martedì 19 dicembre 2017

Tendere la mano (verso tutti)


C'è chi invecchia male e chi peggio. Io peggio.
In tempi di brontolii esasperanti e di urla contrapposte mi capita di vivere, ad esempio, un fenomeno per il quale verrebbe da chiamare il medico o addirittura il pronto intervento, tanto appare curioso e raro: sento infatti una naturale pulsione ad andare d'accordo con tutti o almeno di prendere di ciascuno il meglio.
Di più! Non bastasse questa disposizione d'animo, che certo potrebbe essere giustificata dall'età che avanza e da un naturale addolcimento degli spigoli del carattere, noto con lieve sgomento che io nel trovare "le ragioni degli altri" addirittura mi applico, con ostinazione, pervicacia, reticenza persino.
Il pericolo, me ne rendo conto, è quello di cadere nel danno opposto, cioè non sostenere più le proprie, di buone ragioni, di essere tiepido e insignificante, peccando di ignavia e comportandosi come chi fa nulla e si fa scivolare addosso tutto.
Perciò scrivo queste righe, evitando il silenzio su un tema che mi è caro, poiché evidenzia parecchie contraddizioni del vivere contemporaneo.
La vicenda è presto riassunta: un'ordinanza dell'attuale sindaco di Como, che vieta l'accattonaggio in centro città tra dicembre e gennaio.
Apriti cielo! Tacito assenso di molti, proteste vigorose di altrettanti, con campo di battaglia dialettica la vera Austerlitz (o Waterloo) di questo scorcio di secolo: Facebook.
Senza lance, scudi, mostrine o pennacchi, mi armo di coraggio anch'io, lasciando traccia di qualche appunto sparso, senza pretese di esaustività, semmai con la pretesa di provocare una riflessione meno banale dell'ovvio, convinto come sono che su simili questioni non il monologo, bensì il dialogo, il confronto riescono a plasmare le coscienze e individuare i percorsi a misura d'uomo.

Buone (o per lo meno "accettabili") ragioni pro una banale ordinanza di ordine pubblico.
  • Vietare l'accattonaggio ha evidenziato un problema, invece di nasconderlo.
  • Consentire l'accattonaggio non è la soluzione di un problema, bensì l'ammissione di un fallimento, quello di una società che crea emarginazione.
  • In assenza di "presa in carico" e di regole il bisogno diventa abuso e l'abuso genera insofferenza, se non palese ostilità indiscriminata, aumentando di fatto l'emarginazione dei più deboli.
  • Quella del "povero buono", che "merita" di essere aiutato, è una retorica di cui si abusa spesso, tuttavia è pure la bussola che tuttora orienta la scelta della maggior parte delle persone nel concederlo o meno, un aiuto. Senza controllo e dunque discernimento non faccio del bene: al più me ne lavo le mani, come Pilato.
  • Spesso chi chiede l'elemosina è sfruttato a sua volta e consentire una presenza indiscriminata, senza controlla, alimenta il sopruso, favorendo in alcuni casi la criminalità.


Buoni (o per lo meno apprezzabili) motivi contro una banale ordinanza di ordine pubblico.
  • Apparteniamo a una tradizione umanistica e cristiana che da duemila anni a questa parte indica che non si voltano le spalle né tanto meno si bastona chi tende la mano.
  • La cultura contadina di cui siamo figli dà testimonianza, attraverso i nostri padri e ai padri dei loro padri, che una ciotola di minestra e un giaciglio asciutto, spesso in cascina e nel fienile, era garantito a chiunque.
  • Limitarsi al divieto, senza accompagnarlo da alcuna proposta, è ipocrita tanto quanto inveire contro il divieto: in entrambi i casi manca una presa di responsabilità.

In sintesi: possiamo discutere dei pro e dei contro con fermezza e al tempo stesso pacatezza,  invece di insultarci e azzannarci l'un l'altro? E' possibile, mi chiedo, una città che senza pregiudizi si metta "in relazione" con le persone che chiedono l'elemosina e se ne prenda carico? Possiamo, almeno tra noi, costruire ponti invece di muri, e fare in modo che le energie ora disperse litigando possano essere investite facendo insieme qualcosa di buono?

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