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sabato 26 ottobre 2019

Ultima fila (Lì c'è Paolo)


Mai dire "Te l'avevo detto", sempre stare accanto.
"Un modo di essere, uno scegliere di metterci al fianco, senza rinunciare ad esprimere cosa vediamo da quel punto di vista, a raccontare la nostra esperienza, sperando che possa essere illuminante, evitando imposizioni, assumendosi un rischio".

Lo spiega Paolo Ferrari, una persona fuori dal comune, con cui ho la fortuna di collaborare da qualche anno, contribuendo a realizzare qualcosa di nuovo, utile, bello.
Il piacere maggiore, per me, è proprio stargli accanto, perché non è mai banale e ha una capacità unica nell'individuare il percorso educativo e un rigore fermo nel mettere sempre al centro il ragazzo, il suo cammino.
Il bello invece è che da un paio di settimana, invece di limitarsi a "fare", ci si ferma anche per "dire", per mettere nero su bianco i principi che lo ispirano, le lezioni che a sua volta ha imparato, ciò che l'esperienza nel bene e nel male ha partorito.
Per chi ha figli adolescenti, ma non solo, mi permetto di consigliare una sbirciatina, ogni tanto, ai suoi articoli, che di tanto in tanto posterò anche qua, linkandoli.
Questo ad esempio è il primo e afferma il principio secondo cui gli adulti sono sempre e comunque educatori ed il punto non è cosa facciamo, bensì se siamo credibili o meno.
Il secondo è quello che ho citato all'inizio e che qua si trova in versione integrale, garantendo che è corto e si legge in un fiato.

P.S. Il suo blog si può leggere anche se L'Eco di Bergamo e ha un nome curioso: "Ultima fila", poiché  generalmente soltanto se ci si siede in fondo si riesce ad avere uno sguardo ampio, attento, su tutto.

domenica 27 settembre 2015

Ascoltare senza orecchie (L'interpretazione ardua dell'adolescenza)

Foto by Leonora
Non si ascolta soltanto con le orecchie e non ero preparato per fare il genitore di figli adolescenti: questa è la premessa e anche la morale dell'intera faccenda.
Nel mezzo ci sono tutte le attenzioni che metto per entrare in sintonia con Giacomo e Giorgia, insieme con tutti i ricordi di ciò che erano una volta mentre adesso sono diventate persone fatte e finite, con una precisa impronta, distinta dalla mia.
Non si ascolta soltanto con le orecchie perché di parole da loro riesci a cavarne poco o nulla e se chiedi direttamente ottieni tutta una serie di smorfie in scala graduata (l'indifferenza, l'insofferenza, la strafottenza...). Il segreto sta nel capovolgere la scena e nel simulare a mia volta indifferenza, disinteresse, quasi distanza, e poi armarsi della pazienza del pescatore di marlin, con salda in pugno la sua canna da pesca: si getta qualche esca, si accetta che per delle mezz'ore o addirittura giorni non abbocchi nulla e se ti va bene, quando ormai hai perso la speranza, li senti aprire bocca e formulare frasi compiute e dotate di senso oppure allusioni velate che vanno passate poi al crittografo per essere decifrate e interpretate alla bell'e meglio, come capita.
La maggior parte delle volte però, pur con tutti gli accorgimenti di prudenza, l'approccio diretto naufraga ed è lì che si impara ad ascoltare senza usare le orecchie.
Principalmente si osserva. Gli occhi, a saperli usare, ascoltano a meraviglia. Io mi scopro talvolta un novello ispettore Clouseau, mentre sbircio di sottecchi Giacomo o Giorgia. Ne studio i movimenti, le espressioni del viso, le smorfie, i comportamenti, cerco di capire se sono sereni oppure hanno una pena, se vivono spensierati come la loro età meriterebbe oppure se condividono una cruccio, una preoccupazione, una spina. Talvolta ci azzecco, altre distorco la realtà, minimizzandola o ingigantendola.
Il fatto è che non ci si accontenta di averli messi al mondo e di fargli sapere che potranno sempre contare sulla nostra presenza: vorremmo anche far loro da balia. A due, tre, anche dieci anni è tollerabile, dopo diventa stucchevole. Ecco perché ho scritto che non ero pronto per diventare un genitore di adolescenti. Ci allevano fin da piccoli all'idea che avremo figli, che gli daremo il biberon, cambieremo i pannolini, li accompagneremo alle partite di calcio e a scuola, ma omettono che da un certo punto in poi dovremo imparare ad ascoltarli senza usare le orecchie e lasciarli vivere, in parallelo ma indipendente dalla nostra, la loro vita.
P.S. Per fortuna c'è Giovanni, con i suoi dodici anni e i suoi riflessi lineari, che quando ci rimane male per una cosa piange, ma se gli tendi la mano è pronto a prendertela e si fa abbracciare, ti stringe anche lui e un minuto dopo ride, chiedendoti al massimo il fazzoletto per asciugarsi una lacrima e non c'è nulla da interpretare. Per ora.

mercoledì 17 settembre 2014

Amore non fa rima con rabbia

Foto by Leonora
Gira e rigira, oggi gli occhi cadono là, nel pozzo buio dove s'è precipitato un ragazzo di vent'anni, trascinando con sé l'ex fidanzata.
Un fatto di cronaca come tanti e unico insieme, un balzo dal settimo piano che ha infranto la vita di due persone e aperto sull'abisso anche la ragione, incapace di comprendere e timorosa persino di provarci, preferendo volgere lo sguardo e l'attenzione altrove, per un pudore che assomiglia all'istinto di sopravvivenza: quando non si può far nulla e inutile stare a bagnomaria nello sgomento, meglio voltare pagina.
Poi però, insidiosa quanto un tarlo, la curiosità cresce e con essa il desiderio di trovare almeno un appiglio in ciò che appiglio non ha. I dettagli che via via si aggiungono alla vicenda nuda peggiorano la situazione, facendo crescere l'inquietudine, non consentendo di scorgere la fine del pozzo, bensì lasciando l'impressione che quel pozzo un fondo non l'abbia.
Non si spiegherebbe altrimenti la scoperta che quel gesto non è stato frutto di un'stante di follia, bensì era voluto, studiato, calcolato, meditato, come spiegano le parole lasciate in tre pagine di scrittura minuta e fitta, un odio tanto grande da non trovar pace se non nell'annientamento dell'altrui gioia, vita, bellezza.
Ho figli adolescenti, non riesco a fare finta di nulla, a soffocare il timore che uno di loro possa diventare carnefice o vittima, che confonda a tal punto rabbia ed amore da non rispettare l'esistenza altrui né la propria. Magari non con un gesto così estremo, ma con tanti gesti piccoli e grandi che avvelanano le relazioni e le snaturano per gelosia, possessività, per quell'istinto deviato che tutto offusca, acceca.
A loro, a Giacomo, a Giorgia, a Giovanni vorrei dire che non esiste amore né innamoramento che non si accompagni alla gioia, alla serenità, e che chi vuole ottenerlo altrimenti non riceve in cambio che un pugno di ossa. Vorrei dire che l'amore non si prende né tanto meno pretende, bensì si dona, accettando chi non lo accetta, e non esiste passione che non sia buona, generativa.
Non so per quale seme gramo, per quale contagio dannoso invece di volere il bene dell'altro a cui si dice di voler bene lo si tormenti o addirittura distrugga. L'unica cosa che posso fare è alzare la guardia, parlare di questo argomento, invitare chi mi è vicino non soltanto a non fare alcun male ma anche ad esser sentinella nella propria scuola, all'oratorio, in compagnia, affinché non si resti mai soli, né in cima a un palazzo, né nelle troppe occasioni in cui la prepotenza diventa sgarbo, minaccia, violenza.

domenica 31 agosto 2014

Azzurro

Foto by Leonora
Tu che ridi, con il bikini azzurro, e azzurro è il cielo sopra te e le sfumature del telo con cui ti asciughi, appena uscita dall'acqua, mentre ti osservo, seduto a terra, e penso che vorrei fotografarti così, per trattenere un'immagine perfetta di te e della luce che sento scorrermi dentro.
Non ho il cellulare a portata di mano e anche se l'avessi sarebbe difficile cogliere l'attimo, rendere perfettamente l'idea di ciò che provo. La riporto qui, per fare memoria di quel lampo di felicità che mi ha attraversato.
Sono stati bei giorni quelli trascorsi a Cecina, al mare, insieme, anche se con i tuoi quattordici anni ormai ti senti grande e non sei più la mia bambina da un pezzo (ma un po' lo sarai sempre, e sai pure questo). Abbiamo chiacchierato a sprazzi, riso molto, discusso e persino cozzato, per quella caparpietà capricciosa che hai di carattere e che si somma alle bizze dell'età che stai vivendo.
Mi piace quando mi ascolti, ma so che ti distrai facilmente, per cui le cose che mi sembrano importanti te le ripeto, mettendo a tacere il sospetto che tu mi ritenga già un po' rimbambito (la storia delle donne, ad esempio, e del fatto che più della bellezza - o che oltre la bellezza - occorra avere fascino, "charme" come dicono i francesi, e che per quello non occorrono smalti, balsami o push-up, ma la testa soltanto, il cervello, mi pare tu l'abbia ascoltata e non soltanto sentita la seconda volta che te l'ho detto).
I consigli altrui sono come i libri: necessitano del kairòs, del giungere nel tempo propizio, al momento opportuno. Perciò non insisto e sovente preferisco il silenzio, o appiccicare i pensieri qui, immaginando che un giorno ti saranno meno molesti di adesso. Oggi volevo dirti che crescendo per un verso si cambia e ci si allontana moltissimo da ciò che eravamo, per l'altro invece si finisce con l'assomigliare con chi ci ha preceduto, con il padre soprattutto (e qui lo so che penserai: "No!!! Non può essere vero!!!" e ti starai preoccupando. Ed è anche per questo che non te l'ho detto a voce, per evitare di essere osservato con sguardo atterrito :-)

domenica 22 dicembre 2013

Il tempo di crescere

Foto by Leonora
Giacomo torna tardi e (se so dov'è) comincio a non restare più sveglio ad aspettarlo. Vive il suo tempo, com'è giusto che sia, come tutti noi abbiamo vissuto il nostro.
Ci sono delle differenze, ovvio, anche se mi sorprendo più delle similitudini.
Nonostante questa sia l'era di Internet e dei telefonini, al nocciolo ciò che fa (e mi pari desideri) Giacomo non è diverso da quello che facevo e desideravo io: cercare e tessere relazioni, condividere il più possibile con i propri coetanei, staccarsi dal cordone ombelicale dei genitori.
Capita spessissimo che osservandolo riveda me stesso, così come nei suoi amici ritrovo i miei di allora.
Sulle differenze sono meno preparato, procedo per ipotesi, per azzardo. Immagino, più che altro. Nel tentativo di farlo provo a calare i miei sedici anni di allora in questo mondo, con le possibilità di comunicazione attuali. Uno sforzo goffo, perché dentro sono e resto analogico e tendo a minimizzare le differenze e a dimenticare come la mia epoca fosse diversa (se mi piaceva una ragazza prima di dichiararmi passavano mesi, dovendo trovare il coraggio di farlo viso a viso, così come dei compagni di scuola ignoravo tutto, tranne una cerchia strettissima di tre o quattro, per non parlare delle attese infinite e della casualità degli incontri, non potendo mettersi d'accordo con un sms o un messaggio su Whattsup).
Differente però era anche la pressione. Allora, da figlio, credo avessi più regole da rispettare ma meno stress. Ora mi pare che pretendiamo che gli adolescenti diventino adulti troppo in fretta, che assaporino ciò che noi assaporiamo, scordando che siamo diventati adulti molto più tardi rispetto alla loro età, che pigrizia e indolenza erano connaturate in noi (in me almeno), che i nostri padri si facevano gli affari loro, non si curavano dei bambini (come spiega Michele Serra) ma neanche degli adolescenti. Ho la sensazione che persino i professori fossero più severi ma meno esigenti, meno incalzanti di quelli attuali. Abbiamo avuto il tempo di crescere insomma. Quel tempo che ora stentiamo a concedere, salvo poi rimpiangere perché "diventano grandi" troppo in fretta.

giovedì 13 settembre 2012

I loro sedici anni e il padre impreparato

Foto by Leonora
''Le risate, le litigate, le partite a carte, a muro, a schiaccia 7, la pizza alle 11 di sera, gli abbracci, le corse in bicicletta al piazzale della chiesa quando pioveva, le partite a biliardo, a bowling, le foto, le sfide a 4 player, i condomini che ci minacciavano di chiamare i carabinieri perché facevamo casino .. Bè, anche quest’estate è finita, è passata così in fretta, forse perché siamo stati davvero bene insieme, non posso far altro che ringraziarvi, dal primo all’ultimo. Grazie di tutto, grazie per quest’estate stupenda. Vi voglio bene!''.
Sulla bacheca di Facebook di Giacomo, mio figlio maggiore, leggo questo messaggio di Ilaria agli amici e in un istante torno io stesso ragazzino, con i miei sedici anni senza vuoto a rendere, il corpo allungato di botto, i capelli con il gel, le serate passate sul piazzale davanti all'oratorio, la bicicletta per spostarsi, le chiacchierate infinite con Angelo, Raffaele, Brunella, Giovanna, Paolino... Che bei tempi.
Non ne ho nostalgia perché ho vissuto quelle stagioni intensamente, immerso come nel blu profondo. Semmai guardo alla generazione che ho davanti, a mio figlio appunto, ai miei ragazzi che crescono e penso al fatto che non ero, che non sono pronto. Non so come mai, ma nessuno mi ha messo in guardia su questo periodo di passaggio dal bambino all'uomo adulto, su quel camminare in equilibrio che chiamiamo adolescenza e che scombussola tutto quanto attorno. Quando ero piccolo sì, mi dicevano che l'adolescenza era un periodo frizzante, incerto, ma non quanto peggiore fosse affrontarla da genitore, quando l'adolescente desideroso d'indipendenza non sei tu, bensì colui o colei che fino a qualche mese prima pendeva dalle tue labbra ed era con te un tutt'uno. Forse non me l'ha detto nessuno, più probabilmente sono stato distratto io, che ho archiviato la mia, d'una adolescenza, senza appunto tener conto che sarebbe stato più arduo affrontarla dall'altra parte del muro, da genitore a stretto contatto con il vulcano. Se chiudo gli occhi vedo chiaramente che ero preparato a quanto mi sarebbe toccato avendo un neonato, con pappe, seggioloni, asilo, pupazzetti, carrozzine, passeggino, e un figlio piccolo, con i primi calci a un pallone, il grembiule del primo giorno di scuola, i cartoni animati alla tv, non invece un ragazzo alto come te e che fa i suoi primi passi nel mondo.
Per fortuna, pur con tutta la prudenza del caso, mi sono capitati in sorte ragazzi desiderosi di crescere e di costruirsi una propria personalità ponendo dei paletti ma senza cercare ogni volta il conflitto. Scrivo "per fortuna" perché posso permettermi di essere un padre di buona volontà anche se niente affatto preparato.