sabato 30 giugno 2012

Ritrovar me stesso

Foto by Leonora
Dare ordine, definire le priorità, badare al tempo medio (i prossimi due mesi) e non soltanto al giorno dopo oppure a settembre, l'orizzonte che mi sono dato per un cambio di passo, soprattutto lavorativo. Do priorità anche così, scrivendo, concedendo forma al magma delle emozioni, degli stati d'animo. Che abbia bisogno di un poco di riposo mentale lo capisco ascoltando la radio. In questi giorni detesto le chiacchiere, le futilità e vorrei ascoltare soltanto musica. Di più. In quella straordinaria invenzione ch'è la radio interattiva (per chi non lo sapesse, su Internet - con Sibilla di R101, ad esempio - c'è la possibilità di scegliere la musica in base a come ci si sente: serio, allegro, energico...) in questi giorni mi scopro sempre a scegliere la modalità "rilassato". Vorrà pur dire qualcosa. Luglio e agosto sono dunque nominati d'urgenza e de facto come i mesi della lieta coscienza di sé e della giusta ricollocazione nel quadro infinito dell'universo. Vabbè, forse l'universo è esagerato. Facciamo la terra, il mondo. È troppo lo stesso? L'Italia. Como, Monza. Casa mia, la camera da letto. Ok, io medesimo. Luglio e agosto sono nominati d'urgenza e de facto i mesi della giusta ricollocazione nel quadro finito di me stesso. Se mi trovo, non dovrebbe neppure essere malaccio.

martedì 26 giugno 2012

Un dono di Grazia

Foto by Leonora
Di lei avevo scritto anche qui, esattamente un anno fa. Meno, anzi. Era il 27 luglio e da poco avevo lasciato le Marche per tornamene a casa, lasciando due figli su tre nelle mani di un manipolo di giusti che aveva scelto di trascorrere le proprie vacanze con il gruppo dell'oratorio. Tra queste persone c'era Grazia, la moglie di Gianpaolo, la mamma di Matteo e Andrea, una bella donna di poco più di cinquant'anni, dal carattere forte ma con me sempre gentile, fin dai tempi in cui il ragazzino ero io e lei aveva la mia età di adesso.
Grazia da ieri l'altro non è più qui, non su questa terra almeno, non il suo spirito. Un tumore l'ha piegata in un battibaleno, senza guardarla in faccia o considerare che era ancora giovane, troppo giovane per andarsene davvero. Isabella, che ha parlato proprio con Matteo, mi ha detto che è stato tutto assai repentino, all'inizio di primavera, durante una passeggiata lungo un sentiero a mezza costa sul mare. Prima il fiato corto, poi qualche colpo di tosse, la visita, le radiografie, la sentenza inappellabile, tremenda, una botta da stendere un toro. Grazia non ha fatto scene, ha pianto il suo dolore disperato, mantenendo - mi giurano coloro che le hanno fatto visita fino all'ultimo - quel sorriso con cui io la ricordo ora e continuerò a pensare a lei, in futuro.
Al marito, invece, a Gianpaolo, e ai figli, non oso aggiungere nulla, se non restarmene qua, in silenzio, rileggendo ciò che sempre un anno fa, cinque giorni dopo aver scritto il post in cui la citavo, scrivevo: la morte come dono. E' poco, è nulla, probabilmente leggerlo qui, ora, dà fastidio, eppure non conosco altro modo per vedere un po' di luce in mezzo a tanto buio.

sabato 23 giugno 2012

Francesca capirà

Rileggo il mio "post insofferente" e penso a Francesca, così orgogliosa della sua Sicilia, terra aspra e senza mezze misure, neppure nei colori. Spero non si sia offesa se ho citato quella regione per le molte assunzioni pubbliche e una finanza allegra (per chi la attua) e tragica (per chi ne paga i conti). Non credo, sono certo Francesca capirà la luna che indicavo, senza soffermarsi sul dito. Dopo tutto, penso, i primi a rimetterci sono coloro che non godono di privilegi e pagano per la cattiva reputazione di chi abita accanto a loro. Ecco perché detesto le caste, le furbizie,  a qualunque latitudine si presentino. Credo che un paese fortunato sia quello dove esistono poche regole, chiare, uguali per tutti. Altrimenti non solo costruiremo poco o nulla, ma distruggeremo persino il buono che ci è stato lasciato in eredità da chi ci ha preceduto.

venerdì 22 giugno 2012

Ore grame (e non solo per la Grecia)

Foto by Leonora
Oggi va così, che mi sono alzato con la mosca al naso e avverto prurito per i tromboni, per la retorica, per i luoghi comuni ancor più di quanto già accada in una normale giornata. Più di tutto, ho in uggia la trasposizione nella vita di una semplice partita, quella tra Germania e Grecia, agli Europei di calcio, stasera. Non che la sfida non mi intrighi, tutt'altro. Anzi, anch'io quando ho scoperto l'incrocio beffardo previsto dal calendario ho subito pensato che ci sarebbe stato in palio qualcosa in più di un semplice passaggio di turno. Poi però questa tiritera del forte contro il debole, del prepotente teutonico versus il simpaticissimo e sfortunato grecide, della logora e consunta trasposizione del piccolo Davide contro il gigante Golia è diventata oltre che ossessionante pure assurda. Nonosante ciò ero intenzionato a far finta di nulla, girando bellamente pagina ad ogni avvistamento di Pigi Battista o, peggio ancora, di quei cialtroni di giornalisti sportivi che pensano di essere dei nuovi Gianni Brera mentre sfornano semplicemente frasi fatte a macchinetta. Se mi riduco a scriverne anch'io è perché ieri m'è capitata bella, con uno dei miei cronisti preferiti, Massimo Gramellini, che ha inzuppato il biscotto anch'egli nel significato simbolico della gara.
E no, caro Massimo, in questo ha ragione il tuo amico Giorgio Gandola, quando in quattro e quattr'otto, l'altro giorno, tornando proprio da Torino e uscendo proprio dal tuo ufficio, dopo un'ora di chiacchierata che mi aveva visto spettatore unico e privilegiato di una rimpatriata, mi ha smontato tutto il pathos, convertendomi a un'unica ragione: "Viva la Germania". E sì, perché i tedeschi saranno pure flessibili quanto un palo di ghisa e si portano sulle spalle il fardello di autogol nella storia ben peggiori di quelli su un prato verde, in scarpette con i tacchetti e divisa, però tutti i torti non ce li hanno. Se nella minuscola Kos ci sono tanti insegnanti scolastici quanti in metà della Vestfalia, se il metalmeccanico di Osnabrück deve fare gli straordinari per pagare i debiti delle decine di guardiapesca di Santorini, allora capirete che un po' le scatole gli girano.
Questi, lo so, sono ragionamenti terra terra, lontani mille miglia dalle complessità dell'economia e dalle curve morbide della politica, però lì voglio che restino le morbitezze della politica e le complessità dell'economia: lontane mille miglia. Ecco perché stasera, il mio cuore starà dalla parte della Grecia sul campo da calcio, ma nella vita - in questa vita - tutta la mia solidarietà va alla Germania. E non vale soltanto per l'Ellade ilustre, ma anche per buona parte della nostra Italia. Se un Comune di diecimila abitanti in Sicilia continuerà a contare centocinquanta dipendenti a fronte dei trenta che hanno i Comuni di pari dimensione sopra la cintola romana, se le migliaia di guardie forestali della regione Calabria non diventaranno un peso intollerabile per la nostra coscienza di popolo, oltre che della cassa pubblica, allora il disastro non sarà soltanto annunciato, ma pure inevitabile. E ora fatemi pensare in pace alla partita, senza implicazioni sociali. Più che Jesse Owens che vince i cento metri alle Olimpiadi di Berlino sono gli occhi di Hitler, qui è la partita di calcio di Mediterraneo, il film di Salvatores: di "una faccia, una razza" almeno per oggi ne ho piena l'anima.
P.S. L'ora trascorsa con Gramellini e Gandola, martedì, è stata una goduria: come stare seduto in prima fila a un privatissimo spettacolo teatrale sugli ultimi vent'anni di giornalismo, cronaca, costume, spettacolo, politica.

mercoledì 20 giugno 2012

La vaccanza

Foto by Leonora
Elena dice che sono un "desaparecido", Silvia si preoccupa perché non mi faccio vivo e da un pezzo neanche scrivo qualcosa sul blog. E' vero, basta guardare qui sotto: raramente negli ultimi quattro anni sono rimasto tanto a lungo senza mettere un post, ma non l'ho fatto per un motivo preciso. Un cruccio - è vero - l'ho avuto: non riguarda né la salute né il lavoro e sono certo che saprò superarlo, come ho sempre fatto. In più c'è un po' di stanchezza, il nuovo lavoro che mi prosciuga energie mentali, il desiderio anche di starmene solo con me stesso, di cercare svago non nella relazione con l'altro, bensì nel guardarmi dentro. E' un periodo così, insomma. Domani però comincia l'estate e dovrò darmi una regolata, frenare il cammino a vista e tornare a guardare ad ampio raggio, mettendo in cantiere anche qualche giorno di stop, vero, di quelli che di alzi al mattino e ti imponi di non fare nulla se non prenderti cura di te stesso. "Vaccanza" la chiamiamo a casa nostra, io e mia figlia Giorgia: tre giorni in cui ci si alza quando si vuole, ci si addormenta quando si vuole, si fa tutto ciò che si vuole (lettura libri, tv, videogiochi, piscina...) con l'unico limite di non creare fastidi o problemi all'altro. Se ci va bene, la faremo ad agosto. Nel frattempo chiedo perdono ai tanti amici che ho trascurato: scusate, ma proprio perché mi siete amici, in cuor mio so che avete già perdonato.

venerdì 15 giugno 2012

Il cruccio

Foto by Leonora
La botta è stata forte: non perché non ce l'aspettassimo - attenderci il peggio e sperare nel meglio è nel dna della nostra famiglia - tuttavia rispetto al primo quadrimestre Giacomo aveva recuperato buona parte delle materie in cui aveva brutti voti ed era un finale in gran crescendo. Non è stato così. Come mi ha spiegato la preside del Terragni, questa mattina, nelle due fondamentali materie per il liceo scientifico (matematica e fisica) "le lacune sono tali da non ritenere che possano essere recuperate durante l'estate". Non due esami insomma, ma due "tre" nel giudizio finale e bocciatura. Più inquietante ancora è invece stata la pulce che la stessa preside mi ha messo nell'orecchio: "E se vostro figlio avesse un disturbo dell'apprendimento, un problema con i calcoli?".
Già, se l'avesse? "In teoria - gli ho risposto con pacatezza ma anche un filo di sconcerto - dovreste dircelo voi. Magari, visto che siamo in argomento, non sarebbe stato male chiederselo prima, evitando un calvario durato un anno e finito in croce senza possibilità di appello". Ma come è possibile, mi sono chiesto poi, uscendo, che in otto anni di scuola primaria e in uno di secondaria, possa sorgere ancora questo dubbio.
Speriamo non sia così, speriamo non risulti discalculico (faremo i test al più presto), speriamo sia solamemente una scarsa attitudine a quelle materie abbinata a basi incerte. Colpa nostra insomma. Un po' sua, un bel po' mia, che memore di quanto fossi asino senza però essere mai bocciato, ho spinto Giacomo ad iscriversi allo scientifico, o come minimo l'ho assecondato, non opponendomi come invece avrebbe fatto Isabella, che paga ora come noi il senso del fallimento e di vergogna persino, che mi rende pesante lo scriverlo qui, il mettere in piazza cose che dovrebbero essere soltanto nostre, che vorrei fossero celate a tutti, per primo a me stesso, che ho la tentazione di fare come lo struzzo e gettare la testa nel primo buco per terra che mi capita, per non vedere niente o nessuno.
Se lo scrivo è perché, come la capra di Saba, credo che il mio dolore sia fraterno a qualcun altro e che l'imbarazzo sia un sentimento comprensibile ma sbagliato. Giacomo non è un genio ma neanche stupido. Di più. Sono orgoglioso di come si è impegnato e di come negli ultimi cinque mesi ha saputo recuperare in materie in cui era comunque sotto. Non è morto sui libri (del resto, è onesto riconoscerlo, era l'ultima cosa che gli chiedevo: ritengo la scuola importante ma la vita lo è di più) però è stato serio, ha fatto il suo dovere, ci ha creduto fino all'ultimo. Sono fiero del fatto che tutte le insegnanti, comprese le due che lo hanno bocciato, abbiamo detto che è un bravo ragazzo e che si è impegnato.
Belle parole ma inutili, lo so, con l'aggravante che se davvero lo pensavano una chance in più potevano dargliela, rimandandolo a settembre, oppure parlandogli chiaro prima, dicendoci che non è una scuola adatta per lui e dunque di cercarne insieme un'altra. Niente di tutto questo. Forse sono semplicemente un ingenuo, credo sempre che gli altri si comporterebbero come farei io o come hanno fatto le insegnanti che ho avuto, capaci di guardare il ragazzo e non banalmente quattro cifre su un foglio. Quel che conta ora è il risultato e da qualsiasi parte la si guardi mi viene il magone. Poi però penso a lui, lo sento fare battute argute, ripenso a quando ride, di gusto, sbircio dalla finestra mentre sul piazzale davanti al garage infila un pallone dietro l'altro nel canestro anche se a guardarlo bene ha sempre gli occhi lucidi e gli si strozza la voce e non vuole parlarne, essendoci rimasto male, d'un male vero. L'altro giorno, ispirandomi malamente a Kipling, gli ho scritto una cosa, a futura memoria. La aggiungo qui, a cappello di tutto, affinché se qualcun altro è nella nostra condizione possa trovare qualche spunto e magari un poco di conforto.

Caro Giacomo,

se saprai fare tesoro della sconfitta senza pensare che tutto è perduto;
se riuscirai ad essere riconoscente anche a chi ti ha messo i bastoni tra le ruote, nella consapevolezza che solo cadendo faccia avanti imparerai a rialzarti;
se sarai consapevole dei tuoi limiti mantenendo però l’ambizione di puntare più in alto possibile e di osare;
se verserai lacrime amare di sconforto senza che esse ti cancellino la gioia di vivere e il sorriso;
se ti dispiacerà per i tuoi genitori sapendo che vogliono il tuo bene e cercano sempre di essere “i migliori possibile” pure quando sbagliano, nell’esser troppo buoni o troppo severi;
se imparerai ad amare la conoscenza non per il voto da prendere in pagella bensì perché è bello e entusiasmante conoscere più cose;
se continuerai a credere in te stesso anche quando nessun altro è disposto a farlo,
allora non sarà un anno perduto, figlio mio. Ti voglio bene.

giovedì 7 giugno 2012

Così muore (con dignità) un giornale

Foto by Leonora

Di giorni tristi ne ho vissuto qualcuno e non vorrei cadere nella retorica dei luoghi comuni scrivendo della chiusura di un giornale che, come ha detto oggi Giorgio Gandola, portava ogni mattina in edicola "un colpo di vento, un colpo di vento utile". Mi riferisco a "L'Ordine", quotidiano comasco di opinione, di cui ho parlato in passato, in più di un'occasione (una la trovate qui, un'altra qui, una terza qui, e qualche altra me la dimentico senz'altro). Una notizia che non avrei voluto leggere perché rimango convinto di ciò che scrissi quattro anni fa: "Un "più" d'informazione è sintomo per una città di buona salute". Ci sveglieremo dunque domani un po' meno forti, un po' più malati, anche un filo più grigi, venendo a mancare nel contempo una voce e un elemento di concorrenza per gli altri notiziari. A Sara, Giovanni, Manuela e agli amici che lavoravano lì va un abbraccio e un in bocca al lupo sincero: non c'è mattino in cui mi alzo infatti senza pensare che fare bene il mio mestiere, trovare una strada che dia profitti e permetta ai giornali di sopravvivere è l'unico modo per dare pane e soddisfazione non soltanto a me stesso, ma anche a più colleghi possibile. Ad Alessandro Sallusti (qui il suo commiato odierno), che con Carlo Ripamonti ha messo cuore e portafogli nell'impresa di rilanciare la storica testata, dico grazie per aver tentato e resistito quasi quattro anni, contro tutti i pronostici e molte cassandre. Lo stesso vale per Mauro Migliavada, a cui tuttavia questo taglio di cordone ombelicale farà bene: è un cronista di talento, non potrà che migliorare, specie ora che non ha più scogli a cui aggrapparsi e deve semplicemente nuotare. Invece ai profeti di sventura e ai pasqualino iettatore che fin da quando è nato hanno desiderato che chiudesse non dedico più di queste righe: la loro contentezza è fatua, così come evanescente è lo spessore umano e la lungimiranza nel godere della barca che affonda senza considerare che galleggiano a malapena sullo stesso mare e i prossimi ad essere inghiottiti saranno proprio loro, gli invidiosi.
Lode e onore a L'Ordine, allora, e grazie anche per tutte le volte che mi hanno preso di mira, dandomi della banderuola, del trombone pomposo, del fustigatore incoerente: è grazie a quelle frecciate che ogni volta che scrivevo un pezzo stavo attento affinché fosse inappuntabile, è grazie all'avere quel cane da guardia tra i piedi che ho imparato a tenerli per terra, evitando di diventare un pallone gonfiato fino a scoppiare.