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sabato 16 novembre 2013

Tutto scorre (God bless America)

Foto by Leonora
Leggo Erodoto e non per tirarmela. Tanto per cominciare, mi piace moltissimo e in più è un "memento homo", un ricordare che tutto è effimero, passa, ciò che è vitale per noi non conta nell'infinità dell'universo più di un battito d'ala della farfalla. Eppure per mille cose mi batto, non dormo, resto inquieto, come se caricarsi sulle spalle tutti i crucci potesse spostare di una virgola il mondo a cui appartengo o determinare in meglio o in peggio il destino. Non la forza tuttavia giova allo scopo, né l'astuzia, la potenza, il denaro. Piuttosto la conoscenza, la saggezza, la fortuna, la capacità di intuire e perseguire le cose che contano, alzando lo sguardo e rallentando, invece di tenere il naso schiacciato a terra e correre come un forsennato.
Un pro memoria personale e anche per il Paese in cui vivo, sempre più diviso, conflittuale, confuso, intimorito. Tutti tratteniamo il fiato, come sperando che alla fine tutto si risolva, i nodi si sciolgano e la vita a cui eravamo abituati torni di nuovo. E' possibile. Può darsi che si tratti di una crisi di sistema profonda ma passeggera, come ce ne sono state molte, nel 1929, nel 1974, nel 1987... Magari invece è un infarto più profondo, l'inizio di uno degli infiniti ribaltamenti negli equilibri del mondo, con la civiltà occidentale giunta al capolinea e l'alba di una nuova era, con tutte le sorprese e le incertezze del caso.
Lapidaria ed efficace in questo senso è la frase che si trova all'inizio delle Storie proprio di Erodoto: "Proseguirò la mia narrazione, trattando delle città degli uomini, senza differenza, sia piccole sia grandi. Poiché quelle che un tempo erano grandi, ora per lo più sono diventate di scarsa importanza; mentre quelle che ai tempi miei sono grandi, prima erano trascurabili. Essendo persuaso che la prosperità umana non rimane mai fissa nello stesso luogo, io ricorderò allo stesso modo sia le une sia le altre".
P.S. A questo proposito, mi ha emozionato un brano (qui il video) tratto dalla serie televisiva "The newsroom" ("La redazione") in cui un giornalista parla a un gruppo di studenti, attacca pesantamente la presunta superiorità americana e in genere occidentale, concludendo poi così: "Non c'è alcuna evidenza che siamo la più grande nazione al mondo. Siamo settimi nell'alfabetizzazione, ventisettesimi in matematica, ventiduesimi in scienze, quarantanovesimi nelle aspettative di vita, centasettantottesimi per la mortalità infantile (...). Siamo primi al mondo in tre categorie: numero di detenuti pro capite, numero di adulti che credono che esistono gli angeli e nelle spese per la difesa, dove investiamo più della somma delle spese delle 26 nazioni che ci seguono in classifica, di cui per altro 25 sono alleate(...). Certo, eravamo la più grande nazione del mondo. Difendevamo quello che era giusto, combattevamo guerre per ragioni etiche, facevamo la guerra contro la povertà, non ai poveri. Ci sacrificavamo, ci preoccupavamo dei nostri vicini, eravamo sinceri e coerenti e non ci lamentavamo. Costruivamo grandi cose, facevamo grandi progressi tecnologici, esploravamo l'universo, avevamo grandi artisti e la più grande economia del mondo. Arrivavamo alle stelle comportandoci da uomini. Aspiravamo all'intelligenza, non la disprezzavamo: non ci faceva sentire inferiori; non ci definivamo secondo chi avevamo votato e non eravamo spaventato così facilmente. Eravamo tutto ciò perché eravamo informati (...) da dei grandi giornalisti, da dei grandi uomini, uomini che erano rispettati e venerati. Il primo modo per risolvere un problema è riconoscere che c'è un problema. L'America non è più la più grande nazione al mondo".