sabato 31 maggio 2008

Tre giorni in ordine


Reduce da tre giorni in Alsazia, riprendo il filo interrotto dei pensieri e mi appresto a godere degli ultimi giorni di libertà, tra la fine di un lavoro e il principio di un altro.
Avevo bisogno di staccare la spina e sono partito proprio per quello. Staccare la spina e cercare ordine. Ordine mentale. Quell'ordine che non ho trovato tra le vie di Colmar, cittadina dal bel centro storico, le cui strade però sono un budello aggrovigliato, in cui mi sono orientato a fatica. Meglio Strasburgo, con il canale che ne circonda la città vecchia e che trasmette un senso di forza e quiete quando si percorre in battello, passando sotto i ponti bassi. Ma anche l'ordine dell'abbazia di Sant'Odile, magnificamente conservata in cima a un monte d'arenaria rossa, sui Vosgi. O quello dei vitigni, che si estendono per chilometri tra Obernai e Thann. E pure la placida tranquillità della tedesca Friburgo o dei paesaggi svizzeri, comprese le città di Basilea e Lucerna.
Sono tornato ieri sera, venti quattro ore in anticipo sulla tabella di marcia, con un buon carico d'energia nel bagagliaio, numerosi ricordi da custodire cari e soprattutto l'idea che non è vero che da noi si vive meglio che altrove.
Abbiamo molto da imparare, per accorgercene basta mettere appena il naso fuori.

Foto by Leonora

sabato 24 maggio 2008

Carta di svolta



"Urbi et orbi" l'ho già annunciato, nel telegiornale locale di mercoledì, mentre on line qualcuno (eccessivamente generoso) mi ha preceduto. Lo confermo qui: nei giorni scorsi ho dato le dimissioni da Etv e dal 3 giugno sarò ufficialmente al quotidiano "La Provincia".
Nei prossimi giorni, se ne avrò l'occasione, tornerò sull'argomento.
Qui volevo aggiungere, al lungo elenco dei ringraziamenti sinceri, quello a tutte le persone che in rete mi hanno ricordato l'importanza di essere curiosi e sempre desiderosi di imparare, apprendere.
Le carte in più che ho avuto da giocarmi, e non soltanto in ambito professionale, le devo anche a loro. A voi.
Non lo dimenticherò.


Foto by Leonora

martedì 20 maggio 2008

Stanchezza vera


C'è una malattia, chiamata Cfs, che se non fosse drammatica per chi la vive, sarebbe facile oggetto d'ironia.
E'la "encefalomielite mialgica", conosciuta anche come sindrome cronica da affaticamento e i cui segnali sono spossatezza (in forma tale da rendere impossibile alcun movimento) vuoti di memoria, perdita di concentrazione, dislessia transitoria e dolori costanti, che non diminuiscono neppure assumendo forti analgesici. Nella provincia dove abito, Como, sono 6 i casi riscontrati, tra cui quello di una bambina.
Se l'ho scoperto è grazie alla mia collega Valentina, mandata ad una conferenza stampa su una partita di calcio benefica e tornata con questa notizia che mi pare degna di nota.
Giuro che, anche se in questi giorni avverto la primavera e mi alzo al mattino con un gran sonno, non dirò più che mi sento "stanco da morire".

Foto by Leonora

giovedì 15 maggio 2008

Democratici "perbenino"


Note a margine di una giornata di maggio.
Pausa pranzo, lettura dei giornali, politica estera. "La Repubblica" dedica una pagina a "La corsa alla Casa Bianca", con il duello sempre aperto tra Barack Obama e Hillary Clinton per la nomination democratica. Un argomento che mi è caro perché - come ho ricordato qualche giorno fa, parlando ai compagni di scuola di mio figlio - in quinta elementare la maestra per un intero trimestre ci fece "fare" un telegiornale, nel senso che ognuno di noi bambini aveva il compito di vederlo (l'unico che c'era, sulla Rai, canale 1, detto anche "Nazionale") e farne poi un rendiconto. La maestra, che si chiamava Emiliana e morì giovanissima, assegnò ad ognuno i vari settori e a me capitò la "politica estera". Lo rammento bene, poiché era in corso la campagna che condusse Jimmy Carter per la presidenza degli Stati Uniti e io, dal divano di casa mia, la seguivo passo passo, raccontandola ai compagni di scuola il giorno successivo e provando per quell'uomo chiaro di carnagione e, in generale, per quella "cultura politica" una certa simpatia.
Una buona disposizione che provo tuttora, anche se non posso fare a meno di sorridere per alcune curiosità.
Leggo sulla citata "Repubblica" a firma del corrispondente Mario Calabresi: "Barack Obama si comporta come se la Clinton non esistesse più: martedì sera non ha fatto il comizio con cui solitamente si commenta il risultato elettorale e non avendola trovata al telefono per congratularsi, si è limitato a lasciarle un messaggio sulla segreteria".
Ecco, a me, questi americani, che si telefonano per congratularsi dopo ogni risultato elettorale, considerando che le primarie si tengono ogni paio di settimane, fanno sorridere. Ancora di più se penso a Obama che chiama e, non trovando la Clinton al telefono, le lascia un messaggio sulla segreteria.
E dopo, quando ho smesso di sorridere, penso che anche se ci sforziamo di assomigliare a questi americani (vedi dibattito di ieri in Parlamento, per la fiducia a Berlusconi) non saremo uguali mai. Ed è giusto che sia così: non abbiamo passato migliaia anni di storia per candidi convenevoli al telefono. Io stesso, pur anelando la loro fresca ingenuità e non essendo dissimile per carattere da loro, parteggio assai più per quella sanguigna schiettezza che in Toscana, e a Firenze in particolare, ma pure in buona parte delle altre cento città d'Italia, trova tuttora i suoi campioni più veraci ed amabili.
Ne ho in mente uno che non c'è più, il pittore Ottone Rosai, raccontato mirabilmente da Montanelli, che aveva in uggia il collega Berto Ricci e tutti quelli come lui, che definiva così "perbenino".
Per fortuna, quando è morto Rosati, non c'erano ancora i cellulari né la segreteria telefonica, perché non ho dubbi sul messaggio, così poco "perbenino", che avrebbe lasciato a chiunque si fosse trovato all'altro capo del telefono.
Foto by Leonora

mercoledì 14 maggio 2008

Padre nostro


Una persona a cui tengo molto mi consiglia di scrivere, su questo blog, delle opinioni personali, sui fatti di cronaca che accadono vicino o lontano.
Se non lo faccio è perché, spesso, non ho un pensiero su tutto quello che accade. Anzi, ce l’ho su quasi niente e, anche quel poco, mi pare punto meritevole. In più, chi fa il mio lavoro, rischia di scrivere troppo e, proprio per questo, col dire nulla (un pericolo che Ryszard Kapuscinsky, cronista di razza, ha espresso nel suo libro: "Lapidarium").

Premesso ciò, ieri è stata diffusa la notizia dell’iscrizione sul registro degli indagati del vescovo emerito di Como, Alessandro Maggiolini, con l’accusa di favoreggiamento personale nei confronti di Don Mauro Stefanoni, l’ex parroco di Laglio a processo per violenza sessuale (presunti abusi su un parrocchiano minorenne).
Maggiolini, ad onor di cronaca, ha dichiarato di non essere stato di intralcio alle indagini e di essersi comportato con don Mauro "come un papà con un figlio".
Della vicenda il telegiornale di Como se n'é occupato ampiamente e qualche opinione l'ho maturata anch'io.

Primo: a prescindere che l'ex parroco di Laglio sia condannato o assolto, ciò che è emerso dal dibattimento rimarrà sempre una lacerazione per tutti coloro che lo hanno seguito, a maggior ragione se credenti. La scabrosità delle rivelazioni e i toni usati, pur se leciti ai fini della difesa del sacerdote, sono stati in più occasioni mortificanti.

Secondo: è giusto che il Vescovo si comporti da "buon papà" con il sacerdote accusato, ma dovrebbe farlo anche nei confronti del minore che avrebbe subito le molestie e con tutte le pecore del gregge di cui è pastore, per evitare di dare loro "scandalo".

Terzo: proprio nel comportarsi da "buon papà" forse Maggiolini avrebbe dovuto ricordare a don Mauro l'importanza di un atteggiamento sobrio, magari consigliandogli - un consiglio energico, se fosse stato necessario, proprio come a volte i padri debbono fare con i figli - la via del rito abbreviato, che risolvendo il tutto a porte chiuse avrebbe evitato un gogna penosa per tutti, senza esclusione né per presunto molestatore né per la presunta vittima. Un invito ancor più pressante nella convinzione, se il Vescovo ne è convinto, dell'innocenza del sacerdote per quanto riguarda la grave accusa della violenza sessuale.

Quarto: comportarsi da "buon papà" significa anche non mettere in condizione il proprio figlio di "farsi e fare del male", di "cadere in tentazione". Invece di affidargli un altro incarico in parrocchia (a Colico, pur non a contatto con i giovani, da quanto ci risulta) nel tempo del processo si poteva trovare per don Mauro una collocazione più defilata, una dimensione più "contemplativa", che pur per l'uomo di fede è urgente e indispensabile quanto il pane quotidiano.

Quinto: non trattandosi di un tema "di coscienza", il Vescovo deve rispettare la legge, come qualsiasi altro cittadino, anzi: di più. Se don Mauro è stato informato delle indagini sul suo conto della magistratura, chiunque lo abbia fatto deve risponderne ai giudici.

Sesto: nel processo in questione, la stampa (locale, poiché quella
nazionale non se n'é occupata fino ad oggi) è stata unanimente rispettosa nei confronti dell'imputato, al punto che se d'un peccato la si può accusare è quello di "omissione" su dettagli non essenziali, ai fini del dibattimento, ma che avrebbero alzato un polverone e aumentato lettori e copie vendute. Una scelta che ho condiviso in pieno (contribuendovi da attore dell'informazione e non soltanto da spettatore) e che toglie legna sul fuoco di quanti alimentano le voci di un "eccesso di spettacolarizzazione" o di una "campagna contro" qualcuno.

Ci fermiamo qui, ricordando che di opinioni si tratta e siamo pronti a mutarle se interverranno elementi nuovi o se, con l'uso della ragione, qualcuno ci convincerà del contrario. Al male che questa vicenda ha già creato vorremmo non se ne aggiungesse altro. Con una preghiera: non si trasformi quanto accaduto in una lotta tra il bene e il male, tra Chiesa e Stato laico. D'una faccenda d'uomini si tratta e gli uomini possono sbagliare. Se lo fanno è giusto che paghino, non importa se indossano un doppio petto, una toga o una tonaca.

Foto by Leonora

lunedì 12 maggio 2008

L'ultima postilla


Ieri è stato il primo anniversario dalla morte dell'unico zio che avevo, Gianni, il fratello di mia madre. Non aveva ancora settant'anni e un brutto male se l'è portato via, come è successo pochi mesi dopo, ad inizio di quest'anno, con mio padre, che era suo coetaneo. Per la nostra famiglia, una falcidie.

Lo zio Gianni non era un uomo di molte parole. Sono contento di avergli fatto avere, qualche anno fa, una lettera in cui lo ringraziavo per essermi stato così vicino in occasione della malattia di mio padre, aggiungendo quanto importante era per me, per noi.

C'è una cosa però che non gli ho scritto, perché allora non lo sapevo che sarebbe andata a finire così e perché certe cose non si capiscono finché non le si prova e quando le si prova per qualcuno ormai è tardi.

Quella cosa che non gli ho scritto è quanto in gamba sono i suoi figli, Fabrizio e Roberta, che davvero, nel buono, sono a sua immagine e somiglianza.

A lui non ho potuto dirlo quanto li ammiro, quanto ne sono orgoglioso, ma a tutti gli altri sì, specialmente ai suoi nipoti, ai figli dei suoi figli, a Silvia, Alberto, Cristian e Alice.

Quando Gianni se n'è andato, quando mio padre se n'è andato, ho creduto che qualcosa fosse morto per sempre. Oggi so che non è così.


Foto by Leonora

giovedì 8 maggio 2008

"Il Giornaletto" (ovvero il giornale letto)


Ho poco tempo, ne approfitto soltanto per segnalare un post di qualche settimana fa, ma che non finisce di stupirmi (per i contenuti innovativi e soprattutto perché è un'idea work in progress della mia azienda 2.0 preferita).

A chi non importa nulla del futuro della carta stampata o anche del futuro a tutto tondo, il consiglio è di passare oltre. Ci sono un mucchio di post interessanti in giro.


Foto by Leonora

martedì 6 maggio 2008

Il piatto ride e il piatto piange


Mi piacerebbe oggi, parlare di "gratuità".
Mi piacerebbe, lo faccio: il bello del blog è anche questo.
La genesi sta in più episodi.

Primo: un post di Frenz, in cui tra l'altro scrive: "Troppo spesso si parla dell’importanza delle amicizie, del proprio network ma poi nel concreto ci si ferma un secondo e si scopre che molte di queste si basano su fondamenta di interesse personale e di poca trasparenza".
Secondo: la polemica che accompagna in queste ore l'arrivo di Al Gore in Italia e il lancio di Current Tv (per saperne di più, consiglio un blog un po' di parte, quello di Roberto Dadda, che propone anche il link a un video di Robin Good).
Terzo. Non me lo ricordo. So che c'era, ne sono sicuro, ma adesso non mi viene in mente ("Alzheimer, chi era costui?"). Magari dopo lo aggiungo.
A sì, ecco, è anche importante.
Terzo: il post che Luca Conti, nel suo Pandemia, dedica a non quale ben definito evento Audi, con tanto di prova, o più in generali di molti blogger, che hanno la possibilità di "provare" materiale tecnologico e non solo, per poi farne recensioni.
Il filo di Arianna che almeno nella mia testa unisce questi tre episodi è il concetto di "gratuità", con tutte le declinazioni che comporta e la domanda che in fondo esso pone: esiste una linea di demarcazione, per distinguere quando la "gratuità" diventa "interesse"?

Parere modesto e banale: al pari della maggior parte delle vicende umane, il confine non esiste, o per lo meno non nella maniera netta e distinta in cui, in qualche circostanza, lo desidereremmo.
Semmai, l'immagine è quella di una continua tensione tra questi due aspetti. Una tensione solitamente a senso unico, poiché è la "gratuità" a trasformarsi più facilmente in "interesse", pur se è possibile anche il contrario.

Postulati personali e (per vostra fortuna) finali:

  1. La logica, nelle relazioni umane, è quella del "do ut des", dare per avere in cambio.

  2. Sovente mi capita di pensare che un "dono" ricevuto possa anche esser messo a frutto.

  3. Raramente il criterio presenta una perfetta reciprocità (un'imperfezione maggiore tanto è più breve il periodo temporale di riferimento. Per esser chiari: un favore è raro si possa ricambiare immediatamente. A volte, prima che si presenti l'occasione, passano anni, a volte non ci si riesce proprio e si rimane in perenne debito).

  4. Importante, quando la gratuità altrui si trasforma in interesse proprio, è avere il coraggio di saperlo dichiarare.

  5. La gratuità, rispetto all'interesse, mi dà più soddisfazione, cioè attribuisco ad essa, nella mia personalissima scala di valori, un gradino superiore.

  6. L'interesse pareggia il conto con la gratuità solamente se entra in gioco un altro valore: la riconoscenza.

Foto by Leonora

venerdì 2 maggio 2008

Il frutto aggiunto


Ieri sera, fin quasi a notte inoltrata, mi sono divertito a "spulciare" tra gli utenti registrati su Blogger che nel loro profilo hanno indicato come propria provincia "Como".
Non è stata impresa da poco, trattandosi di oltre seicento persone, per cui nella maggior parte dei casi mi sono limitato a dare un'occhiata al profilo, mentre di alcuni ho visitato anche il blog.
L'idea di partenza era quella di "allargare" il cerchio, di conoscere cosa c'è oltre la siepe che nel bene e nel male mi sono costruito o, più semplicemente, mi è cresciuta attorno.
Qualche piacevole scoperta c'è stata, come ad esempio un blog (o forse sarebbe meglio scrivere una blog comunity) intitolato Unico-lab, che per la verità seguo già da tempo e che avevo anche inserito nel mio aggregatore di feed. Ieri però mi sono soffermato sui profili personali, scoprendo che alcuni di loro abitano a un tiro di schioppo da me (io a Lurate, loro a Olgiate) e consolandomi con l'idea che davvero di gente in gamba è pieno il mondo.
E' tra un clic e l'altro che, sempre ieri sera, ho riflettuto su un verbo che in questo periodo mi ritrovo a usare spesso: "aggiungere".
Un utilizzo non casuale. L'esperienza e la conoscenza della rete e delle relazioni che attraverso di essa si scoprono e si tessono, infatti, mi pare che di peculiare abbia proprio questo, la "aggiunta".
Non il parto di qualcosa di nuovo, bensì una nuova somma che si forma, l'aggiungere valore e senso ad un dato di fatto.
Per questo verso - scusandomi per il post un poco criptico, me ne rendo conto -constato che il mio essere on line non mi sottrae energie e tempo, ma mette entrambe a frutto.

Foto by Leonora

giovedì 1 maggio 2008

Presunt(uos)o consapevole


Aggiorno il blog, rimasto all'asciutto in questi giorni per pigrizia.
Vorrei scrivere due parole sulla vicenda dei redditi dichiarati e messi "on line" ieri dall'Agenzia delle Entrate, ma l'ho già fatto mettendo un commento ad un assai esaustivo post di Frenz, per cui non aggiungerò altro alla dichiarazione di condividere appieno quanto espresso da Roberto Dadda.
Ne approfitto piuttosto per dichiarare pubblicamente la mia gratitudine nei confronti di Google Reader, che da un paio di giorni fa da gemello a Netvibes nell'aggregare i feed dei blog che seguo. Netvibes lo uso sui pc, mentre Google Reader mi è comodissimo sul cellulare che in casa è sempre connesso wire-less a Internet. Proprio questa modalità è ciò che più si avvicina al concetto di "quotidiano elettronico fai da te" che secondo molti sarà il concorrente numero 1 della carta stampata per il futuro.
I pregi di questo impiego sono numerosi: la comodità nell'uso (in un nano secondo mi collego, senza attaccare cavi o attendere istanti infiniti e senza nemmeno spendere un centesimo in più, grazie all'abbonamento flat a Internet) unita alla varietà, all'interesse e all'estrema "personalizzazione" degli argomenti in agenda. In pratica, è come se in ogni momento sia possibile consultare un "giornale" fatto su misura per me, originale e completo, poiché abbina ai siti di informazione tradizionale anche i blog, interessanti perché offrono sia notizie "originali", sia commenti non convenzionali su argomenti d'attualità presenti anche nei media classici.
Ciò non toglie che il giornale di carta, per me, mantenga un suo fascino.
Ieri, ad esempio, su Repubblica ho trovato una bella intervista di Gianni Mura a Roberto Donadoni.
Premesso che a me Donadoni non è simpaticissimo, il ritratto che ne esce gli fa onore e me lo ha fatto rivalutare (solo gli stupidi non cambiano mai opinione), anche se forse un poco (molto, anzi) conta la scoperta che il padre di Donadoni commerciava in materiali ferrosi, che poi in dialetto lombardo si può tradurre in "faceva il rutamàt", come anche il mio, di un padre.
Ed è proprio una frase su suo papà e sul rapporto di noi figli con i padri di quella generazione che mi ha colpito.
"Con tutti gli allenamenti e le partite che ho fatto - dice Donadoni - so che non arrivo al 10% della fatica che ha fatto mio padre".
Anch'io lo so. Una consapevolezza che ho sempre avuto: la disparità clamorosa tra i sacrifici di coloro che dopo la guerra si sono dovuti rimboccare le maniche e noi, i loro figli. Una constatazione che non mi "schiaccia", ma che neppure va taciuta, poiché se siamo ciò che siamo è perché gente che non aveva scelta ci ha caricato sulle spalle. Il minimo che possiamo fare è riconoscerglielo, essergliene grati e conservarne memoria.

Foto by Leonora