Ti ho vista fragile, per una sciocchezza, metterti a piangere come una bimba di due anni, anche se di primavere ne hai più di ottanta e i denti da latte li hai persi da un pezzo.
Imparo sempre da te, talvolta per contrasto, notando debolezze, durezze ed errori, deciso a non volerli ripetere.
Imparare “per contrasto” è un modo per trasformare il ferro in oro, l’anidride carbonica in ossigeno, oltre a garanzia di serenità, in relazione ai miei di sbagli, al mio essere limitato, quando mi guardo allo specchio.
È così infatti che non mi sento eccessivamente in colpa, che mi do pace, persino perdono, confidando che i miei figli o chi mi è accanto - in amicizia, nella vita, sul lavoro - non imiti i miei vizi, le piccolezze, i difetti, bensì li prenda ad esempio per fare il contrario, per diventare migliori, traendo lezione dal peggio.
P.S. Ti ho vista fragile, ma ti capisco. Capisco il tuo disorientamento, il sentirti inadeguata, non più al passo con il mondo. Capisco che un sassolino pesi quanto un masso, la difficoltà a cogliere la complessità, il desiderio di semplificazione, la nostalgia del passato, di un tempo che nel ricordo appare migliore, poiché la memoria distilla il dolce e diluisce il gramo.
Capisco te e - per similitudine - i molti che per lo stesso motivo, per le difficoltà di capire, di leggere la mappa del presente e ancor più quella del futuro, riducono tutto al bianco e al nero, al bene e al male, al buono e al cattivo.
Capisco i no vax, i complottisti, i fondamentalisti religiosi, i radicali politici, i conservatori ad oltranza, gli schierati per principio…
Li capisco e vorrei dirlo loro.
Vorrei dire che quei timori, quelle domande senza risposta, quelle incertezze, sono anche le mie, che come per la capra di Saba, il loro lamento, il loro dolore è "fraterno al mio".
Vorrei non minimizzarne le paure, non banalizzarle, non tirare una croce, non schiacciarli con discorsi sbrigativi, saccenti, di chi ha capito tutto e si scandalizza che l’altro sia così gretto, ignorante, cieco, occupando tutti i posti a tavola della ragione lasciando all’altro soltanto lo sgabello sbilenco del torto.
In una stagione come questa - come tutte le stagioni, a dire il vero - in cui la tentazione è quella di alzare muri, chi vuole costruire ponti non può partire se non riconoscendo la sponda altrui, il terreno in cui poggiare i reciproci piloni, un comune fondamento.
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