lunedì 14 giugno 2021

Come bandiera al vento (L'ipocrisia del pudore)

Me lo chiede nessuno, non ho altro luogo in cui scriverlo, lo appunto qui, per te, che al pari dei tuoi fratelli cerco di educare allo spirito critico e che in qualche modo vivi del pane che guadagno, del mestiere che ho scelto.
C'è pure un terzo motivo, che attiene all'accettare se stessi, la propria natura, correggendola - se è il caso - alla luce della ragione, ma comprendendo l'origine, il significato di ogni comportamento, senza giudicarlo frettolosamente, il ramo secco di un tronco sano.
Tra i molti istinti, ne scelgo uno: la curiosità di osservare le cose che non vanno, compresi gli eventi drammatici, tragici, siano essi l'incidente stradale o la malformazione fisica, la carambola involontaria, l'inciampo. 
A bocce ferme, dopo, forte è stato lo sdegno per quelle telecamere puntate su quel corpo apparentemente esanime, i dettagli del volto, la corsa dei soccorritori, le manovre per rianimarlo.
Molti l'hanno definita "assenza di pudore", "morbosità", persino "sciacallaggio".
Vado contro corrente e, come suggerisce Brecht, mi siedo dalla parte del torto, sostenendo che mostrare quell'evento, inquadrarlo, è stato giusto.
Da che mondo è mondo infatti gli esseri umani imparano dall'esperienza, specialmente di una situazione di pericolo, con le lezioni che ne conseguono (la prontezza del compagno; la calma dei medici e paramedici nel prestare soccorso, nel capire, prima ancora che mettere mano…), compreso il desiderio di poter imparare qualcosa, di essere preparati personalmente, nel caso accada a noi di assistere a un simile evento.
Assai più temo l'omertà, la rimozione del dolore, il velo bianco della censura che oscura tutto, di un pudore che sterilizza la realtà, rendendola "immune", cioè priva di "dono".
In un mondo in cui l'ipocrisia tende a prendere il sopravvento, vorrei che tu e i tuoi fratelli coltivasse sempre il dubbio, il pensiero divergente, l'arte del ragionare e del comprendere, tenendo in considerazione la storia umana, la natura, l'istinto biologico, il valore del "pubblico".

P.S. Chris Eriksen, il giocatore colpito da arresto cardiaco, è sopravvissuto, sta meglio, dovrà cominciare un cammino in salita e tortuoso, per recuperare appieno la salute e ridurre al minimo rischi e conseguenze di ciò che gli è capitato.
Per coincidenza, ho assai a cuore un'altra persona che giorni fa ha visto rivoltata la propria vita come un calzino, rischiando di perderla e ora di averla compromessa, dovendo convivere con le bizze del proprio muscolo cardiaco. "Mi sento sbattuta come bandiera al vento, vivo costantemente nel terrore" mi ha scritto chi gli sta accanto.
La capisco. Anzi, ne intuisco lo sgomento, poiché per capirlo dovrei esserci immerso io stesso.
Così, impotente come mi sento, come sono, l'unico appiglio è quello dell'esperienza di chi ci è già passato, di chi in qualche modo ne è uscito, delle storie buone che hanno lo stesso valore della curiosità di osservare le cose che non vanno. Due volti della stessa medaglia. Una medaglia chiamata "conoscenza", che da millenni a questa parte rende l'essere umano ostinato e per molti aspetti unico.

sabato 12 giugno 2021

Questo e quello (Accanto, per esempio)

Non cambierei mai me stesso, con i pregi e i difetti inclusi nel biglietto d'ingresso e affinati crescendo, cercando di diventare grande e non soltanto alto.
Non cambierei me stesso e non provo invidia, nei confronti di nessuno.

Ammirazione piuttosto.

Sincera ammirazione per chi sa essermi da esempio, in questo o quello.

Chi ha il coraggio di lasciare gli scogli a cui è aggrappato, evitando di temere il nuovo, l’ignoto.

Chi parte, chi si mette in viaggio, chi non teme l’inizio, chi arriva alla fine, chi fa, senza troppo preambolo, senza indugiare nel mezzo, sapendo che “done is better than perfect”, fatto è meglio di perfetto.

Chi ha un sogno, un’aspirazione, un desiderio, che culla la sera e poi insegue, al mattino.

Chi ha coraggio, delle proprie idee, di remare contro corrente, di sbatterci il muso.

Chi piange, chi si fa venire lo strozzo e non riesce a cavare parole, quando discute, con il cuore che ingolfa il cervello.

Chi resiste, nonostante la malattia, la speranza flebile, la lotta dura, l’affanno.

Chi ha la pazienza del coltivare, del seminare generoso, senza braccio corto, senza misurare col bilancino, fonte che sgorga di continuo, irriga, feconda, fa fiorire il giardino.

Molti di questi “chi”, tutti anzi, li conosco.

Hanno un nome, una storia, un volto.

Sono le persone che mi stanno accanto, mentre cammino, chi per un tratto breve, chi lungo, chi cingendomi i fianchi, giorno per giorno, chi dandomi una carezza, di tanto in tanto, tutti facendomi da specchio, permettendomi di seguirne il passo e di poggiare il piede nelle loro impronte, per cercare di diventare migliore, anch’io.