giovedì 7 marzo 2019

Assunta in cielo (Quando l'amore cura, davvero)


Per una vita è stato il suo Angelo, anche se negli ultimi anni ha passato un inferno.
Ieri ho imparato da lei cosa significa "amore" quando c'è davvero, quando rimane nudo, spogliato di ogni incipriatura, belletto e tornaconto.
L'ha fatto con un piccolo gesto, chinandosi sulla cassa di legno chiaro che conteneva il marito, nell'istante preciso in cui il portellone del carro funebre si stava chiudendo, facendo un passo avanti e non limitandosi ad un tocco svelto, bensì cingendo la bara con entrambe le braccia, gli occhi colmi di lacrime ma il viso sereno, salutandolo per l'ultima volta, quasi a trattenerlo, anche se in animo suo sapeva che l'unico modo per farlo era lasciarlo andare, chiudere il cerchio.
La mente, la mia mente, pensava al sollevarsi da un peso; il cuore, il suo cuore, provava soltanto un dispiacere immenso per la separazione, oltre che una riconoscenza infinita per quanto aveva ricevuto donando.
Assunta negli ultimi anni s'è caricata sulle spalle Angelo in tutto per tutto, tenendogli la mano e standogli giorno e notte accanto nel declivio ripido di una malattia due volte infida, poiché alla sofferenza fisica somma l'assenza mentale, un distacco anticipato dal mondo.
Se n'è presa cura con l'intera famiglia, ma mostrando un'energia, un piglio e una determinazione da generale dell'esercito, senza volerne sapere di ritrarsi neppure un giorno nelle retrovie e restando baluardo in prima linea, come se fosse compito suo soltanto, dimostrando un legame più simile tra madre e figlio che tra moglie e marito.
Il vuoto che Angelo ha lasciato, per chi gli voleva bene, per chi da lui è stato generato, si riparerà, poco a poco, ne sono certo, non esistendo cicatrice più tenace del tempo.
La lezione che abbiamo imparato in questi anni da Assunta mi auguro invece non passi mai, poiché riguarda ciò che di più intimo ed originale ha l'essere umano. Una grandezza racchiusa nella semplicità della pazienza, nella condivisione della sofferenza, nel sacrificio fatto senza pretendere medaglie al petto, in silenzio, per "amore" appunto.
Ne scrivo qui, ignorando il suo riserbo, poiché credo sia giusto dire grazie a lei e alle moltissime Assunta - madri, mogli, figlie, figli, mariti, padri, fratelli, sorelle... - che in silenzio danno il meglio di sé aiutando chi è a loro vicino.

P.S. Ieri a Flavia, sua figlia, ho detto che le parole in certi momenti non servono. Lo penso davvero. Il dolore per la morte del padre lascia ciascun figlio solo, smarrito, e non esiste consolazione immediata, efficace. Si resta come sospesi su una rupe e non passa fino a che in quel mare non si cade dentro: si può trattenere il fiato più a lungo possibile oppure bere subito l'acqua d'un fiato, si torna alla serenità soltanto riemergendo in superficie e ricominciando a respirare nuotando, pian piano.

1 commento:

micol ha detto...

Qualche lacrima Giorgio. Sensazioni troppo vibranti ancora per me. Ti abbraccio.