All’aperto, nel prato, in giardino, con i fiori, le piante, imparo sempre ed è un'imparare innanzi tutto a pelle, sulle mani, nella schiena.
Poi viene la testa.
In genere con un’intuizione, lasciata a metà, sospesa, un abbozzo, una perla grezza di cui si comprende il valore senza misurarne la portata.
Una "rivelazione" ad uso personale, senza pretese di universalità alcuna, uno squarcio di verità che mi illumina i pensieri, talvolta pure la via, facendomi riconsiderare azioni, opinioni, convincimenti.
In questo mese di settembre, che per molti è anche un anno che inizia, vorrei metterne un po’ in fila, a futura memoria, condividendoli, sapendo quanto è vago il confine che separa la saggezza dalla banalità e accettando il rischio che vanga oltrepassato, senza pudore, vergogna.
Comincio dalle pietre, siano esse le enormi lastre di ardesia che segnano un sentiero nel prato di casa o il masso di granito trovato anni fa in uno scavo e posto in bella evidenza, sotto l’ulivo, di lato alla porta d'entrata.
Un’imponenza, la loro, una consistenza, una compattezza, che in teoria dovrebbe mettere al riparo dal passare del tempo, dalla caducità a cui sono sottoposte tutte le forme di vita.
Sbagliato.
Il peso è per esse forza, ma nel contempo condanna.
Impercettibilmente, in un processo che dura a lungo e non si coglie se non con il passare degli anni, vengono pian piano inghiottite dal terreno, sprofondano, scompaiono poco a poco alla vista.
È la vita, la minuta esistenza di centinaia di creature - talpe, topi, ragni, bruchi, vermi, insetti, parassiti, funghi, erbe, radici… - che sotto esse trova riparo e un granello per volta sposta la terra, erode il basamento, si rimpossessa dello spazio occupato con tanta sicumera da chi supponevamo forte, stabile, immutabile, invece affonda.
P.S. Dedicato alle nostre certezze, a coloro - io per primo - che vantano su tutto convinzioni “granitiche”, rifiutandosi di porle al vaglio del dubbio, della prova, ignorando che ponendole con pesantezza, come "pietre tombali", se ne sancisce nel nome il destino: quello appunto della scomparsa, della tomba.
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