venerdì 10 gennaio 2025

Come il giorno dilegua (Non è una storia triste)

Sei sempre presente in me, perciò non mi manchi. L’essenza c’è intatta, ma un pezzettino alla volta mi accorgo che te ne vai, i contorni si fanno più sfuggenti, meno nitidi, l’immagine complessiva sfuma, come in quelle foto in cui i pixel mano a mano si staccano, dissolvono.
Diciassette anni. Diciassette anni esatti. “Con dignità, com’era vissuto, è morto ieri mio padre” avevo fatto scrivere sul giornale, il giorno dopo. Poche parole e una fotografia, che quella non doveva mancare e non avevi neppure dovuto ribadirlo, tanto per noi era chiaro, dopo una vita in cui ti arrabbiavi se nel necrologio de La Provincia mancava l’immagine del defunto. Non era curiosità fine a se stessa, bensì desiderio di comprendere l’identità per sapere se lo conoscevi o meno, se meritava una visita, una partecipazione al funerale o nulla, al massimo un pensiero.
Ora tendiamo a farci scivolare via tutto, mentre la tua generazione è stata una delle ultime ad avere dei defunti il culto. Io non ce l’ho, semplicemente per ciò che ho scritto allora come oggi: in me tu sei vivo. E pazienza se fatico sempre più a delinearti con precisione. Lasciamo alla tigna del tempo di sbiadire i tratti somatici, teniamo stretti invece i mille momenti insieme, ciascuno dei quali ha contribuito a formare l’uomo che sono. Il buono, soprattutto.

P.S. Giacomo credo ti rammenti bene, Giorgia meno, Giovanni poco poco. Non importa. I tuoi geni sono i loro e, come ruota che gira, hai lasciato spazio per dare nuova linfa. E mi rendo conto che così come stai facendo tu, un giorno quello che si evaporerà sarò io. Non lo scrivo con tristezza, tutt'altro: provando conforto. Che peggio sarebbe se il lutto non si superasse, se la vita non riempisse ogni vuoto, se chi mi vuole bene restasse imprigionato, non guardando avanti, ma soltanto indietro. A caldo infatti tutto brucia, con il tempo invece subentra un sentimento di dolcezza, "naturalmente, come si fa la notte quando il giorno dilegua".

  

domenica 5 gennaio 2025

Niente gabbia (Facciamoli crescere)

La farò breve, che di parole se ne dicono già tante, troppe, a iosa.
Libertà e responsabilità: sintetizzandola è tutta qui l'educazione che ho ricevuto, declinata poi in mille rivoli, sempre però afferenti questi due pilastri, ben avvitati nei basamenti della vita.
Lo dico senza enfasi, pro memoria per la generazione di genitori che siamo diventati e che a volte mi pare perdiamo la bussola, con un eccesso di ansia, di protezione, che chi ci ha preceduto non esercitava. L'effetto è quello della bolla, di uno steccato alto e spesso, all'interno del quale manca possibilità di scelta, oltre che fiato.
Pensiamoci: abbiamo piegato la tecnologia a guinzaglio corto, così da controllare ogni singola azione, mossa.
Prendono un brutto voto a scuola? Non devono più fare i conti con la responsabilità di dirlo o non dirlo o quando dirlo o se dirlo... In un battito di ciglia compare sul telefono dei genitori la nota del registro elettronico. Idem per l'assenza. E se escono con gli amici, la sera, abbiamo la app che ci dà la loro posizione esatta, istante per istante, che neanche la Cia o l'Fbi ai tempi nostri se lo sognava.
Il risultato è che in nome delle nostre "garanzie" alimentiamo la loro insicurezza, schiacciandoli, diminuendo il pericolo che si facciano male, è vero, ma dimenticando che il "rischio educativo" è parte fondante dell'esperienza di crescita. Ed è proprio quando si cade che si "diventa grandi", come si diceva una volta.

P.S. Sì, lo so, ti dà fastidio, ti sta sui nervi quando rientra a casa e dopo aver mangiato si sdraia sul divano o addirittura se ne va a letto e dorme tutto il resto del pomeriggio, ma ha sedici anni e a quell'età l'ho sempre fatto anch'io e buona parte degli amici che conosco. È vero, una volta non c'era il telefonino - ah, il telefonino!!! - ma la televisione sì e devo confessarti anche questo: la vedevo un sacco, praticamente ogni momento in cui non dormivo e sono certo che mia madre allora pensasse: "Chissà dove andremo a finire, questa televisione li rimbabisce". Un po' rimbambiti lo siamo diventati senz'altro, non più però di chi ci ha preceduto, anche se le nuove frontiere essendo inesplorate paiono sempre più temibili dei confini varcati allora.