sabato 31 ottobre 2015

Ti presento Larry (Perdonatemi le assenze)

Foto by Leonora
Giudichiamo sempre le storie dal finale, dimenticando rapidamente cos'è accaduto nel mezzo. Scrivere qui è soprattutto testimonianza di "frattempo", memoria come briciole di pane lasciate lungo il cammino.
Oggi ho una premura, uno scrupolo: chiedere scusa alle tante persone che considero amiche o con cui ho avuto e ritengo tuttora di avere un rapporto intimo, cioè tutti coloro che quando li incontro non mi accontento di un saluto, ma idealmente li accoglierei con un abbraccio. Vorrei esser da loro perdonato per la mia "assenza", per la concentrazione che metto in queste settimane nel lavoro, trovando tempo poco o zero per coltivare i rapporti, per dare seguito con i fatti alle tante parole che si dicono. E' un periodo così, come ne sono capitati altri e come altri ne capiteranno, in cui assolvo me stesso sostenendo che esiste una stagione per bussare alle porte altrui e una nella quale ci si deve accontentare di lasciare l'uscio aperto.
Un limite che ho, lo ammetto, è quello di non riuscire a conciliare in armonia relazioni interpersonali e lavoro o, peggio, di rimandare a data da destinarsi ciò che è importante davvero. La conferma è racchiusa in un dialogo avuto qualche giorno or sono, in una delle rare cene tutti assieme, in famiglia, mentre eravamo a tavola. Giovanni, tra un piatto di trofie e il petto di pollo, mi ha ricordato che esattamente un anno fa, per il suo compleanno, gli avevamo "regalato" un cane, ma quel cane non è mai arrivato, rimandandone la consegna da novembre a marzo, poi a maggio, giugno, agosto, settembre, per un motivo o per l'altro. E' stato in quel frangente che ho rammentato con rammarico che pure il regalo per il diciottesimo compleanno di Giacomo (assistere a una partita di calcio in Inghilterra) non si è ancora concretizzato. Era gennaio. La mazzata però è arrivata da Giorgia, che a quel punto alzando gli occhi dal piatto ha detto: "Vabbé, papà, non farci troppo caso. Due giorni fa riordinando la mia camera ho trovato un tuo biglietto con scritto: 'Auguri Giorgia!!!! Oggi è il tuo dodicesimo compleanno e il tuo regalo è... una gita a Gardaland!!!!'. Di anni ormai ne ho sedici e a Gardaland non mi hai mai portato".
P.S. Non racconterei tutto questo se quella sera, a tavola, mentre inanellavo sensi di colpa, non avessi incrociato il sorriso accondiscendente di Giacomo sommato alla risata buona e squillante di Giorgia, nel dirmelo. Intanto la settimana dopo il cane di Giovanni a casa nostra è arrivato. Si chiama Larry ed è un cucciolo.

mercoledì 14 ottobre 2015

Che Dio ti protegga (Il mondo è loro)

Foto by Leonora
Nulla è più grande dell'amore di un genitore che lascia partire il figlio, superando l'egoismo di tenerlo tutto per sé, sapendo che la strada migliore è quella che ciascuno trova da solo.
In fila all'aeroporto, zaino sulle spalle e carta d'imbarco in mano, lui che guarda avanti e non indietro. Damiano è partito ieri e i suoi vent'anni li compirà a Betlemme, il 9 febbraio dell'anno venturo. Una scelta di vita, dopo il diploma al liceo: passerà alcuni mesi in un orfanotrofio in Palestina, lontano con il corpo dalla famiglia e dagli amici, vicino nello spirito.
Neanche a farlo apposta, proprio in coincidenza con il suo viaggio, in quella terra dove l'incontro tra umano e divino è carne e sangue fin dal principio, sono ripresi gli scontri, la violenza, gli attentati. Un bollettino di guerra che favorisce l'apprensione e fa trattenere il fiato, ogni volta che se ne parla, ogni volta che viene in mente che è là, ogni volta che vacillano le rassicurazioni che ci diamo ("Dopotutto se fosse stato davvero pericoloso non lo avrebbero fatto partire"... "Non è là da turista, ma in un posto con gente esperta, che non rischia nulla più di quanto potremmo fare noi, quando attraversiamo la strada o ci immettiamo in un incrocio"...).
La sera prima che partisse ho notato la tristezza profonda di Giacomo, che ne sentirà la mancanza, proprio come io sentivo quella degli amici che partivano, quando era obbligatorio passare lontano da casa un anno da soldato. Raffaele, il papà di Damiano, era uno di loro, scelse di andare a militare e si ritrovò a Fano. Lo raggiungemmo il giorno del giuramento e non scorderò mai la malinconia greve di quel pomeriggio senza sorrisi, il vento freddo, la desolazione del mare d'inverno.
Anche per questo guardando l'immagine di suo figlio Damiano
Damiano
non ho pensieri negativi: in quelle due partenze simili e diversissime insieme vedo la conferma che non era meglio quando si stava peggio e che il mondo va avanti e non indietro.
Buon viaggio allora Damiano. Altre parole non servono, rischierebbero soltanto di inquinare la purezza del tuo gesto. Aggiungo soltanto la frase che ha detto tuo padre, mentre ti osservava superare i controlli di sicurezza e dirigerti all'aereo: "Che Dio ti protegga".
Già. Che Dio protegga te e anche noi, che restiamo.
P.S. Ieri l'altro sono nate Aurora e Matilde, figlie gemelle di Claudia e Mauro. Inutile scrivere che sono bellissime, perché si dice così di tutti i neonati, non fosse altro che per cortesia, ma in questo caso bellissime lo sono davvero, come certi bimbi ritratti nelle foto di Anne Hegges. "Che Dio protegga" anche loro.
Aurora e Matilde

martedì 6 ottobre 2015

Il fiume degli anni (How deep is your love)

Foto by Leonora
La canzone è partita all'improvviso, mentre scorrevo distrattamente Facebook. "How deep is your love" dei Bee Gees. In un istante la stanza attorno è scomparsa e la penombra era quella della soffitta della casa di Michele, in seconda media, il gioco della bottiglia, il ballo con la scopa, le chiacchiere delle femmine in un angolo, noi maschi in quello opposto, il giradischi al centro, la colonna sonora della Febbre del sabato sera ed era sabato sì, ma pomeriggio.
Di quella prima festa ricordo lo stupore, la sorpresa: ingenuo già allora, ero stato invitato ma credevo si giocasse a calcio, non mi aspettavo quell'intimità languida, con la percezione netta che si aprisse all'improvviso un mondo. Ballai "How deep is your love" e altri lenti con una mezza dozzina di compagne, tenni la scopa per un tempo che mi parve congruo, poi ci riunimmo in cerchio, toccò il mio turno di fare girare su se stessa la bottiglia che si fermò puntando Rossella e la baciai in modo casto, sfiorandole le labbra appena, ma con un'emozione che dura tuttora, se ci penso.
La seconda media è passata e la terza, università, liceo, amici, ragazze, posti di lavoro... 
Sono trascorse le stagioni, come pietre che rotolano, e credo restino vere per me e per l'intera mia generazione le parole che l'altro giorno ho scritto a Cristina, in occasione del suo compleanno: "Gli anni hanno aggiunto molto senza togliere nulla di buono e so cosa significa il tempo che passa, come un fiume, tracciando solchi e anse ben più profondi dei segni sul viso, ma al tempo stesso, proprio come un fiume, rendendo fecondo e vivo tutto attorno".

sabato 3 ottobre 2015

L'amico rovesciato (Bussare alla porta)

Foto by Leonora
Ci sono persone che ti stanno accanto, a costo di cambiare l'arco della loro vita, ed altre che non si spostano di un millimetro, che devi andarle a cercare, perché non bussano alla tua porta neppure se gli sta cadendo un meteorite sulla testa.
Per anni ho rischiato di restare schiacciato dal senso di colpa, immaginando di dover esser io a muovermi verso l'altro, a capire o intuire o sentire che qualcosa non andava e farmi vivo, tendere la mano, aiutare in qualche modo chi mi considerava amico e aveva il diritto di pretendere la mia vicinanza. Lo specchio riflesso di questa esigenza era che anche io mi sentivo in diritto di restare immobile quando qualcosa si inceppava, aspettando che l'altro suonasse al mio campanello e dimostrasse così la sua amicizia. Spesso, quasi sempre, era un'attesa vana.
Così, sbattendo il muso, ho capito che la maniera di intendere l'amicizia andava rovesciata e che amico è sì chi accorre, ma soprattutto colui che lascia sempre socchiusa la porta. Sei tu però che devi andare a picchiarci le nocche sopra, senza permalosità o orgoglio di sorta, sapendo che l'amicizia si distingue dalla semplice conoscenza proprio per questo, dalla capacità di riconoscere e accettare il senso del limite altrui, il difetto, la debolezza.
P.S. Come tutti coloro che hanno facilità a immedesimarsi nell'altro, che hanno una spiccata empatia, anch'io devo aver elaborato, consciamente o inconsciamente che sia, delle strategie di sopravvivenza. Costruirsi una corazza, ad esempio (il che mi fa sentire spesso cinico, ma senza la quale sarei in lacrime o nel panico sette giorni su sette la settimana). Oppure vivere momenti di grande intensità con alcune persone, ma poi staccare per qualche tempo la spina, perché è impossibile percorrere due dimensioni contemporaneamente, almeno per me, per cui o rinuncio alla profondità o faccio a meno della lunga distanza. Il tutto per dire a chi si ritiene mio amico di non offendersi se sembro esserci poco o a intermittenza: se però "urlerai il mio nome", come nella canzone di James Taylor, io "arriverò e subito busserò alla tua porta".