giovedì 25 giugno 2020

A Thousand Days (In tre settimane)

Ne ho letto una pagina, poi due, quindi la prefazione intera. Ci ho preso gusto e l'ho terminato, ieri.
"A thousand days", mille giorni, il racconto della presidenza di John Fitzgerlad Kennedy, scritto a caldo da uno dei suoi consiglieri più fidati, Arthur M. Schlesinger Jr., vincitore del premio Pulitzer.
L'avevo sugli scaffali da almeno una dozzina d'anni, regalatomi dal mio amico Angelo. L'ho considerato poco o nulla prima, non perché l'argomento non mi interessasse, tutt'altro. Però era in inglese, in americano anzi, e mille erano non soltanto i giorni, ma pure le pagine.
Tre settimane fa invece - a conferma che i libri necessitano di un "kairos", di un tempo propizio, per essere letti con gusto - mi è ricapitato tra le mani e me lo sono goduto proprio, apprezzandone argomento, stile e storia.
Quando Angelo me ne fece dono aveva presente una lezione che lì vi passa, cioè che in ogni decisione ad essere importante è il metodo, poiché gli esperti, seppur bravissimi, possono prendere delle cantonate. Così Kennedy, appena insediato alla Casa Bianca, venne tradito dall'eccesso di confidenza e subì un clamoroso tonfo con il fallimento dell'attacco alla Baia dei Porci, facendo tuttavia di quella batosta tesoro, così due anni più tardi condusse magistralmente l'azione che debellò l'installazione dei missili nucleari sovietici a Cuba, mettendo di fatto la parola fine a ciò che è ricordata come "guerra fredda".
Di lezioni tuttavia, scorrendone le pagine, se ne possono trovare a decine, ciascuna gustosa, compresa quella forse maggiore, cioè che la vita e i fatti che ne derivano sono assai più complessi di come di solito li riduciamo e le divisioni tra "bianco" e "nero" sono sbagliate, prima ancora che stupide.
Non aggiungerò nulla a quanto letto, se non che ho scoperto un Kennedy pragmatico, senza dogmi, pienamente figlio del proprio tempo, né santo né demonio. Un politico insomma, come dovrebbero essere tutti i politici, oggi come allora.
Una considerazione però la voglio fare sulla sensazione avuta quando ho concluso l'ultima pagina.
Una grande amarezza. Sì, una desolazione piena, vasta, profonda, istintiva, per l'odio che accompagna gli esseri umani e che nonostante secoli di civiltà ristagna tuttora nelle nostre teste, nei cuori, nell'anima, ammesso che se ne abbia una.
Un male che intacca la vita sociale, non soltanto la politica. Un male che personalmente non voglio provare, per nessuno.
Trovare ciò che unisce, comprendere le ragioni degli altri e tollerarne le idee, quand'anche siano in totale contrasto con le proprie. E nel caso estremo esse intacchino i principi fondanti dei propri convincimenti, opporsi soltanto in maniera non violenta.
Questo è ciò che voglio essere, che vorrei i miei figli abbiano a cuore, come un solco, un punto cardinale, una stella.

domenica 7 giugno 2020

Contro ogni buio (I ragazzi di Via Novelli)


Mi siete stati accanto, vi siete interessati a me, ispirandomi più di un sorriso, nei giorni della desolazione e anche dopo, quando è diventata alba di nuovo, perché "fu sera e fu mattina" sempre, senza sosta, e non c'è mai buio che vinca davvero.
"Come stai?" è stata la frase che mi avete rivolto più spesso, con la spontaneità e la freschezza dei vostri sedici, diciassette e diciott'anni, una generazione che ho imparato a stimare, standovi in mezzo, conoscendola, mettendoci occhi, braccia, cuore, naso.
Non sarò mai grato abbastanza a voi, a "Via Novelli", a Paolo, che ha dato scintilla e sostanza a un'esperienza di vita, assai prima che a una trasmissione televisiva di BgTv e un canale su YouTube e tutto il resto.
Scrivo e vi vedo innanzi a me, uno ad uno, le decine che hanno partecipato attivamente nei mesi dell'epidemia e le migliaia che negli anni recenti sono stati protagonisti di "Che classe", chi facendosi notare, chi restando legato, chi semplicemente passando, entrando in contatto.
Mi verrebbe da sottolineare che mi sono sentito e un poco mi sento padre di tutti, ma sarebbe retorico: un padre l'avete o l'avete avuto già, basta quello.
Io mi accontento di esservi stato compagno, un compagno adulto, è vero, uno di quelli che non c'entrano niente con la vostra età, che stanno scomposti e allampanati, che non riescono neppure a starci con le gambe sotto il banco e a volte appaiono imbarazzanti, per ciò che dicono e che pensano, ma neppure sono estranei del tutto.
Nominare ciascuno più che impossibile sarebbe noioso: un lunghissimo appello, uno sterminato elenco nella rubrica del telefono. Mi limito a chi da marzo a giugno ha fatto gruppo e con Letizia e Fiorella ha tenuto alta la bandiera, impegnandosi praticamente ogni giorno.
Cari Alessandra Sortino, Alessandro Cerami, Alessandro Tuzzolino, Alice Rado, Beatrice Ana Papuse, Camilla Boniforti, Camilla Foresti, Egle Salvoni, Emanuele Amighetti, Esther Salvi, Francesca Rota, Francesca Garofalo, Federica Cangelli, Gabriele Ambrosini, Gabriele Cereda, Gaia Pagano, Giulia Zanni, Giorgia Gualandris, Lorenzo Filoni, Matteo Fumagalli, Mattia Scarpellini, Martina Belfiore, Michele Carobbio, Nicole Bertuletti, Nicole Gentile, Rebecca Gagni, Sara Suardi, Simone Gentile, Simone Signorelli, Simone Vavassori, Tommaso Masserini, Vittoria Bani... sappiate che "con voi sono stato lieto dalla partenza, e molto vi sono grato, credetemi, per l'ottima compagnia".
Il dono più bello che potesse capitarmi è proprio questo: conoscervi e di conseguenza avere fiducia nel presente, nel futuro.

P.S. Ho dato nome ai ragazzi di questi mesi, gli ospiti invece li ricordo in gruppo, pur così vari e diversi l'uno dall'altra, uniti dall'aver accettato di dedicarci energie e tempo non per soldi (mai pagato un centesimo, nessuno), né per fama o per dovere, bensì poiché hanno compreso la meta, il significato, lo spirito. Con ciascuno di essi esiste o si è creato un legame speciale, oltre ad una riconoscenza che per me vale più dell'oro.