domenica 9 febbraio 2014

Taglia e cuci (sul desiderio di unità e forse anche sul perché del male)

Foto by Leonora
Tutta la nostra vita è una separazione, uno staccarsi, tagliare, dividere, dire e dirsi addio. Riguarda le persone, le relazioni e anche noi stessi, che cambiamo, ci trasformiamo, in una continua scissione tra prima e dopo, passato e futuro, ieri e oggi.
Se penso a me stesso e cerco di fare un riassunto mi pare di essere questo: un individuo che si è dovuto abituare a lasciare (dal cordone ombelicale di mia madre, ai compagni delle elementari, alle persone che avevo care, gli amici, le diottrie, i capelli, i vestiti dismessi, le esperienze belle e brutte, il letto in cui ho dormito finché non mi sono sposato, la casa paterna, le compagnie, i lavori, gli abbracci, gli sguardi, gli orizzonti...) e che ha imparato ad attutire l'impatto del dolore provocato da tale separazione e nel contempo che ricerca instancabilmente, razionalmente e anche inconsciamente unione, accordo, condivisione, rinnovata armonia, legame. Come se non esistessero che forbici a cui mi ostino ad opporre fili e aghi.
Credo sia questo che Isabella chiama "esser cinico" ma anche il motivo per cui in fondo mi stima e per il quale di conseguenza non smette di amarmi. "Esser cinico", poiché a volte scambia per freddezza o distanza la mia accettazione della circostanza per cui si cambia, ci si separa dal passato, dagli affetti, dalle abitudini. Non sono apatico né credo di essere insensibile, piuttosto - se proprio proprio - mi illudo di sedare la sofferenza comportandomi come il giovane signor Spock di "Star Trek: into the darkness", quando ammette di provare emozioni ma di controllarle per evitare che esse lo devastino. Contemporaneamente però, forse come istintivo riequilibrio e risarcimento, mi pare di essere un naturale ricucitore. Non per riparare quello che non si può aggiustare, bensì per creare qualcosa di nuovo, sapendo che proprio ciò distingue l'essere umano e forse anche il divino: generare nuova unità da ciò che si è separato, in un flusso costante, ininterrotto, un continuo scindere e innestare, fiorire.
È ciò che spero accada pure con la separazione per eccellenza, la morte, anche se ignoro come possa accadere. Ma quella stessa vita che da un'altra e precedente separazione è nata potrebbe avere sempre una parola in più del taglio, della cesura definitiva, del forcipe che divide.
P.S. Senza separazione non esisterebbe ricerca né ottenimento di unità. Forse, se sostituiamo a taglia e cuci i termini "male" e "bene", potrebbe esser qui il seme della spiegazione al mistero dell'esistenza del male.


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