Venti righe. Indro Montanelli sosteneva che in venti righe si può raccontare tutto. Bastano tre parole invece per spiegare le ragioni di questo blog: comunicare, in libertà. Per il resto, vale per me ciò che scrisse Jorge Luis Borges, "I miei limiti personali e la mia curiosità lasciano qui la loro testimonianza".
mercoledì 20 aprile 2011
I buoni insegnanti non si estinguono mai
Voce che grida nel deserto. Sola, anche quando sussurra. Come l'insegnante di scuola media, che si confronta ogni giorno con una classe che a guardarla a pelo d'acqua è una meraviglia, ma basta poco per accorgersi che l'apparenza inganna. C'è il ragazzo più grande, con gli ormoni di un uomo e il cervello bambino; l'alunna che non viene più a scuola e non è malata, non ha problemi, semplicemente in classe si stufa e preferisce restare davanti alla tv a casa; i tre compagni che li hanno trovati che fumavano uno spinello nel parco e i Carabinieri hanno chiamato la preside e la preside ha telefonato ai genitori e la mamma ha risposto: "Guardi che mio figlio è a letto" e la preside insiste: "Venga" e la madre replica: "Senta, sono la madre! Saprò bene dov'è mio figlio" e la preside che esasperata risponde: "Senta, sono la preside, e ho qui di fianco i carabinieri e suo figlio. Viene o non viene a riprenderselo?!?"; lo studente modello, che ha una famiglia più modello di lui e va tutti i giorni all'oratorio, e quando sente parlare di quanti non hanno rispetto per l'ambiente e non fanno la raccolta differenziata, alza il braccio e dice: "Sì, sono gli extracomunitari"... Guardo l'insegnante, che ha una faccia buona e passione per il suo lavoro. Penso a quante volte si sarà sentita dire: "Insegna? E' fortunata. Cosa ci vuole? Quattro ore di lavoro al giorno e tre mesi di vacanze all'anno". Vorrei abbracciarla, dirle che sono orgoglioso di lei, ringraziarla a nome di tutti i genitori, pur se la scuola non è quella di mio figlio. Rimango in silenzio, con sguardo un po' ebete, annuisco, saluto. Credo che questo sia un paese fortunato, perché trova frutti abbondanti pure quando non semina, anzi, fa di tutto per sradicare l'albero buono.
Foto by Leonora
lunedì 18 aprile 2011
Il sacrificio di Roberto e gli occhi del cieco
Ce l'ho qui da dire, tra gola e lingua, da sabato mattina, ma ogni volta ho deglutito insieme con la saliva pure la buona volontà e il pensiero. Ora però guardo il computer, lo schermo luminoso che contrasta con il buio tutt'attorno, e mi pare di non avere più scuse per tacerlo, se non quella dell'essere pavido, di non ammettere ciò che durante i funerali di Roberto ho sentito, cioè che si sia chiuso un tempo, che la mia generazione si sia ritrovata adulta, vecchia persino, nonostante ciascuno di noi dentro immagini di essere e si senta un ragazzino. Era come vivere una poesia di Giorgio Caproni: "Con voi sono stato lieto / dalla partenza, e molto / vi sono grato, credetemi, / per l’ottima compagnia".
Quella chiesa strapiena, quei volti familiari e sconosciuti insieme, di tanti amici con cui sono cresciuto - magari io un filo più grande ma tutto sommato dell'età loro - e che ora si ritrovano per caso, tutti un po' diversi, con parecchi capelli in meno e molte segni in più sul viso, qualcuno d'occhi stanchi, altri - molti - cresciuti in pancia e peso, ma con una scintilla di ciò che erano che tuttora conservano, accanto alle loro compagne o ai figli o agli amici, anche chi è solo e la sera, a casa, non lo attende nessuno, se non un genitore ormai anziano, che continua a preparargli da mangiare e rifare la mattina il letto. Qualcuno, come Flavio, come ora Roberto, se n'è andato, strappato alla vita giovane, con l'unica consolazione che rimarranno per sempre ragazzi, che il tempo non potrà scalfire ciò che non ha più sottomano. Gli altri, tutti gli altri, erano lì, seri, qualcuno con le lacrime agli occhi, qualcun altro con lo sguardo fisso. "Sono i miei amici" ho pensato. Anche se non li vedo più o, quando capita, non è mai per più di una chiacchiera, una battuta al volo. Eppure ho condiviso con loro un tempo che pareva infinito e, se lo guardo adesso, senza fine lo è davvero. Marco, Paolo, Giannino, Drino e tutti gli altri, che non sto a nominare uno a uno, perché occorrerebbe l'elenco del telefono. Sono distanti ormai, ma sabato li sentivo legati da un unico filo, e quando ci siamo ritrovati al cimitero, una folla immensa, un paese intero, mi è sembrato che divisioni, pareri diversi, scelte di vita, fossero accessorio minimale di fronte a un'appartenenza che mi pareva forte ed evidente, quanto il cielo sopra la testa e la ghiaia sotto i piedi, tra un loculo e l'altro. Da dov'ero non sentivo le preghiere del prete, non udivo alcuna parola, solo silenzio, e vedevo centinaia di persone, chi ha opinioni simili e chi diverse dalle mie, compresi gli assessori, il sindaco e altra gente che cammina su sentieri opposti al mio. Eppure con essi, con tutti, in quel momento mi sentivo un tutt'uno, parte di una comunità, e mi parevano così sciocchi e banali i miei distinguo, i punti e le virgole che metto, tralasciando il senso e il nocciolo del discorso, cioè che siamo sulla stessa barca, in qualche modo fratelli e che occorreva il sacrificio di uno di noi per aprire gli occhi a un cieco.
Foto by Leonora
giovedì 14 aprile 2011
La verità dei Simpson (Abiola, la Comense e il razzismo: ultimo atto)
mercoledì 13 aprile 2011
Ciao Roberto
Abiola, la Comense e la verità in retromarcia
martedì 12 aprile 2011
Profughi, Lega e un punto di partenza
In Ticino, alle elezioni di sabato e domenica, stravince la Lega. Al di qua del confine - lo stesso confine dove un giorno sì e l'altro pure vengono fermati i profughi in fuga dalla loro patria e pure dall'Italia - è sempre la Lega a spopolare. Facciamo la voce grossa, per farci a nostra volta coraggio e mascherare la paura. Siamo stati generazioni di venditori di piazza, con il catalogo sotto il braccio e un paio di calze nella valigia, alla conquista del mondo, siamo ora assediati in casa nostra, che hanno paura non soltanto dell'estraneo, ma della loro stessa ombra. Esportavamo prodotti e pure intelligenza, cultura, guardando al pianeta come un'opportunità da cogliere, mentre ora è insidia da evitare, chiudendo a doppia mandata la porta. Non faccio lo snob, vivo in questo fazzoletto di terra e alcune considerazioni della Lega mi sembrano ragionevoli, anche quando non posso condividerle, per lo stesso motivo per cui mi arrabbio con chi mi taglia la strada, magari suono il clacson, però non scendo e lo riempio di botte o gli sparo in testa. Nati non fummo per viver come bruti e c'è sempre un grado di separazione tra la reazione istintiva e la saggezza della buona scelta. Condivido dunque le preoccupazioni, sull'accoglienza, non sposo una linea esclusivamente buonista, tuttavia vorrei che alle molte voci protettive se ne unisse almeno una profetica, visionaria, capace di opporre alla debolezza della difesa, la forza di un principio, ch'è quello dell'integrazione, del trarre il meglio dalla differenza. Penso agli Stati Uniti e a quello che ha detto il giornalista Federico Rampini, a Como, ieri, cioè che la Cina si sta imponendo non soltanto come potenza economica, bensì come modello di sviluppo per i paesi attualmente sotto la soglia di sopravvivenza e che se l'Europa è destinata al declino, gli Stati Uniti si salveranno, proprio per la loro capacità di raccogliere le intelligenze migliori, per quel melting pot, quel crogiulo, quell'abilità d'amalgama tra elementi diversi della società umana. Non sono stanco soltanto della facce dei nostri politici, mi urtano anche le promesse da poco, le parole da destra a sinistra, scandite ad uso e consumo della massa, per blandirla e lisciare il pelo, secondo il verso non giusto o sbagliato che sia, bensì dettato dal sondaggio, dall'opionione diffusa, fosse pure la mia. Mi spaventano gli uomini forti, quelli unti dalla provvidenza, ma ancor di più l'idea debole che di cui si nutrano e che spacciano per panacea. Ai molti che sbarcano sulle nostre coste, oggi, rivolgerei le domande che ben sintetizza il mio amico Marco Migliavada, ("Hai i documenti? Se non li hai perchè? Se li hai perchè hai speso migliaia di euro per un barcone invece di un centinaio per un volo low cost? Dove vorresti arrivare? Come pensi di riuscire a mantenerti a destinazione? Cos'altro sai fare oltre a ciò che rappresenta la tua aspirazione? Sono le domande di buon senso che farei a uno sconosciuto per accoglierlo in casa mia insieme ai miei cari senza metterli in pericolo"). Ne aggiungerei una settima e un'ottava: cosa posso fare io per te e cosa tu puoi fare per me. Sarebbe un buon punto di partenza.
Foto by Leonora