sabato 23 dicembre 2017

Venti righe, dieci anni


Eppur mi sono scordato di te.
Eppure c'eri quando ho cambiato lavoro, quando i miei figli hanno fatto festa, mio padre è morto, tiravo una linea e facevo i conti, davo la caccia alle talpe, mi sono sentito solo, condividevo ciò che provavo, ero arrabbiato, ero contento, salutavo un amico, chiedevo scusa, ero in vacanza, seminavo l'orto, conducevo il telegiornale, leggevo un libro, visitavo le città, festeggiavo Natale, cresime, comunioni, compleanni, capodanno...
Ci sei stato sempre, anche quando ho scelto il silenzio.
Dieci, dieci anni insieme. Esattamente il primo di ottobre, anche se in quella stessa data nemmeno ci ho pensato (ecco perché l'incipit di oggi è "Eppur mi sono scordato di te"), accorgendomi soltanto ieri l'altro che era passato tutto questo tempo e con esso la bellezza di un numero tondo.
Dieci anni. Dieci anni di pensieri, parole, opere e omissioni. Dieci anni come compagno di viaggio, a volte petulante e insistente, altre discreto e scostante.
Spesso ti ho trascurato, è vero, ma mai abbandonato. Sei ciò che più somiglia all'uomo che vorrei essere e che sono stato, la parte migliore di me, l'eredità più bella che lascio.
Ti ho chiamato "Venti righe" e ne ho scritte migliaia, come si va in montagna, passo dopo passo, guardando il sentiero, di rado la vetta. Ed è così che farò in futuro, ricordando una delle molte cose che mi hai insegnato: il senso sta nel cammino, mai nel traguardo.

P.S. "Venti righe", due numeri. I post ad oggi sono 882 e oltre 392.000 le pagine visualizzate. Quello più letto (33.644) ha per titolo "Anche meno". Non mi pare un caso.

martedì 19 dicembre 2017

Tendere la mano (verso tutti)


C'è chi invecchia male e chi peggio. Io peggio.
In tempi di brontolii esasperanti e di urla contrapposte mi capita di vivere, ad esempio, un fenomeno per il quale verrebbe da chiamare il medico o addirittura il pronto intervento, tanto appare curioso e raro: sento infatti una naturale pulsione ad andare d'accordo con tutti o almeno di prendere di ciascuno il meglio.
Di più! Non bastasse questa disposizione d'animo, che certo potrebbe essere giustificata dall'età che avanza e da un naturale addolcimento degli spigoli del carattere, noto con lieve sgomento che io nel trovare "le ragioni degli altri" addirittura mi applico, con ostinazione, pervicacia, reticenza persino.
Il pericolo, me ne rendo conto, è quello di cadere nel danno opposto, cioè non sostenere più le proprie, di buone ragioni, di essere tiepido e insignificante, peccando di ignavia e comportandosi come chi fa nulla e si fa scivolare addosso tutto.
Perciò scrivo queste righe, evitando il silenzio su un tema che mi è caro, poiché evidenzia parecchie contraddizioni del vivere contemporaneo.
La vicenda è presto riassunta: un'ordinanza dell'attuale sindaco di Como, che vieta l'accattonaggio in centro città tra dicembre e gennaio.
Apriti cielo! Tacito assenso di molti, proteste vigorose di altrettanti, con campo di battaglia dialettica la vera Austerlitz (o Waterloo) di questo scorcio di secolo: Facebook.
Senza lance, scudi, mostrine o pennacchi, mi armo di coraggio anch'io, lasciando traccia di qualche appunto sparso, senza pretese di esaustività, semmai con la pretesa di provocare una riflessione meno banale dell'ovvio, convinto come sono che su simili questioni non il monologo, bensì il dialogo, il confronto riescono a plasmare le coscienze e individuare i percorsi a misura d'uomo.

Buone (o per lo meno "accettabili") ragioni pro una banale ordinanza di ordine pubblico.
  • Vietare l'accattonaggio ha evidenziato un problema, invece di nasconderlo.
  • Consentire l'accattonaggio non è la soluzione di un problema, bensì l'ammissione di un fallimento, quello di una società che crea emarginazione.
  • In assenza di "presa in carico" e di regole il bisogno diventa abuso e l'abuso genera insofferenza, se non palese ostilità indiscriminata, aumentando di fatto l'emarginazione dei più deboli.
  • Quella del "povero buono", che "merita" di essere aiutato, è una retorica di cui si abusa spesso, tuttavia è pure la bussola che tuttora orienta la scelta della maggior parte delle persone nel concederlo o meno, un aiuto. Senza controllo e dunque discernimento non faccio del bene: al più me ne lavo le mani, come Pilato.
  • Spesso chi chiede l'elemosina è sfruttato a sua volta e consentire una presenza indiscriminata, senza controlla, alimenta il sopruso, favorendo in alcuni casi la criminalità.


Buoni (o per lo meno apprezzabili) motivi contro una banale ordinanza di ordine pubblico.
  • Apparteniamo a una tradizione umanistica e cristiana che da duemila anni a questa parte indica che non si voltano le spalle né tanto meno si bastona chi tende la mano.
  • La cultura contadina di cui siamo figli dà testimonianza, attraverso i nostri padri e ai padri dei loro padri, che una ciotola di minestra e un giaciglio asciutto, spesso in cascina e nel fienile, era garantito a chiunque.
  • Limitarsi al divieto, senza accompagnarlo da alcuna proposta, è ipocrita tanto quanto inveire contro il divieto: in entrambi i casi manca una presa di responsabilità.

In sintesi: possiamo discutere dei pro e dei contro con fermezza e al tempo stesso pacatezza,  invece di insultarci e azzannarci l'un l'altro? E' possibile, mi chiedo, una città che senza pregiudizi si metta "in relazione" con le persone che chiedono l'elemosina e se ne prenda carico? Possiamo, almeno tra noi, costruire ponti invece di muri, e fare in modo che le energie ora disperse litigando possano essere investite facendo insieme qualcosa di buono?

sabato 16 dicembre 2017

La porta aperta (Natale con chi puoi)


Aggiungi didascalia
Riprendo lo spirito originario di questo spazio, cercando in poche righe di riassumere i molti pensieri di un periodo professionalmente fecondo, in cui da un lato continuo ciò che avevo intrapreso due anni or sono, dall'altro sperimento nuovi programmi.
Quello principale, avviato due mesi fa, si chiama "Via Novelli Social Club" (cliccando qui uno scorcio di trasmissione, tanto per capire cos'è) ed è realizzato grazie al contributo di ragazzi delle scuole superiori e ad un gruppo straordinario di persone che compongono il Media Center dell'Eco di Bergamo e di BgTv.
Registrando in studio capita sovente di cogliere alcune intuizioni che nella mia testa poi rimbalzano e si ripropongono quali piccoli frammenti di verità o - per stare con i piedi per terra - come spunti interessanti, stralci di un possibile prontuario di atteggiamento personale.
Prendiamo ieri. In un carosello di colleghi ospitati per dare forma ad una lunga puntata da mandare in onda il pomeriggio di Natale, tra una stretta di mano, quattro chiacchiere e il campanello che di volta in volta annunciava l'arrivo di questo o di quel personaggio, mi è venuto in mente che il Natale può essere essenzialmente questo: una porta aperta.
Al di là, anzi, al di qua del significato religioso e ancor più di quanto ci abbiamo poi appiccicato addosso, dallo scambio dei regali ai pranzi e alle cene, del Natale apprezzo l'essere un'occasione di incontro, l'opportunità di vedersi, trovando e andando a trovare, bussando e accogliendo.
La porta aperta non è un dettaglio accessorio, bensì l'immagine che voglio tenere impressa in questi giorni e condividere con chi mi è accanto.