mercoledì 25 agosto 2021

La sponda altrui (Capire, capirsi)

Ti ho vista fragile, per una sciocchezza, metterti a piangere come una bimba di due anni, anche se di primavere ne hai più di ottanta e i denti da latte li hai persi da un pezzo.
Imparo sempre da te, talvolta per contrasto, notando debolezze, durezze ed errori, deciso a non volerli ripetere.
Imparare “per contrasto” è un modo per trasformare il ferro in oro, l’anidride carbonica in ossigeno, oltre a garanzia di serenità, in relazione ai miei di sbagli, al mio essere limitato, quando mi guardo allo specchio.
È così infatti che non mi sento eccessivamente in colpa, che mi do pace, persino perdono, confidando che i miei figli o chi mi è accanto - in amicizia, nella vita, sul lavoro - non imiti i miei vizi, le piccolezze, i difetti, bensì li prenda ad esempio per fare il contrario, per diventare migliori, traendo lezione dal peggio.

P.S. Ti ho vista fragile, ma ti capisco. Capisco il tuo disorientamento, il sentirti inadeguata, non più al passo con il mondo. Capisco che un sassolino pesi quanto un masso, la difficoltà a cogliere la complessità, il desiderio di semplificazione, la nostalgia del passato, di un tempo che nel ricordo appare migliore, poiché la memoria distilla il dolce e diluisce il gramo.
Capisco te e - per similitudine - i molti che per lo stesso motivo, per le difficoltà di capire, di leggere la mappa del presente e ancor più quella del futuro, riducono tutto al bianco e al nero, al bene e al male, al buono e al cattivo.
Capisco i no vax, i complottisti, i fondamentalisti religiosi, i radicali politici, i conservatori ad oltranza, gli schierati per principio…
Li capisco e vorrei dirlo loro.
Vorrei dire che quei timori, quelle domande senza risposta, quelle incertezze, sono anche le mie, che come per la capra di Saba, il loro lamento, il loro dolore è "fraterno al mio".
Vorrei non minimizzarne le paure, non banalizzarle, non tirare una croce, non schiacciarli con discorsi sbrigativi, saccenti, di chi ha capito tutto e si scandalizza che l’altro sia così gretto, ignorante, cieco, occupando tutti i posti a tavola della ragione lasciando all’altro soltanto lo sgabello sbilenco del torto.
In una stagione come questa - come tutte le stagioni, a dire il vero - in cui la tentazione è quella di alzare muri, chi vuole costruire ponti non può partire se non riconoscendo la sponda altrui, il terreno in cui poggiare i reciproci piloni, un comune fondamento.

venerdì 20 agosto 2021

Da grande (Avere fiducia)

Ti ho mandato un messaggio, il racconto di un recente campione olimpico sul rapporto tra padri e figli, sulla fiducia che si instaura, che sprona.
Lo riporto qui sotto, perché è una storia bella ("Che bella storia", come hai commentato tu).
Aggiungendo però una nota a margine, convinto che per rendere quella lezione piena occorra omettere il finale lieto, l'ultima riga della favola.
Credere nei propri figli, "sostenere le loro speranze, consolare e abbracciare le loro paure, alimentare i loro sogni", non garantisce infatti di salire sulla vetta.
Né salire in vetta è frutto esclusivo di concessione di fiducia.
Il successo, la vittoria, hanno sempre due fronde, su cui ci si arrampica: il merito, l'impegno, il sacrificio, ma anche il caso, il destino, la fortuna.
E se il "destino" si compie e la "fortuna" si costruisce o si coglie, come spiegava Machiavelli, sul "caso" non abbiamo potere: accade, appunto. Succede. A prescindere da ciò che si voglia.
Te lo dico, figlio mio, affinché tu sia esigente, ma mai troppo severo con te stesso e ancora più con chi non ce la fa, arranca, affonda.
Dare fiducia non è un regalo che facciamo agli altri, bensì a noi stessi: un modo per affrontare con ottimismo, con positività, la vita. Sapendo che non tutto ci appartiene, non a tutto si comanda.


P.S. Queste sono le parole toccanti di Luigi Busà, medaglia d'oro nel karate alle recenti Olimpiadi di Tokyo.

“Il mio oro olimpico è molto più di una medaglia.
Quando ho gridato papà, mamma, ce L’ho fatta, era l’urlo di questo bambino in foto.
Sovrappeso, fragile, che non si sentiva adatto.
Oggi finalmente posso raccontare la mia storia, la storia di un padre che ha creduto in un figlio quando nessuno ci credeva, un padre che mi ha insegnato a combattere e non mollare anche quando le cose non erano facili.
Questa foto ha dell’incredibile, attraverso la mia medaglia d’oro voglio che arrivi un messaggio importante: “Ognuno di noi è unico ed importante in questa vita, ognuno di noi ha qualcosa di speciale..
e ognuno di noi ha dei sogni che lo fanno sentire vivo.. e che vanno, per questo, coltivati sempre... nonostante le paure e nonostante le delusioni...".
Allora provate a non temere la paura, a non sentirvi sbagliati, inadatti... Ho avuto  paura, non solo da ragazzino ma anche nel periodo che ha preceduto le Olimpiadi e vi dirò.. anche su quel tatami...
poi però, ho provato a parlarci, con la paura, a farla mia alleata.. mia complice.. ed è così che è successo ciò che tutti sapete bene...
Il mio segreto è la mia famiglia.
Allora mi rivolgo a voi, padri e madri.. credete sempre nei vostri figli, sostenete le loro speranze, consolate e abbracciate le loro paure, alimentate i loro sogni..
Perché, vedete, prima o poi i sogni si avverano..  e quando accade non c’è niente di più bello!!
P.S.Ancora non ci credo CAMPIONE OLIMPICO, te l'avevo promesso nella foto nella prima foto papà, la foto accanto è STORIA”

mercoledì 18 agosto 2021

Tagliati fuori (Un cavolo)

"Pensavo che a voi adulti non succedesse".
Lo dice sorridendo, mentre finiamo di cenare, il sole si eclissa e il caldo dà tregua, sul terrazzo.
"Fomo. Si chiama Fomo. Fears of missing out. La paura di essere tagliati fuori. Ma sì che te ne avevo già parlato! L'ho studiata qualche mese fa, per l'esame di psicologia della comunicazione".
Giorgia lo dice d'un fiato, mentre la guardo con sguardo un poco ebete, cercando di rammentare ciò che ignoro. Mi pare quasi di sentire la ruggine delle rotelle che stentano a ingranare, stridono.
Un lampo. Un barlume di memoria squarcia il buio e rivela che in effetti l'avevo già sentito, ne avevamo già discusso, salvo dimenticarlo quasi subito, tra le molte curiosità che mi ripropongo di riprendere e invece dimentico, del tutto.
Il discorso è riemerso a tavola, mentre tra un tozzo di pane e un pomodoro confessavo di provare un certo disagio ogni volta che in questi giorni do una sbirciata a Instagram o Facebook.
"Sai Giorgia, vedo tutte queste foto di posti splendidi, volti sorridenti, gente felice, in forma, che legge, viaggia, fa cose fighe e mi sento uno schifo, uno sfigato, appunto, come se tutti corrono, vivono intensamente e io rimango fermo".
Fomo. Ora so che si chiama Fomo e non la provo solo io.
Ne scrive pure la Treccani, citando una definizione che mi pare centri esattamente il punto: "il pensiero costante che gli altri stiano facendo qualcosa di più interessante di quello che sto facendo io".
Una sensazione comune e per la quale numerosi esperti, ho scoperto, hanno escogitato risposte, metodi, trucchi, persino un decalogo, tipo quello di Mosè, ma meno enfatico.
Ci provo anch'io, limitandomi a un paio di annotazioni.
Primo: ignorare a lungo il telefono, evitare di essere connessi ai social troppo spesso, specialmente nei mesi estivi e durante le feste comandate, ponti inclusi.
Secondo: ricordare ciò che diceva mio padre, riguardo l'invidia e la percezione distorta secondo cui gli altri stiano sempre meglio o siano più fortunati di noi. "Se tutti portassero i propri guai e ne facesse una pigna, in piazza - diceva - ciascuno tornerebbe a casa scegliendo ancora i suoi".
Vero. Ricordiamolo.

P.S. Vale per le foto e anche per i racconti, tipo questo. Se qualcuno fosse tentato di pensare: "Ma guarda che bravi, guarda di cosa parlano a cena, ammazza che dialogo tra genitori e figli...", sappia che erano due giorni che non ci parlavamo e avevamo rimbrotti vicendevoli e umor nero, ciascuno per conto proprio. Nessuno, per fortuna, è perfetto. Io e la mia famiglia men che meno.

martedì 17 agosto 2021

Il cielo in una stanza (Trovarsi, discutere, faccia a faccia)

Abbiamo l’illusione di essere freccia, l’epilogo di una storia: ne siamo soltanto parte, linea d’arco, traiettoria.
Milioni di anni ci precedono, altri ne seguiranno. Una consapevolezza che schianta, tanto che rimango sospeso ogni volta a dondolarmi tra l'eccesso di impotenza e quello di importanza, tra l'illusione del tutto e l'intuizione del nulla.
Il silenzio. Il silenzio è la risposta.
Non in assoluto: la mia.
La risposta che ho trovato, che mi pare giusta, che applico in questo periodo della mia vita, in nove casi su dieci, specialmente sulle grandi questioni, quelle in cui ciascuno si sente in dovere di esprimere un'opinione, un punto di vista.
Come combattere la pandemia?
Vaccinarsi è un'opportunità oppure un dovere, un obbligo?
La democrazia si può esportare?
Cosa insegnano vent'anni di presenza militare in Afghanistan?
E la pace? Come si ottiene la pace?
E il riscaldamento globale?
E la destra? E la sinistra?
Invidio chi ha una certezza sempre pronta, in tasca.
Da parte mia arranco, corridore a corto di fiato, in salita, faticando a mettere in fila le domande, figuriamoci le risposte.
Me ne accorgo ogni giorno, attirato da ciò che viene espresso sui social, incapace di tirarmene fuori e al contempo di buttarmi a capofitto nella mischia.
Lo scrivo, oltre che per giustificare un'assenza, anche per lasciare una traccia, la pietra miliare di una sensazione che da mesi ha preso forza, cioè la necessità di trovare nuove (anzi, vecchie) forme di discussione, di confronto, di espressione, quelle del piccolo gruppo, del fianco a fianco, del faccia a faccia, del seduti in cerchio o in ordine sparso, in una stanza.
Un bisogno e un piacere, il ritrovarsi e discutere, che accompagna gli esseri umani fin da quando sedevano in una grotta, giù giù o su su fino a noi, passando per le assemblee delle civiltà antiche, i consigli comunali medievali, le aule delle prime università, i salotti della borghesia, le stalle dei contadini, le tavole conviviali tra amici o in famiglia.
Una tradizione da non trascurare, un buon proposito per i mesi e pure i giorni a venire, superando la pigrizia.

P.S. Tempo fa ho letto che se la storia del pianeta terra, dall'origine ad oggi, fosse un film di due ore, l'essere umano comparirebbe nell'ultimo mezzo secondo di pellicola.
Mezzo secondo. Su due ore. Abbastanza per non sciupare l'eccezionalità di una presenza, ma anche per evitare di darsi troppe arie, di confondere l'oceano con un bicchier d'acqua.

sabato 7 agosto 2021

Sulle tue spalle (Viktor)

Ti chiami Viktor e sei nato un giorno d’agosto che per noi italiani farà rima con “vittoria” a lungo, consegnandoci una gioia e una lezione che idealmente - proprio come il testimone nella staffetta - ti affido, qui sotto.
Quella più bella però l’hanno data a me i tuoi genitori, Milan e Dina, raccontandomi quanto e come ti hanno desiderato, cercato, voluto.
Vederti in foto, ieri, in braccio a tua madre, luminosa come il sole, dopo averti partorito, scorgere il lampo di tenerezza negli occhi di quel gigante di tuo padre, lo ammetto, mi ha commosso.
Ho pensato che davvero ha ragione Renzo Piano, l’architetto, quando dice: “Sono i giovani che salveranno la terra. I giovani sono i messaggi che mandiamo a un mondo che non vedremo mai.  Non sono loro a salire sulle nostre spalle, siamo noi a salire sulle loro, per intravedere le cose che non potremo vivere”.
Le vivrai tu, allora, Viktor. E ne sono pienamente lieto, poiché io, grazie a te, ne ho viste già un pezzetto.

P.S. L’ho dichiarato all’inizio: voglio affidarti una lezione che con gli anni ho imparato, affinché il male, il dolore, la sconfitta - nei quali ogni essere umano prima o poi inciampa, sappilo - non siano mai ostacolo, bensì molla, leva, trampolino.
La dimostrazione viene dallo sport di queste settimane, con l’Italia del calcio che tre anni fa non aveva potuto partecipare ai Mondiali, ma da quella sconfitta ha messo seme e tratto forza per vincere i recenti Europei, e con la squadra di atletica, sempre italiana, che nelle Olimpiadi di cinque anni fa non aveva vinto neppure una medaglia, mentre in questi giorni, a Tokyo, di successi ha fatto il pieno, come mai nella propria storia, un vero e proprio record.
Un esempio per te ancora più fulgido viene proprio dai tuoi genitori, cresciuti sotto le bombe e in parte da profughi, conoscendo terrore, povertà, separazioni forzate, ma che da quella radice di dolore hanno tratto linfa per crescere robusti e costruirsi un futuro di benessere, soddisfazioni, di cui tu, oggi, sei il frutto più dolce, bello, unico.