lunedì 29 aprile 2013

Il prezzo necessario (Yoani Sanchez a Monza)

Foto by Leonora
Avendo qualche problema di connesione con il blog del giornale utilizzo questo mio spazio privato per pubblicizzare un evento pubblico, che si terrà fra due giorni (martedì 30 aprile) alle 17, al teatro Manzoni di Monza. Ospite del Cittadino sarà Yoani Sanchez, la giornalista simbolo del dissenso al regime di Cuba, che ho appena seguito in diretta streaming sul sito della Stampa, mentre intervistata da Mario Calabresi era ospite del festival del giornalismo di Perugia. Tra poche ore sarà a Monza e non mi sento per nulla rassicurato da quanto ho appena visto e sentito, con un manipolo di facinorosi tipo ultras da stadio che l'ha pesantemente contestata, accusandola - stringi stringi - di essere al soldo dell'America per destabilizzare e possibilmente abbattere il regime dei Castro a L'Avana.
Ora, non starò a fare il rendiconto delle urla e dei buuu con cui è stata accolta, mi limiterò a riportare una sua frase. Questa: "Le vostre urla non fermaranno la forza dei miei argomenti". E' vero. Non l'hanno fermata, non la fermeranno.
Di Yoani ho apprezzato la serenità con cui ha reagito alle provocazioni (si dirà: è abituata. Ma occorre una grande forza interiore per conservare lucidità, non soltanto freddezza) e la puntualità con cui ha ribattutto punto su punto, non appellandosi a principi pur validi ma ideali, bensì riportando fatti concreti, reali.
Il problema non è se abbia ragione o torto, semmai il diritto di potere esprimere la sua opionione e il dissenso verso una forma di governo che non le aggrada. Al di là di ciò che si pensa, credo sia nostro dovere permetterle di esprimersi, di viaggiare, di parlare del suo Paese e sono fiero che in tutto il nord d'Italia abbia scelto, per parlare, proprio Monza.

P.S. Spero che per motivi di sicurezza non le facciano cambiare di nuovo programma, altrimenti martedì sarà sul palco del Manzoni e potremo parlarle, ascoltarla.

P.P.S. Trovo tra le foto scattate a Cuba da Leonora una scritta che la dice lunga: "La difenderemo (la rivoluzione, credo sia sottotinteso, o la stessa Cuba) al prezzo che sarà necessario". Temo che proprio in "quel prezzo necessario" ci sia l'ostracismo nei confronti di Yoani e di qualsiasi persona che la pensi in maniera differente.

sabato 20 aprile 2013

Democrazia potenziata (come cambia la politica)

Foto by Leonora
Spremuto come un limone per il lavoro e in affanno mentale su tutto il resto torno a questa sorta di diario personale di bordo per lasciare una traccia nel futuro, cercando di interpreare quanto sta oggi avvenendo nella politica italiana, con lo stallo del parlamento, l'incapacità di formare un governo e le difficoltà a eleggere un presidente della Repubblica (quest'ultimo è un fatto non epocale: già in passato capitò che si dovettero attendere decine di giorni affinché le intenzioni di voto si coagulassero attorno a un nome solo, ma allora era un impasse di personalismi, all'interno dei partiti, oggi ha un seme diverso).
La mia premessa è che "destra" e "sinistra" siano categorie superate e il confronto / scontro sia trasversale ad esse, tra "vecchio" e "nuovo". La destra reagisce meglio perché ora non ha un partito bensì un leader senza rivali di pari carisma e a cui tutti obbediscono come a un capo, mentre la sinistra esplode perché i contrasti sono evidenti già al pian terreno.
Ma ciò non basterebbe per spiegare la paralisi, il blocco di questi giorni.
Occorre comprendere che siamo anche al primo vero momento in cui la tecnologia e i nuovi strumenti di partecipazione incidono nella politica, interrompendo e sovvertendo un sistema (quello dei maître a pensée e dei giornali) che prima costituiva l'opinione pubblica e che i politici usavano come confronto per maturare strategie e prendere decisioni.
L'accordo Bersani - Berlusconi su Marini e ancor più la scelta di puntare su Prodi fallisce non perché non condivisa dai grandi elettori o dai mega giornali, bensì perché il Paese (la parte più tecnologica almeno) comincia un tam tam che impatta su ogni singolo grande elettore e parlamentare, sgretolando certezze, insinuando dubbi. Potremmo chiamarla "democrazia diffusa" o, meglio, "democrazia potenziata", cioè quella in cui la delega non è più totale ma può essere direttamente influenzata da ogni singolo elettore, facendo arrivare la propria voce al proprio rappresentante e anche all'avversario.
Una visione che meriterebbe di essere approfondita, magari partendo dal tentativo di risposta ad alcune domande (Quanto è rappresentativa del Paese la parte di esso che arriva a farsi sentire ai piani alti tramite Twitter e Facebook? A mio parere "molto" ma magari mi sbaglio. Quale destino per i grandi giornali e delle televisioni se perdono il monopolio dell'opinione pubblica? Qui invece sospendo il giudizio ma lunedì dovrò parlare ad alcuni studenti di filosofia dell'università Vita e Pensiero del San Raffaele e magari mi faccio aiutare da loro).
Per ora mi fermo qui, non scordando un'imprescindibile aspetto: sono già passate le otto e non ho ancora fatto colazione. Il futuro può attendere un poco.

lunedì 1 aprile 2013

La vera ricchezza

Foto by Leonora
"Goditi i figli finché sono piccoli perché poi l'adolescenza è una lunga camminata nel deserto: non sai mai come ne esci". Me lo dice Luigi, seduto dall'altra parte del tavolo e con cui parlo di tutto, discutendo spesso, senza nascondere nulla.
Metto la carta nel mazzo dei pensieri di questi giorni, finalmente sgombri da incombenze e compiti urgenti, aprendo la finestra di casa e appuntando che in un mese hanno fatto un Papa ma non un governo, dato una svolta alla Chiesa e restando invece fermi al palo di uno Stato avvitato su se stesso, sempre meno dalla parte dei cittadini e distante anni luce dai bisogni reali di ciascuno. Perciò me ne sento distante, disattendendo un coinvolgimento per le vicende politiche che ho da quando ero piccolo e conoscere onorevoli e senatori in parlamento distingueva il bambino mediocre che ero.
Il Papa mi piace, pur se temo gli osanna a trecentosessanta gradi che sta ottenendo. Conosco gli uomini e so che ai ramoscelli di ulivo di ogni entrata a Gerusalemme risponde un "crucifige" al primo refolo di vento. Credo che lo sappia anche lui, Jorge Bergoglio detto Francesco, la cui serenità che traspare dal volto è testimonianza di fede assai più delle prediche e dei documenti compilati dallo studioso.
Mi interrogo sulla povertà a cui fa riferimento spesso, sul significato che ha, su chi sia veramente il povero e come possiamo fare per stargli vicino, per essergli prossimo. Assodato che la sopravvivenza è il minimo che deve esser garantito a ciascuno, cioè un bicchiere d'acqua e un pezzo di pane, possibilmente con del companatico, cosa altro occorre a una persona per realizzarsi come donna, come uomo. Il denaro? Quanto? Sono mille i fattori che incidono sulla condizione del sentirsi ricco e sovente dipendono dalla formazione, dalle convinzioni personali o banalmente dal caso, da dove siamo nati, da un posto piuttosto che un altro. Per il ragazzo cresciuto a Beverly Hills la povertà è non poter contare sulla servitù, non avere vestiti firmati, l'auto sportiva all'ultimo grido, per quello che cresce nella baraccopoli di Città del Capo o di Rio de Janeiro la ricchezza è uno stipendio fisso da impiegato e un appartamento pulito. Sono i due estremi e li ho scelti perché nel mezzo ci può stare di tutto. Ciò che mi importa ribadire è che non si può tirare una riga e definire che quel che sta di qua è "povero" e di là è "ricco". Il beato Arlatto, uno dei padri che scelse di vivere meditando, nel deserto, sosteneva che la vera ricchezza non sta nel molto possedere, bensì nel poco desiderare. La penso così anch'io. Credo che la vera rivoluzione sia proprio questa, uscire dall'illusione capitalistica che il denaro sia misura di tutto, dando valore a una dimensione comunitaria che via via è scomparsa, secondo cui dare il proprio tempo, le proprie conoscenze, le proprie energie al servizio del bene pubblico è giusto, oltre che buono. Dobbiamo tornare a un'essenzialità che abbiamo perso, a una sobrietà non imposta, ma scelta da ciascuno. Non sono pessimista, i segni di un miglioramento ci sono, è sufficiente coglierli e saperli interpretare per tornare a guardare il futuro sorridendo.