La pace dei sensi è soggettiva, quasi sempre armata, dovendo fare i conti ad ogni età con una tensione, che è la stessa dell’esistenza umana, degli esseri animati, che pensano se stessi come osservandosi da fuori, rispondendo agli istinti ma pure a una coscienza.
È facile essere attratti dalla bellezza di ceramica, quella della stagione migliore, della gioventù al suo apice di pienezza.
Si resta eterni adolescenti quando ci si ferma lì, non si va oltre, non si diventa adulti e si finisce per cercare sempre compagni e compagne senza rughe, scolpiti e perfetti, almeno all’apparenza.
Se si è fortunati invece si cresce, si impara ad apprezzare altro, a considerare un bello che somiglia più all’arte che alla ginnastica d’estetica.
I segni del volto, le naturali imperfezioni del corpo, la diversa struttura dei tessuti, una fragilità tutta umana, che tuttavia ha per riflesso altre virtù, la forza d’animo, la capacità di resistenza, la tenerezza dei sentimenti, il sapere (e il saper fare) dell’esperienza.
Ciò non significa lasciarsi andare, prendersi poca cura di sé, giustificare trasandatezza, pigrizia, sciatteria.
Piuttosto è continuare a volersi e voler bene accettando il limite, la fragilità, dando valore al “vulnus”, alla ferita, il modellare che ha fatto per ciascuno di noi il tempo, la vita.
P.S. Vale anche per la mente, che è come un giardino, pretende di essere curata, coltivata, alimentata, sempre, anche se a differenza del corpo soffre meno la decadenza, ha il vantaggio di poter crescere non a parabola, bensì in linea retta.
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