Foto by Leonora |
Fino a ieri scherzavamo, in famiglia, sulla sua tempra, sul suo apparire spacciata e ogni volta riprendersi, dimostrando di avere sette vite e forse anche una di più. Oggi però sono finite, mentre iniziano i ricordi, che interessano nessuno, se non me, che li ho vissuti. In particolare i cinque anni in cui, alle elementari, tornavo da scuola ed ero affidato alle sue cure. Pomeriggi quieti, di merende fatte di cotolette alla milanese, di giochi con i tovaglioli (era bravissima, creando con un quadrato di cotone un gatto, che le si arrampicava sul braccio), di greche disegnate sul quaderno. Non era tenera, apparteneva a una generazione cresciuta nel gramo, di pochi fronzoli, a volte mi faceva venire i brividi, con frasi che alle mie orecchie di bambino suonavano sinistre ("Ta fù cambià pèl cumè na bìsa", "Vegnaràn i temp da andà in gìr cùnt na cavagnéta bogia, a catà sù i fregui), ma stemperate poi da un prendersi cura concreto, non di facciata. Del resto io non ero quello stinco di santo che sorride nelle fotografie in bianco e nero dell'epoca, in più mi rimproverava il mio essere "materiale" ("materiale" è un aggettivo che non si usa più. ma che allora andava in gran voga), un poco disordinato e pasticcione, a differenza di un'altra sua nipote, Marilena ("La mia Marilena sì che scrive bene, non come te che hai una zampa di gallina" era un altro tarlo che mi rodeva, però aveva ragione da vendere). Due sono state le volte in cui l'ho fatta arrabbiare sul serio. La prima quando mi rifiutai di mangiare una coscia di pollo, dicendo che c'erano i vermi (colpa de "I fatti del giorno" di Famiglia Cristiana: avevo letto che in India erano stati trovati vermi in un pollo portato in tavola e tutte le venuzze del volatile mi sembravano appunto vermi). La seconda fu più seria, tanto che la feci piangere dal dispiacere, allorché risposi bruscamente di fronte al suo guardare fuori dalla finestra un temporale e dirsi preoccupata per lo zio che tornava in bicicletta dal lavoro. "Oh, povero Emilio, guarda che cielo!", "Oh, povero Emilio, guarda che lampi!", "Oh, povero Emilio, senti che tuoni"...Alla quarta lamentazione me ne sbottai con un: "Basta zia! Se piove al massimo lo zio si bagna!". Apriti cielo, e non soltanto quello. Fu come l'avessi pugnalata. Lacrime, singhiozzi. Avevo otto anni e dovetti fronteggiare la rabbia di mia mamma, disperata del fatto che non volevano più tenermi a balia.
E' strano come ricordo oggi episodi spiacevoli, omettendo i milioni di momenti felici, le lezioni che mi hanno fatto crescere, gli esempi positivi, persino la tenerezza degli ultimi tempi, quel diventare meno ostica e più fragile, comprensiva. Senza di lei i miei genitori sarebbero stati in difficoltà, sarei dovuto andare da una balia sconosciuta, non sarei andato al mare, perché inzieme alla zia Carla e allo zio Emilio era lei che al mare mi portava. Vederla ieri, con un filo di voce, già più non lucidissima, mi ha fatto tenerezza, così come tenerezza mi fa lo zio Emilio, sessant'anni tondi tondi di matrimonio schioccati via. E' il loro tempo che se ne va e mi dispiace, anche se sento che è giusto così, che trattenerla non sarebbe stato umano, che è una ruota che gira. Ciao Angelina, mi mancherai, eppure ci sei, e queste righe potrai leggerle da lassù, senza doverti nemmeno sforzare, perché sono scritte al computer e non con zampa di gallina.
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