martedì 31 dicembre 2013

Serenità e fortuna

Mancano poche ore e segnerò sull'impugnatura della pistola un'altra tacca. La segnerei, cioè, se avessi una pistola e sapessi incidere una tacca, ma sono pacifista e recentemente ho anche smarrito una manualità d'artigiano che a sorpresa avevo dimostrato tra venticinque e i quaranta.
Via un anno, un altro, archiviato in fretta e furia, pronto a prendere di petto quello nuovo, che chissà perché mi inquieta. Non so cosa direbbe Freud (perché mai dovrebbe poi dire qualche cosa) a commento di questa propensione a provare più nostalgia per ciò che non c'è più rispetto al desiderio di avventura per quello che mi aspetta. Stasera mi aspetta un San Silvestro spartano per lo stomaco, ma di eccezionale suggestione visiva. Con un manipolo di parenti e amici coraggiosi salieremo a mezza costa su una montagna e a mezzanotte contempleremo il panorama, con il buio punteggiato di luci e botti in lontananza. L'anno scorso avevamo scelto il Baradello, l'anno prima il Pin Umbréla, quest'anno la Croce dell'Uomo, sopra Cernobbio, ma salendo dalla Svizzera.
Sarà là, tra un brindisi con il prosecco e un sorso di vin brulé fatto in caso, che vi penserò tutti, augurandovi per il nuovo anno serenità e fortuna.

venerdì 27 dicembre 2013

Ciao Angelina

Foto by Leonora
Questo tempo non era più il suo, da un pezzo, e a parole diceva di volersene andare, anche se poi alla vita ci si aggrappa come licheni sulla roccia. La zia Angelina se n'è andata stamattina, senza disturbare, con una lievità che gli era prima sconosciuta, lasciando noi nipoti e soprattutto suo marito, lo zio Emilio, minore di due anni e fino a pochi mesi fa maggiore di acciacchi.
Fino a ieri scherzavamo, in famiglia, sulla sua tempra, sul suo apparire spacciata e ogni volta riprendersi, dimostrando di avere sette vite e forse anche una di più. Oggi però sono finite, mentre iniziano i ricordi, che  interessano nessuno, se non me, che li ho vissuti. In particolare i cinque anni in cui, alle elementari, tornavo da scuola ed ero affidato alle sue cure. Pomeriggi quieti, di merende fatte di cotolette alla milanese, di giochi con i tovaglioli (era bravissima, creando con un quadrato di cotone un gatto, che le si arrampicava sul braccio), di greche disegnate sul quaderno. Non era tenera, apparteneva a una generazione cresciuta nel gramo, di pochi fronzoli, a volte mi faceva venire i brividi, con frasi che alle mie orecchie di bambino suonavano sinistre ("Ta fù cambià pèl cumè na bìsa", "Vegnaràn i temp da andà in gìr cùnt na cavagnéta bogia, a catà sù i fregui), ma stemperate poi da un prendersi cura concreto, non di facciata. Del resto io non ero quello stinco di santo che sorride nelle fotografie in bianco e nero dell'epoca, in più mi rimproverava il mio essere "materiale" ("materiale" è un aggettivo che non si usa più. ma che allora andava in gran voga), un poco disordinato e pasticcione, a differenza di un'altra sua nipote, Marilena ("La mia Marilena sì che scrive bene, non come te che hai una zampa di gallina" era un altro tarlo che mi rodeva, però aveva ragione da vendere). Due sono state le volte in cui l'ho fatta arrabbiare sul serio. La prima quando mi rifiutai di mangiare una coscia di pollo, dicendo che c'erano i vermi (colpa de "I fatti del giorno" di Famiglia Cristiana: avevo letto che in India erano stati trovati vermi in un pollo portato in tavola e tutte le venuzze del volatile mi sembravano appunto vermi). La seconda fu più seria, tanto che la feci piangere dal dispiacere, allorché risposi bruscamente di fronte al suo guardare fuori dalla finestra un temporale e dirsi preoccupata per lo zio che tornava in bicicletta dal lavoro. "Oh, povero Emilio, guarda che cielo!", "Oh, povero Emilio, guarda che lampi!", "Oh, povero Emilio, senti che tuoni"...Alla quarta lamentazione me ne sbottai con un: "Basta zia! Se piove al massimo lo zio si bagna!". Apriti cielo, e non soltanto quello. Fu come l'avessi pugnalata. Lacrime, singhiozzi. Avevo otto anni e dovetti fronteggiare la rabbia di mia mamma, disperata del fatto che non volevano più tenermi a balia.
E' strano come ricordo oggi episodi spiacevoli, omettendo i milioni di momenti felici, le lezioni che mi hanno fatto crescere, gli esempi positivi, persino la tenerezza degli ultimi tempi, quel diventare meno ostica e più fragile, comprensiva. Senza di lei i miei genitori sarebbero stati in difficoltà, sarei dovuto andare da una balia sconosciuta, non sarei andato al mare, perché inzieme alla zia Carla e allo zio Emilio era lei che al mare mi portava. Vederla ieri, con un filo di voce, già più non lucidissima, mi ha fatto tenerezza, così come tenerezza mi fa lo zio Emilio, sessant'anni tondi tondi di matrimonio schioccati via. E' il loro tempo che se ne va e mi dispiace, anche se sento che è giusto così, che trattenerla non sarebbe stato umano, che è una ruota che gira. Ciao Angelina, mi mancherai, eppure ci sei, e queste righe potrai leggerle da lassù, senza doverti nemmeno sforzare, perché sono scritte al computer e non con zampa di gallina.

martedì 24 dicembre 2013

Il sole dentro (un augurio per Natale)

Foto by Leonora
Quest'anno gioco d'anticipo, così da mandare un augurio personalizzato alle persone a cui tengo di più.
So che a molti queste feste non piacciono. A me sì, fosse anche solo per l'occasione che danno di potersi scrivere, telefonare, vedersi, restare in contatto.
Il mio augurio è di tornare ad avere almeno per un giorno gli occhi di un bambino, provare lo stesso stupore, lo stesso entusiasmo, la stessa purezza che non conosce pudori o imbarazzi e guarda al nocciolo delle cose, non a quello che nel corso degli anni è restato attaccato di enfatico, di commerciale, materiale, retorico. Il Natale dopo tutto è proprio questo: tornare un po' bambini (non a caso l'origine di tutto è Gesù Bambino).
Che sia una bella giornata allora, con fuori la pioggia ma il sole dentro.

lunedì 23 dicembre 2013

Vince la parola, è matematico

Foto by Leonora
Dicono che la perfezione dell'universo stia tutta dei numeri. Io non ci credo. La perfezione dell'universo - se un perfezione esiste - semmai sta tutta nelle parole (non a caso il Vangelo di Giovanni con: "In principio era la Parola" e non "In principio era due più due" o "In principio era xy al quadrato fratto z tendente a 0").
Chiedo dunque moderatamente scusa a tutte le insegnanti di aritmetica, algebra, geometria e fisica che ho avuto e che hanno dovuto fare i conti, ostici, quelli sì, con le mancanze evidenti che avevo. Talvolta mi sono pure impegnato ma certe materie non fanno per me, pur se ne ho rispetto, se sono grato a tutti coloro che in esse trovano gusto e che hanno consentito al mondo di progredire, dunque anche al sottoscritto.
Mi sono tolto questo sassolino dalla scarpa, non solo per spiegare il motivo per cui ho scelto di fare questo mestiere e non l'ingegnere nucleare, come il mio amico Angelo, o lo scienziato come Toto, bensì per un motivo semplice e commerciale, visto che siamo in prossimità del Natale e sono certo che qualcuno che passa da qui ha ancora qualche pensiero da fare e non avendo provveduto prima è in ritardo.
Avrei una preghiera: se non sapete cosa regalare, fate dono di un libro. Di carta, piccolo o grande non importa, così come non è fondamentale il titolo. Chi li legge sa che il libro azzeccato non esiste: ce ne sono alcuni intonsi sugli scaffali di casa mia ed altri che dieci volte ho cominciato a leggere e per altrettante volte ho desistito, salvo poi capitare un pomeriggio di giugno o una mattina di novembre di riprendere in mano e divorare letteralmente, sembrandomi esso il miglior libro del mondo ("Guerra e pace" ne è un esempio).
Un libro azzeccato non esiste e per questo tutti sono azzeccati, a patto da avere pazienza e non pretendere che vengano letti subito. E poi un libro può esser a sua volta donato, se quello che riceviamo è doppio, oppure il massimo è ragalarne uno proprio, non importa se usato. Anzi, più è consunto, vissuto, meglio è. Vuol dire che teniamo, che abbiamo a cuore a chi lo regaliamo, perché non è un libro qualsiasi, è un vero pezzetto di noi che vogliamo entri nella vita dell'altro (il primo libro che ho ricevuto così è stato "Non ora, non qui" di Erri De Luca, datomi da David, non l'ho mai scordato).
In più, fatti due conti (vedi che la matematica a qualcosa serve), il libro è anche un regalo economico, ma non è questo (gioco di parole) che conta di più. L'aspetto essenziale è piuttosto la constatazione che leggere un libro è bello. Magari quando si è ragazzi non ce ne se rende conto, oppure si legge un sacco però poi la passione scema (non è una parolaccia), salvo poi tornare impetuosa in età adulta o quando si è vecchi proprio (non ho mai visto mia madre leggere un libro per quarant'anni, mentre ora divera un libro dietro l'altro). Quando accade, e qui sta il punto (esclamativo), è come se si diventasse protagonisti non di un'avventura o una storia straordinaria, come nella vita di ciascuno può capitare una o due o tre volte, ma attraverso la lettura capita invece cento, mille volte. Ed è questo il motivo principale per cui scrivo, ma prima ancora leggo.

domenica 22 dicembre 2013

Lara

Foto by Leonora
Spigliata, ironica, divertente. Se non fosse vera, in carne ed ossa, potrebbe essere la protagonista di un libro di qualche autrice inglese, pur se vive in Italia e italiana è, anche se non al cento per cento. Sua madre infatti viene dalla Turchia ed è come se partorendola le avesse fatto dono dei colori e delle spezie che in quella terra si trovano. Sono fiero di essere amico di Lara, una delle persone più perspicaci che conosca. Non ci vediamo quasi mai, ci scriviamo raramente, però per me è un punto di orientamento, come quelle stelle che oltre le nuvole sai che ci sono e quando le guardi brillano. Del suo giudizio mi fido, eccetto il trascurabile aspetto che nei miei confronti è troppo buona, indulgente, senza tuttavia perdere la presenza di spirito. Lara ha un talento: sa raccontare. Quando lo fa, cattura l'attenzione e nove volte su dieci strappa un sorriso. Non sono cosa abbia in serbo la vita per lei, che è ancora giovane e affamata di mondo. Attualmente fa la commessa, a Milano, e anche su questo potrebbe scrivere un libro, con il resoconto delle persone che incontra, la fauna internazionale che le capita a portata di sguardo e che senza sospettare chi si trovano di fronte offre di sé il meglio o il peggio, come sempre accade quando crediamo di avere a che fare con chi sembra umile, piccolo. Lei ci riesce benissimo, perché com'è spigliata dentro sa essere impassibile fuori, passando inosservata, scomparendo persino, con il corpo minuto e la voce bassa e un filo nasale, quasi da Paperino. A volte può sembrare sfrontata, ma non è supponenza, semmai un modo di difendersi, di assestare qualche gomitata per non finire schiacciata o farsi largo.
Anche se non la vedo spesso sono contento che ci sia e quando lascio traccia su Twitter o su Facebook so che non passerà inosservata e aggiungerà sale pure dove il mio pane è sciapo.
Potessi esprimere un desiderio o strofinare una lampada con dentro il genio chiederei di poterla guardare quando leggerà queste righe, vedere i suoi occhi grandi e scuri, d'uno scuro più luminoso e intenso dell'azzurro. Non so cosa direbbe lei, ma so cosa le direi io: "Grazie, conoscerti è un dono".

Il tempo di crescere

Foto by Leonora
Giacomo torna tardi e (se so dov'è) comincio a non restare più sveglio ad aspettarlo. Vive il suo tempo, com'è giusto che sia, come tutti noi abbiamo vissuto il nostro.
Ci sono delle differenze, ovvio, anche se mi sorprendo più delle similitudini.
Nonostante questa sia l'era di Internet e dei telefonini, al nocciolo ciò che fa (e mi pari desideri) Giacomo non è diverso da quello che facevo e desideravo io: cercare e tessere relazioni, condividere il più possibile con i propri coetanei, staccarsi dal cordone ombelicale dei genitori.
Capita spessissimo che osservandolo riveda me stesso, così come nei suoi amici ritrovo i miei di allora.
Sulle differenze sono meno preparato, procedo per ipotesi, per azzardo. Immagino, più che altro. Nel tentativo di farlo provo a calare i miei sedici anni di allora in questo mondo, con le possibilità di comunicazione attuali. Uno sforzo goffo, perché dentro sono e resto analogico e tendo a minimizzare le differenze e a dimenticare come la mia epoca fosse diversa (se mi piaceva una ragazza prima di dichiararmi passavano mesi, dovendo trovare il coraggio di farlo viso a viso, così come dei compagni di scuola ignoravo tutto, tranne una cerchia strettissima di tre o quattro, per non parlare delle attese infinite e della casualità degli incontri, non potendo mettersi d'accordo con un sms o un messaggio su Whattsup).
Differente però era anche la pressione. Allora, da figlio, credo avessi più regole da rispettare ma meno stress. Ora mi pare che pretendiamo che gli adolescenti diventino adulti troppo in fretta, che assaporino ciò che noi assaporiamo, scordando che siamo diventati adulti molto più tardi rispetto alla loro età, che pigrizia e indolenza erano connaturate in noi (in me almeno), che i nostri padri si facevano gli affari loro, non si curavano dei bambini (come spiega Michele Serra) ma neanche degli adolescenti. Ho la sensazione che persino i professori fossero più severi ma meno esigenti, meno incalzanti di quelli attuali. Abbiamo avuto il tempo di crescere insomma. Quel tempo che ora stentiamo a concedere, salvo poi rimpiangere perché "diventano grandi" troppo in fretta.

venerdì 20 dicembre 2013

Lavorare per la gloria

Foto by Leonora
Ricordarsi di essere un uomo. Anche nei momenti difficili, pure quando le scorciatoie sembrano comode e invitanti, nonostante gli errori e le debolezze che mi distinguono.
Da un paio di mesi ho ritrovato parte di quella serenità che avevo perso, smarrita correndo alla rinfusa, senza una coda e soprattutto un capo. Se ci ripenso, mi pare che fosse proprio quello il tarlo fastidioso, oltre che il più greve fardello.
Il momento catartico, sul lavoro, è senza dubbio la mattinata in piazza del giovedì. Quattro ore accanto al camper del Cittadino e di Mbtv, al gelo, spesso con la pioggia, a stringere mani e chiacchierare con chi passa dall'Arengario e dare retta ai lettori, quelli fedeli ed entusiasti, che ogni volta ritornano, e quelli più distratti, talvolta brontoloni, ma alla fine sempre cortesi e capaci di suscitare un sorriso.
Ieri, nell'ultimo degli appuntamenti prima di Natale, mentre camminavo sotto l'acqua e vedevo il camper da lontano pensavo: "Se il mio fosse solo un lavoro non sarei qui", non saremmo stati lì, né io né Massimo (il responsabile della pubblicità) e neppure Angelo, il redattore più anziano e che non è mai mancato
"Lavorare per la gloria" capita di sentir dire, quasi sempre con accezione negativa ("Non sono qua a lavorare per la gloria"). Per la gloria no, però neanche per un che di materiale soltanto.
C'è qualcosa di più importante dei soldi (fondamentali ma non essenziali), del prestigio, della posizione sociale. C'è una radice di valore da cui attingo linfa, che deve essere la stessa per la quale mi emoziono ancora quando leggo la mia firma in pagina, o un articolo ben scritto, una storia raccontata al meglio. Non è neppure vanità, che esiste però non sarebbe un motore così potente da trasformarsi in energia rinnovata e rinnovabile, ogni giorno. Potrei dire che è il gusto di far bene il proprio mestiere, di sentirsi in qualche modo utile, ma mi pare riduttivo anche questo. Credo sia una somma di più fattori, una miscela che ciascuno calibra a suo modo, che fa da motivazione all'impegno e che alla fine si traduce con l'andare a letto soddisfatto, la sera, e svegliarmi dopottutto con il sorriso, al mattino.

sabato 7 dicembre 2013

Confieso que he vivido

Foto by Leonora
Il cielo di questi giorni è terso, nitido, splendido, specialmente di notte e al mattino presto. La luce che entra verso le otto dalla finestra illumina e scalda la casa in modo unico, anche nei colori. Vorrei immortalarla, conservarne il ricordo. Provo a scattare una fotografia, ma il risultato che ne esce è modesto, un pallido e piatto accenno a quella meraviglia straordinaria, che dura appena qualche istante e quando è passata è passata per sempre e neppure se chiudo gli occhi la rivedo così intensa e straordinaria com'era in quel momento. Non mi resta allora che il ricordo di quell'emozione provata, la consapevolezza che è stato bellissimo, pur se ho trattenuto nulla e tutto scorre via, sempre più lontano.
A pensarci, accade lo stesso con tutto. Gli affetti, le situazioni, i sentimenti, le occasioni di incontro, i momenti di vita trascorsa... Niente ritorna, nessuna replica esatta è concessa, il fluire del tempo scioglie tutto e lascia soltanto questo: l'averlo vissuto. Mio padre, i figli quando erano piccoli, gli amici d'infanzia, le prime soddisfazioni nel vedere pubblicato un articolo, il sapore della polenta con le quaglie cucinate da mia madre come bentornato al ritorno delle vacanze, il cappottino blu di quando andavo all'asilo, le corse con le auto scassate nei prati e sulle strade sterrate dietro casa, i baci, le carezze, le persone che ho amato, i canyon in Colorado, i pesci di mille colori del Mar Rosso, gli abbracci quando segna la Juventus, i gol di Giovanni e Giacomo, i libri che ho letto... Scatti di memoria che si inseguono, annodandosi l'un l'altro, vicini eppure lontani, presenti e al tempo stesso scomparsi inesorabilmente. Riacciuffarli è impossibile, riviverli lo è altrettanto, però ci sono stati e vale la frase scelta per la biografia di Pablo Neruda, che rimane per me il titolo più bello mai scelto per un libro: "Confesso che ho vissuto".