sabato 30 marzo 2019

I propri panni (Competitivi e collaborativi)


Vedo te, rivedo me. In meglio. Pur se non mancano caratteristiche che ci accomunano: su una di esse mi sono soffermato ieri l'altro, riflettendo sull'esistenza di persone che hanno un carisma, una capacità di essere leader, di trainare gli altri, affascinandoli, conquistandoli senza neppure bisogno di aprire bocca, semplicemente ponendosi di fronte, con l'atteggiamento, la postura, lo sguardo.
Una sorta di "tocco magico", una dote naturale che non possiedo: lo ammetto senza imbarazzo, né provando invidia o rammarico.
C'è stato un tempo in cui ho compreso di non essere come chi possiede quel magnetismo.
L'istante esatto, ora che ci penso, è stato da bambino, undici o dodici anni, quando volevo convincere i miei compagni di gioco a nominarmi capo dei cowboy: tre su quattro erano d'accordo, uno si è opposto, andandosene e lasciandomi con un palmo di naso, nonostante per un paio d'ore avessi tentato di convincerlo, illudendomi a lungo di esserci riuscito.
Passando gli anni mi sono via via convinto di essere piuttosto uno spirito gregario, un'ottima spalla, un compagno ideale e in certi contesti un capo, ma costruito, imparando a condurre, a prendermi responsabilità, conscio di avere molti limiti, di essere diverso da quelle (rare) persone che lo sono in modo naturale, che sembrano quasi sollevarsi senza sostegno.
Di recente ho affinato il pensiero e proprio grazie a te, osservandoti giocare a calcio, analizzando le difficoltà con cui devi fare i conti, formulando una teoria in base a cui esistono almeno due spiriti: quello agonistico, competitivo e quello cooperativistico, collaborativo.
Il primo è tipico dei vincenti, di coloro che non hanno altro scopo che il raggiungimento dell'obiettivo, con un desiderio costante e dominante. Sono quelli che se li osservi da fuori ti pare che abbiano più "voglia" di imporsi e se praticano discipline individuali sovente vincono, mentre in quelle a squadre fanno da punto di riferimento, caricandosi sulle spalle i compagni quando sono in difficoltà.
Anche i secondi vogliono vincere e spesso ci riescono, ma hanno uno stile differente, una sensibilità che manca di sfacciataggine, che comprende lo scrupolo, che coltiva il dubbio, che scende a patti con il fallimento (mentre gli altri, i vincenti, i competitivi, la sconfitta non lo tollerano affatto) e tale fragilità a volte compromette il raggiungimento dell'obiettivo.
Sii te stesso dunque, poiché nella vita innanzi tutto è importante dare valore a ciò che si ha, con la certezza che l'abito migliore da indossare è sempre il proprio.

giovedì 7 marzo 2019

Assunta in cielo (Quando l'amore cura, davvero)


Per una vita è stato il suo Angelo, anche se negli ultimi anni ha passato un inferno.
Ieri ho imparato da lei cosa significa "amore" quando c'è davvero, quando rimane nudo, spogliato di ogni incipriatura, belletto e tornaconto.
L'ha fatto con un piccolo gesto, chinandosi sulla cassa di legno chiaro che conteneva il marito, nell'istante preciso in cui il portellone del carro funebre si stava chiudendo, facendo un passo avanti e non limitandosi ad un tocco svelto, bensì cingendo la bara con entrambe le braccia, gli occhi colmi di lacrime ma il viso sereno, salutandolo per l'ultima volta, quasi a trattenerlo, anche se in animo suo sapeva che l'unico modo per farlo era lasciarlo andare, chiudere il cerchio.
La mente, la mia mente, pensava al sollevarsi da un peso; il cuore, il suo cuore, provava soltanto un dispiacere immenso per la separazione, oltre che una riconoscenza infinita per quanto aveva ricevuto donando.
Assunta negli ultimi anni s'è caricata sulle spalle Angelo in tutto per tutto, tenendogli la mano e standogli giorno e notte accanto nel declivio ripido di una malattia due volte infida, poiché alla sofferenza fisica somma l'assenza mentale, un distacco anticipato dal mondo.
Se n'è presa cura con l'intera famiglia, ma mostrando un'energia, un piglio e una determinazione da generale dell'esercito, senza volerne sapere di ritrarsi neppure un giorno nelle retrovie e restando baluardo in prima linea, come se fosse compito suo soltanto, dimostrando un legame più simile tra madre e figlio che tra moglie e marito.
Il vuoto che Angelo ha lasciato, per chi gli voleva bene, per chi da lui è stato generato, si riparerà, poco a poco, ne sono certo, non esistendo cicatrice più tenace del tempo.
La lezione che abbiamo imparato in questi anni da Assunta mi auguro invece non passi mai, poiché riguarda ciò che di più intimo ed originale ha l'essere umano. Una grandezza racchiusa nella semplicità della pazienza, nella condivisione della sofferenza, nel sacrificio fatto senza pretendere medaglie al petto, in silenzio, per "amore" appunto.
Ne scrivo qui, ignorando il suo riserbo, poiché credo sia giusto dire grazie a lei e alle moltissime Assunta - madri, mogli, figlie, figli, mariti, padri, fratelli, sorelle... - che in silenzio danno il meglio di sé aiutando chi è a loro vicino.

P.S. Ieri a Flavia, sua figlia, ho detto che le parole in certi momenti non servono. Lo penso davvero. Il dolore per la morte del padre lascia ciascun figlio solo, smarrito, e non esiste consolazione immediata, efficace. Si resta come sospesi su una rupe e non passa fino a che in quel mare non si cade dentro: si può trattenere il fiato più a lungo possibile oppure bere subito l'acqua d'un fiato, si torna alla serenità soltanto riemergendo in superficie e ricominciando a respirare nuotando, pian piano.

sabato 2 marzo 2019

Dritto negli occhi (Vedere, pienamente)


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Li hai compiuti quasi un mese fa, ho aspettato fino ad oggi, per non dare nulla per scontato, per evitare che il mestiere sostituisse il sentimento, per sorprenderti, perché lo stupore dovrebbe essere sempre l'ingrediente principale di un regalo.
Un regalo è quello che tu consegni a me, ogni giorno, con i tuoi abbracci affettuosi, le battute di spirito, i gesti buffi, persino le bizze e i momenti scostanti del tuo carattere tumultuoso, mai domo né sazio.
Vivi un tempo di pienezza, anche se non ne hai completa consapevolezza e tutto sembra di passaggio, un'ascesa infinita, di cui si scorge a malapena l'origine mentre avvolto nella nebbia è tutto il resto.
Stai crescendo, com'è giusto che sia, però la spinta propulsiva dell'adolescenza è giunta al culmine e a breve ti troverai anche fisicamente su un piano inclinato, una discesa dolce che chiamiamo maturità e ci trasforma fuori e soprattutto dentro.
Ti prendo in giro spesso, risultando a volte tignoso o irritante, ma niente affatto preoccupato, convinto come sono che saprai affrontare ogni ostacolo e gustare ogni gioia, facendo leva sui tuoi molti talenti e senza perdere la bussola, ricordando dove vuoi arrivare ma prima ancora da dove arrivi, dove hai radici.
Guardare l'altro sempre dritto, negli occhi. Questo ti chiedo, questo è quanto io per primo cerco di fare ogni giorno, con chiunque mi trovo innanzi, in special modo i più umili. Vederli, pienamente, senza spocchia, senza supponenza, senza limitarsi a sguardi superficiali e distratti. Lo scrivo in questi giorni, in cui per primo io a volte ho l'impressione di essere osservato da alcuni - per fortuna non dagli amici o in famiglia - quasi fosse trasparente o con una protervia che mi lascia sgomento, abbattutto, prima ancora che arrabbiato, indispettito, furente. Non è mai l'azione altrui che dobbiamo prendere a pretesto per diventare peggiori di quanto siamo, è sempre la nostra reazione che ci qualifica e ciò risulta consolante, poiché sull'azione altrui abbiamo poco o nessun potere mentre sulla reazione nostra il dominio è assoluto, dipende da noi, completamente.

P.S. Ieri e oggi ti sei concessa un giorno con tua madre, alle terme. Lo so, quello è un vero regalo, di sostanza e non quelli che faccio io, a parole. Però so che mi vuoi bene lo stesso e anche questo dimostra quanto grande sia l'amore che ti lega a me, che unisce padri e figlie.