venerdì 31 dicembre 2021

Due minuti (A mezzanotte)

Porto con me tanto, troppo, come sempre.
Restio a scartare, accumulatore seriale per eccesso di zelo e coraggio in riserva, pure di quest'anno conserverei il dettaglio.
Non rinnego nulla. Sono ciò che sono anche per le porte in faccia, gli inciampi sulla via, gli ostacoli che non ho saputo superare, i voli abortiti temendo di spiegare le ali, le lacrime versate e quelle trattenute, le attese a vuoto, gli incontri occasionali, le persone perse e chi invece ho ritrovato.
Mi consolo nella consapevolezza di quanto tutto sia marginale, relativo, evitando di dare eccessiva importanza per primo a me stesso.
L'ho realizzato ancor meglio leggendo un libro, un passaggio che riguarda la nostra specie, l'uomo e la donna in relazione con il mondo, il pianeta che abitiamo.
Per rendere l'idea, se condensassimo in un unico anno solare i quattro miliardi, quattro miliardi e mezzo della terra - secolo più, secolo meno - scopriremmo che fino ad ottobre ci sarebbero soltanto batteri, da novembre farebbero capolino piante e animali come li conosciamo, zampe, ossa, rami, foglie, mentre il 31 dicembre, non prima delle 23, comparirebbe il primo primate nostro parente stretto.
E noi? Noi, proprio noi, quelli diventati stanziali, che hanno inventato l'agricoltura, costruito case, città, tutto quanto?
Diciamo che, dopo un’oretta da cacciatori/raccoglitori, abbiamo bussato alla porta e ci siamo presentati che erano più o meno le 23.58 e sessanta secondi prima delle 24.00 è entrato in scena "tutto ciò che chiamiamo 'storia', con piramidi e castelli, dame e cavalieri, macchine a vapore e aeroplani".
Questo siamo. Questo contiamo.
Pochi secondi, uno schiocco di dita.
Con tutta la nostra genialità, originalità, eccezionalità, ma pure la vanagloria, la supponenza, la tracotanza che ci distingue, quasi fossimo i padroni dell'universo, pulce che salta in groppa all’elefante e si illude di cambiarne la rotta.

P.S. "Non porti il peso del mondo sulle spalle, sei soltanto un filo d'erba in un prato" dice Sarah a Zerocalcare, in una delle serie tv più belle del 2021.
È vero, siamo soltanto fili d'erba. Lo siamo noi, lo sono anch'io.
Allora mettiamoci comodi, con il cuore in pace e in mano una bottiglia di vino.
Almeno oggi.
Per problemi, paranoie, preoccupazioni, litigi, discussioni, rancori, invidie, egoismi, avarizie ci sarà tempo, se proprio proprio, un altro giorno.

venerdì 24 dicembre 2021

Un azzardo di gentilezza (Verso noi, per primi)

Sulla soglia delle feste, tra mille lacci e laccioli che fanno d'intralcio alla serenità che dovrebbe essere distintiva di questo tempo, dal mazzo degli auguri ricevuti estraggo questo: "E mi convinco che la gentilezza non sia un azzardo, perché trasforma le persone che la praticano e che la ricevono, spesso in modo imprevedibile".
È vero. La gentilezza trasforma le persone, in meglio.
Pure quelle che in apparenza non la meriterebbero.
In psicologia si chiama "comportamento non complementare" e in principio ad auspicarlo fu colui che domani ricordiamo e che duemila e rotti anni fa esortava a porgere l'altra guancia, senza pensarci troppo.
Evito prediche e sermoni, limitandomi a una preghiera. Laica.
I primi nei confronti dei quali dovremmo essere indulgenti siamo noi stessi, riconoscendo i molti meriti che abbiamo invece di focalizzare l'attenzione verso i difetti, i limiti, le mancanze che pur esistono, ma somigliano alle notizie dei telegiornali: raccontano le eccezioni, non la regola del comportamento umano.
Così per noi, che siamo assai più della somma dei difetti che ci imputiamo.

P.S. Ringrazio Lucio, per il bel biglietto che mi ha recapitato e che ha fatto da spunto a questo scritto.
Ne approfitto anche per allargare il cerchio ed estendere gli auguri a tutti coloro che passano da qui e che benevoli nei miei confronti lo sono per principio, restituendo un'immagine di me che scalda il cuore pure quando fuori e dentro è gelo.

mercoledì 15 dicembre 2021

Non tanto (Molto di più)

Mi hai aperto la mente, dunque la laurea in filosofia te l'avrei data ad honorem.
Hai voluto fare di testa tua, come sempre, prendendone una vera, alla Statale di Milano, con discussione della tesi, proclamazione, voto, corona d'alloro e festa di amici e parenti.
Ometto di netto tutto il resto - l'orgoglio, la gioia, l'emozione... - punto dritto al cuore, a ciò che per me ha valore.
Non tanto l'università in sé, come istituzione, quanto l'università in te, cioè lo studio, la conoscenza, il sapere e tutto quanto ha cambiato la tua e la nostra vita, in meglio, come persone.
Non tanto il diploma, quanto il punto che si mette alla fine, il percorso che si chiude, poiché è soltanto così che un altro se ne può aprire.
Non tanto l'eccellenza nel capire, quanto la perseveranza e il gusto del cercare, quella curiosità che è come energia inesauribile e dà senso a ogni esperienza, considerato che da ogni esperienza c'è da imparare.
Questo è ciò che conta, di questo sono fiero e lieto, veramente, poiché non carta è la laurea che hai preso, ma carne.

P.S. Della tua tesi, quella sul linguaggio sessista e di come noi per primi ne siamo portatori inconsapevoli, ne ho già scritto, un paio di settimane fa, forse tre. Ammetto però che più passa il tempo, più le tue riflessioni mi convincono, più mi pare urgente una coscienza diffusa, un concreto cambiamento nell'uso delle parole e della ricerca dell'eguaglianza, tra generi.
Ecco, anche in questo, figlia mia, hai voluto essere originale, spiegando non in teoria, bensì nei fatti, come la filosofia non sia qualcosa di vago, astratto, lontano, ma affronti - e spesso risolva - problemi pratici, attuali, concreti. In questo sei in linea con la più profonda nostra tradizione famigliare e vedo i volti di chi ci ha preceduto che stanno annuendo, serafici.

venerdì 3 dicembre 2021

A bordo lacrima (Una luce nel buio)

"A volte voglio chiamarti, ma so che non ci sarai". Ascolto la canzone ad occhi chiusi, con una lacrima, una sola, che non scende, incastrata al margine dell'occhio.
Buio è tutto attorno e struggente quella musica, l'emozione che ha innescato, toccando un nervo, accomunando ogni essere umano, rendendo fratelli e sorelle tutti e tutte, poiché tutte e tutti lo possediamo, pure quando non ce ne accorgiamo, anche se lo seppelliamo sotto una coltre spessa di indifferenza, per protezione o cinismo.
Ripenso alle molte parole taciute, ai sentimenti che per incuria e pigrizia non ho esplicitato, alle decine di persone a cui sono legato evitando però di rifare di tanto in tanto l'asola, come se fosse superfluo, rimandando e rimandando, scacciando l'ipotesi del troppo tardi, che arrivi un giorno in cui mi sarà impossibile farlo, anche volendolo.
Questo Natale, il prossimo, vorrei io farmi un regalo, partendo da lontano, scrivendo a più persone possibili, dicendo perché sono speciali, il bene che provo e mi unisce loro.
Dopo tutto, a questo servono le feste, anche per chi mal le sopporta e spera di saltare a piè pari a gennaio inoltrato: che piaccia o meno, esse sono un'occasione, lo spunto, il pretesto per un coraggio che nel resto dell'anno non troviamo, l'esame di riparazione del sentimento umano.


P.S. Questa è la canzone in cui mi sono imbattuto, qui invece si trova il testo. Per chi amasse più il cinema della musica, credo che l'ultimo film di Sorrentino produca lo stesso effetto.

La lacrima invece, una sola, non è scesa, forse per un motivo: sono un uomo fortunato o distratto, infatti alle persone che nella mia vita contano o hanno contato di più, ciò che di intimo e vero potevo dire mi pare di averlo detto. E anche questo blog, nelle centinaia di post da cui è formato, contiene spesso lettere messe nero su bianco, che i destinatari hanno già ricevuto e per i quali rimane sempre a disposizione, finché avranno memoria, finché lo vorranno.