Foto by Leonora |
Ci sono delle differenze, ovvio, anche se mi sorprendo più delle similitudini.
Nonostante questa sia l'era di Internet e dei telefonini, al nocciolo ciò che fa (e mi pari desideri) Giacomo non è diverso da quello che facevo e desideravo io: cercare e tessere relazioni, condividere il più possibile con i propri coetanei, staccarsi dal cordone ombelicale dei genitori.
Capita spessissimo che osservandolo riveda me stesso, così come nei suoi amici ritrovo i miei di allora.
Sulle differenze sono meno preparato, procedo per ipotesi, per azzardo. Immagino, più che altro. Nel tentativo di farlo provo a calare i miei sedici anni di allora in questo mondo, con le possibilità di comunicazione attuali. Uno sforzo goffo, perché dentro sono e resto analogico e tendo a minimizzare le differenze e a dimenticare come la mia epoca fosse diversa (se mi piaceva una ragazza prima di dichiararmi passavano mesi, dovendo trovare il coraggio di farlo viso a viso, così come dei compagni di scuola ignoravo tutto, tranne una cerchia strettissima di tre o quattro, per non parlare delle attese infinite e della casualità degli incontri, non potendo mettersi d'accordo con un sms o un messaggio su Whattsup).
Differente però era anche la pressione. Allora, da figlio, credo avessi più regole da rispettare ma meno stress. Ora mi pare che pretendiamo che gli adolescenti diventino adulti troppo in fretta, che assaporino ciò che noi assaporiamo, scordando che siamo diventati adulti molto più tardi rispetto alla loro età, che pigrizia e indolenza erano connaturate in noi (in me almeno), che i nostri padri si facevano gli affari loro, non si curavano dei bambini (come spiega Michele Serra) ma neanche degli adolescenti. Ho la sensazione che persino i professori fossero più severi ma meno esigenti, meno incalzanti di quelli attuali. Abbiamo avuto il tempo di crescere insomma. Quel tempo che ora stentiamo a concedere, salvo poi rimpiangere perché "diventano grandi" troppo in fretta.
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