Abbiamo l’illusione di essere freccia, l’epilogo di una storia: ne siamo soltanto parte, linea d’arco, traiettoria.
Milioni di anni ci precedono, altri ne seguiranno. Una consapevolezza che schianta, tanto che rimango sospeso ogni volta a dondolarmi tra l'eccesso di impotenza e quello di importanza, tra l'illusione del tutto e l'intuizione del nulla.
Il silenzio. Il silenzio è la risposta.
Milioni di anni ci precedono, altri ne seguiranno. Una consapevolezza che schianta, tanto che rimango sospeso ogni volta a dondolarmi tra l'eccesso di impotenza e quello di importanza, tra l'illusione del tutto e l'intuizione del nulla.
Il silenzio. Il silenzio è la risposta.
Non in assoluto: la mia.
La risposta che ho trovato, che mi pare giusta, che applico in questo periodo della mia vita, in nove casi su dieci, specialmente sulle grandi questioni, quelle in cui ciascuno si sente in dovere di esprimere un'opinione, un punto di vista.
Come combattere la pandemia?
Vaccinarsi è un'opportunità oppure un dovere, un obbligo?
La democrazia si può esportare?
Cosa insegnano vent'anni di presenza militare in Afghanistan?
E la pace? Come si ottiene la pace?
E il riscaldamento globale?
E la destra? E la sinistra?
Invidio chi ha una certezza sempre pronta, in tasca.
Da parte mia arranco, corridore a corto di fiato, in salita, faticando a mettere in fila le domande, figuriamoci le risposte.
Me ne accorgo ogni giorno, attirato da ciò che viene espresso sui social, incapace di tirarmene fuori e al contempo di buttarmi a capofitto nella mischia.
Lo scrivo, oltre che per giustificare un'assenza, anche per lasciare una traccia, la pietra miliare di una sensazione che da mesi ha preso forza, cioè la necessità di trovare nuove (anzi, vecchie) forme di discussione, di confronto, di espressione, quelle del piccolo gruppo, del fianco a fianco, del faccia a faccia, del seduti in cerchio o in ordine sparso, in una stanza.
Un bisogno e un piacere, il ritrovarsi e discutere, che accompagna gli esseri umani fin da quando sedevano in una grotta, giù giù o su su fino a noi, passando per le assemblee delle civiltà antiche, i consigli comunali medievali, le aule delle prime università, i salotti della borghesia, le stalle dei contadini, le tavole conviviali tra amici o in famiglia.
Una tradizione da non trascurare, un buon proposito per i mesi e pure i giorni a venire, superando la pigrizia.
La risposta che ho trovato, che mi pare giusta, che applico in questo periodo della mia vita, in nove casi su dieci, specialmente sulle grandi questioni, quelle in cui ciascuno si sente in dovere di esprimere un'opinione, un punto di vista.
Come combattere la pandemia?
Vaccinarsi è un'opportunità oppure un dovere, un obbligo?
La democrazia si può esportare?
Cosa insegnano vent'anni di presenza militare in Afghanistan?
E la pace? Come si ottiene la pace?
E il riscaldamento globale?
E la destra? E la sinistra?
Invidio chi ha una certezza sempre pronta, in tasca.
Da parte mia arranco, corridore a corto di fiato, in salita, faticando a mettere in fila le domande, figuriamoci le risposte.
Me ne accorgo ogni giorno, attirato da ciò che viene espresso sui social, incapace di tirarmene fuori e al contempo di buttarmi a capofitto nella mischia.
Lo scrivo, oltre che per giustificare un'assenza, anche per lasciare una traccia, la pietra miliare di una sensazione che da mesi ha preso forza, cioè la necessità di trovare nuove (anzi, vecchie) forme di discussione, di confronto, di espressione, quelle del piccolo gruppo, del fianco a fianco, del faccia a faccia, del seduti in cerchio o in ordine sparso, in una stanza.
Un bisogno e un piacere, il ritrovarsi e discutere, che accompagna gli esseri umani fin da quando sedevano in una grotta, giù giù o su su fino a noi, passando per le assemblee delle civiltà antiche, i consigli comunali medievali, le aule delle prime università, i salotti della borghesia, le stalle dei contadini, le tavole conviviali tra amici o in famiglia.
Una tradizione da non trascurare, un buon proposito per i mesi e pure i giorni a venire, superando la pigrizia.
P.S. Tempo fa ho letto che se la storia del pianeta terra, dall'origine ad oggi, fosse un film di due ore, l'essere umano comparirebbe nell'ultimo mezzo secondo di pellicola.
Mezzo secondo. Su due ore. Abbastanza per non sciupare l'eccezionalità di una presenza, ma anche per evitare di darsi troppe arie, di confondere l'oceano con un bicchier d'acqua.
Nessun commento:
Posta un commento