sabato 5 aprile 2025

Ciò che conta (A portata di mano)

Nulla è mai veramente perduto e confidare nel meglio è una fede che in tempi di notizie grame (guerre che si ampliano, borse che crollano, minacce a cui minacce fanno eco) aiuta a restare saldi, non farsi prendere dallo sconforto.
Così, mentre i potenti della terra gonfiano il petto, resto affascinato dall’immagine della mano di un bimbo, prodigio della natura e meraviglia dell’universo.
Per afferrare ciò che conta veramente non occorre forza o artiglio, bastano quelle dita minute, innocenti, definite nel dettaglio. È scritto che nei piccoli è racchiuso il segreto del mondo: vedendo quella foto mi pare proprio vero.

P.S. Benvenuto a Guido Maria, figlio della mia amica Melania e di Giuliano, a cui quel capolavoro di mani appartengono. Ci sono popoli che per migliaia di generazioni hanno aspettato un messia, altri che tuttora lo attendono, io mi limito a sperare che anche a queste latitudini torni un tempo nel quale non misurare con il bilancino tutto ed essere generosi, fecondi di cuore e di lombi, aperti all’alba di vita e non concentrati soltanto sul tramonto.

sabato 1 marzo 2025

Goccia a goccia (Il ragazzo che resto)

Marzo. “Il mese della lieta consapevolezza” come lo avevamo battezzato a Etv, in quella redazione che per me è stata liquido amniotico e incubatore.
“Nonostante gli anni siano passati, penso sempre a me stesso come il ragazzo che ero” ha scritto Simenon. Credo valga per tutti, me compreso, pur se di redazioni ne ho cambiata qualcuna, eleggendole di volta in volta non soltanto a luogo di lavoro, ma pure di vita, una “casa” dove trascorrere la maggior parte del tempo.
Devo essere sincero, non l’ho mai ritenuto troppo, né mi sono sentito stretto. Il motivo credo sia intrecciato al mestiere che ho scelto e che non è qualunque, contenendo in sé una missione che considero “politica”: contribuire alla crescita di una comunità, potendo promuovere valori in cui credo (la diversità, anche di opinione; la libertà di espressione; la coesione sociale; il rispetto reciproco; l’attenzione ai più deboli; il benessere economico, ma prima ancora quello mentale, personale…).
“Vaste programme” rispondo da me, citando il commento di De Gaulle a chi gli chiedeva di “eliminare tutti gli stupidì”. Goccia a goccia non c’è però vasca che non si possa riempire. Ed è per questo che - al di là degli aspetti organizzativi e di rappresentanza connessi al ruolo - la parte di cui mi occupo più volentieri sul giornale è quella delle “Lettere al direttore”, appuntamento quotidiano che indirettamente è la causa della parsimonia qui, sul mio blog, prosciugando il pozzo già di per sé non sterminato della fecondità intellettuale e del genio che non ho, che non sono.
P.S. Questo post è anche il modo di chiedere scusa alle molte persone che considero amiche e spesso trascuro, dovendo fare i conti con la dimensione fisica e dunque invalicabile dello spazio e del tempo. Essendo appunto “amici” e “amiche” so che mi perdonano a prescindere, tuttavia quando ne ho occasione chiedo loro uno sforzo in più, non limitandosi a tener aperta la porta, bensì bussando per primi alla mia, non misurando col bilancino.

venerdì 10 gennaio 2025

Come il giorno dilegua (Non è una storia triste)

Sei sempre presente in me, perciò non mi manchi. L’essenza c’è intatta, ma un pezzettino alla volta mi accorgo che te ne vai, i contorni si fanno più sfuggenti, meno nitidi, l’immagine complessiva sfuma, come in quelle foto in cui i pixel mano a mano si staccano, dissolvono.
Diciassette anni. Diciassette anni esatti. “Con dignità, com’era vissuto, è morto ieri mio padre” avevo fatto scrivere sul giornale, il giorno dopo. Poche parole e una fotografia, che quella non doveva mancare e non avevi neppure dovuto ribadirlo, tanto per noi era chiaro, dopo una vita in cui ti arrabbiavi se nel necrologio de La Provincia mancava l’immagine del defunto. Non era curiosità fine a se stessa, bensì desiderio di comprendere l’identità per sapere se lo conoscevi o meno, se meritava una visita, una partecipazione al funerale o nulla, al massimo un pensiero.
Ora tendiamo a farci scivolare via tutto, mentre la tua generazione è stata una delle ultime ad avere dei morti il culto. Io non ce l’ho, semplicemente per ciò che ho scritto allora come oggi: in me tu sei vivo. E pazienza se fatico sempre più a delinearti con precisione. Lasciamo alla tigna del tempo di sbiadire i tratti somatici, teniamo stretti invece i mille momenti insieme, ciascuno dei quali ha contribuito a formare l’uomo che sono. Il buono, soprattutto.

P.S. Giacomo credo ti rammenti bene, Giorgia meno, Giovanni poco poco. Non importa. I tuoi geni sono i loro e, come ruota che gira, hai lasciato spazio per dare nuova linfa. E mi rendo conto che così come stai facendo tu, un giorno quello che si evaporerà sarò io. Non lo scrivo con tristezza, tutt'altro: provando conforto. Che peggio sarebbe se il lutto non si superasse, se la vita non riempisse ogni vuoto, se chi mi vuole bene restasse imprigionato, non guardando avanti, ma soltanto indietro. A caldo infatti tutto brucia, con il tempo invece subentra un sentimento di dolcezza, "naturalmente, come si fa la notte quando il giorno dilegua".

  

domenica 5 gennaio 2025

Niente gabbia (Facciamoli crescere)

La farò breve, che di parole se ne dicono già tante, troppe, a iosa.
Libertà e responsabilità: sintetizzandola è tutta qui l'educazione che ho ricevuto, declinata poi in mille rivoli, sempre però afferenti questi due pilastri, ben avvitati nei basamenti della vita.
Lo dico senza enfasi, pro memoria per la generazione di genitori che siamo diventati e che a volte mi pare perdiamo la bussola, con un eccesso di ansia, di protezione, che chi ci ha preceduto non esercitava. L'effetto è quello della bolla, di uno steccato alto e spesso, all'interno del quale manca possibilità di scelta, oltre che fiato.
Pensiamoci: abbiamo piegato la tecnologia a guinzaglio corto, così da controllare ogni singola azione, mossa.
Prendono un brutto voto a scuola? Non devono più fare i conti con la responsabilità di dirlo o non dirlo o quando dirlo o se dirlo... In un battito di ciglia compare sul telefono dei genitori la nota del registro elettronico. Idem per l'assenza. E se escono con gli amici, la sera, abbiamo la app che ci dà la loro posizione esatta, istante per istante, che neanche la Cia o l'Fbi ai tempi nostri se lo sognava.
Il risultato è che in nome delle nostre "garanzie" alimentiamo la loro insicurezza, schiacciandoli, diminuendo il pericolo che si facciano male, è vero, ma dimenticando che il "rischio educativo" è parte fondante dell'esperienza di crescita. Ed è proprio quando si cade che si "diventa grandi", come si diceva una volta.

P.S. Sì, lo so, ti dà fastidio, ti sta sui nervi quando rientra a casa e dopo aver mangiato si sdraia sul divano o addirittura se ne va a letto e dorme tutto il resto del pomeriggio, ma ha sedici anni e a quell'età l'ho sempre fatto anch'io e buona parte degli amici che conosco. È vero, una volta non c'era il telefonino - ah, il telefonino!!! - ma la televisione sì e devo confessarti anche questo: la vedevo un sacco, praticamente ogni momento in cui non dormivo e sono certo che mia madre allora pensasse: "Chissà dove andremo a finire, questa televisione li rimbabisce". Un po' rimbambiti lo siamo diventati senz'altro, non più però di chi ci ha preceduto, anche se le nuove frontiere essendo inesplorate paiono sempre più temibili dei confini varcati allora.