti lascio sola, e prima ancora grazie, per le lezioni che ogni giorno mi dai, senza bisogno di salire su un pulpito.
L'ultima ieri, prima al telefono e poi a cena, quando hai espresso tutto il tuo rammarico, lo struggimento, per una questione che d'acchito ho giudicato da poco, che mi pareva una quisquilia da pochi euro di spesa pubblica al confronto dei macro temi, dei mega problemi che nell'immaginario cambiano i destini di una comunità, del mondo.
Ascoltandoti però - sentendo la passione che mettevi, lo strozzo in gola che esprimeva il disagio per non essere capita, prima ancora del discutere opinabile degli argomenti posti sul tavolo - ho compreso che dalla parte del torto ti trovavi seduta tu, ma a sbagliare ero io.
Io e tutta la vasta compagnia di coloro che piegano il particolare al generale, al fine il mezzo, coloro che si giustificano puntando lo sguardo a un bene superiore, senza accorgersi che è inciampando in quello inferiore che cadono, che stortano alla radice un fusto che poi hanno la pretesa di far crescere dritto.
Hai ragione tu: se cominciamo a farci andare bene tutto, a chiudere prima un occhio e poi due, sul poco, ci ritroveremo a non distinguere più la differenza tra giusto e sbagliato, tra malato e sano.
Tanto di cappello dunque, voglio riconoscertelo, non soltanto in privato, facendo eccezione al mio silenzio forzato su questi temi, sottolineando lo stupore che provo a scoprirti così, nonostante siano ormai sette anni che frequenti quel mondo, orgoglioso che ti abbia cambiato ma soltanto in meglio.