Era talmente proiettato nel futuro che sembrava non dovesse morire mai, che come il computer di "2001: Odissea nello spazio" potesse sopravvivere per sempre. Marco Somalvico era una bella mente, una di quelle persone la cui intelligenza è vanto e anche ingombro. Nelle due ore che l'incontrammo, il 27 marzo 1998, non ce lo godemmo affatto e non abbiamo avuto il tempo di rifarci, perché a sessant'anni appena compiuti se n'è andato, d'un colpo. Ne riportiamo l'intervista qui, nel giorno in cui i notiziari dicono che Steve Jobs si è aggravato e non avrà che poche settimane di vita. Speriamo non sia vero, ma la vita, a differenza dell'intelligenza artificiale, ha un limite che non può ancora essere superato. Neppure dal ricordo, che è come una copia di back up, tanto per usare un termine più consono all'esimio professor Somalvico.
Per scolpire il marmo non basta colpirlo. Con lo scalpello lo si deve tagliare. Un colpo malamente assestato può infliggere alla pietra una ferita letale. Se si è fortunati il danno non appare evidente, ma il tempo finisce inesorabilmente per rivelare la verità. Passano i giorni, le notti, le stagioni e, quello che era un impercettibile segno nel bianco, diventa una ruga, una fessura, una crepa.
Conoscere un uomo è infilarsi in quella crepa.
Per descrivere una persona ci si può limitare a riportarne la misura, l’aspetto, le forme, le luci, le ombre, le sembianze.
Per sapere chi è occorre entrare in contatto col suo profondo.
Con Marco Somalvico non ci siamo riusciti. Abbiamo scoperto molto di ciò che pensa, ma poco, quasi nulla, su chi egli veramente sia.
Somalvico non parla, professa. Sempre. Non solo “ex cathedra”, di fronte agli studenti che seguono il suo corso. Capace di ammaliare col suo incedere incalzante, di stupire con la sua prontezza, Somalvico ostenta una sicurezza che non conosce apparenti scalfitture. Non ricordiamo abbia atteso più di una frazione di secondo nel replicare ad ogni nostro quesito, spunto, provocazione. Mai un accenno di disorientamento. Mai un vacillare delle proprie convinzioni. Mai l’impressione, da parte nostra, di aver colto nel segno.
L’unica debolezza che Somalvico si concede - senza accorgersene e senza calcare troppo la mano - è la vanità.
Non gli basta dire “la mia carriera universitaria”. Gli preme aggiungere l’aggettivo “brillante”.
Somalvico ha cominciato ad insegnare nei licei di Como e scalando tutte le balze della docenza, dopo aver effettuato un periodo di ricerca in California (“il miglior ateneo di informatica del pianeta” precisa orgoglioso), è diventato professore ordinario di ingegneria informatica del Politecnico di Milano. “In Italia, nel settore dell’intelligenza artificiale, sono un precursore. Sono stato il primo a tenere un corso di robotica. Quest’anno ho vinto uno dei più prestigiosi riconoscimenti mondiali nel settore informatico”.
Il professore è tra coloro che ha più insistito per portare l’università nella sua città natale. “Con i colleghi Caldirola, Casati e Della Vigna abbiamo formato un quadrunvirato di persone che, vedendo lontano, hanno ritenuto molto utile la nascita di un polo universitario a Como”.
Cosa risponde a coloro che denunciano i limiti dei piccoli centri universitari?
“Non importa che una sede nuova abbia tre laboratori invece di trenta. Lo stesso vale per i docenti. Le dimensioni non rilevanti comportano una riduzione della quantità della ricerca, non della sua qualità. Ed è quest’ultima che rende autorevole un ateneo. Il pericolo è che questa università sia considerata dai docenti come un punto intermedio della loro carriera, come un male minore da cui presto fuggire”.
Un’università pone sempre le radici in un contesto. Quello di Como aiuta oppure è impermeabile o addirittura ostacolante?
“È sicuramente ricettivo. Como ha dato e continua a fornire numerose risorse, dalla costruzione del nuovo edificio universitario, alla sede dei laboratori scientifici in Piazzale Gerbetti. Se però ci sono le strutture fisiche e organizzative, ma manca la qualità, non esiste una situazione virtuosa. Se gli studenti vedono carenze sul piano della presenza fisica dei professori di ruolo, possono credere di non avere le stesse opportunità dei loro coetanei di altre città. I comaschi devono badare a mettere a disposizione risorse, ma anche ad essere vigili riguardo le modalità con le quali l’attività della buona università si svolgono”.
Il suo ruolo la mette a contatto con le giovani generazioni. Che giudizio ne trae?
“Ottimo. Trovo i giovani molto impegnati, assidui alle lezioni, disponibili a fare progetti , dotati di senso di sacrificio e con uno spiccato senso di solidarietà e capacità di lavorare insieme. Hanno tutte le carte in regola per portare avanti la sfida competitiva di una nazione tra la più progredite del mondo”.
Non esiste il rischio di formare pletore di ragazzi abilissimi ad usare il computer, ma che non sanno nulla di ciò che accade intorno a loro?
“Per essere professionali bisogna essere innovativi. Per essere innovativi non bisogna essere dei tuttologi. Per non essere dei tuttologi bisogna fare delle scelte. Se uno vuole tenere il piede in troppe scarpe non combina nulla. E’ tuttavia un errore avere una visione monodimensionale della cultura. Ad esempio, nel mio corso tecnico-informatico tratto anche gli aspetti epistemologici dell’intelligenza artificiale. Riflettiamo sugli aspetti che stanno a monte dell’imparare le tecniche: quali sono i limiti strategici di questa disciplina; quali le sue ambizioni a servizio dell’uomo”.
A differenza di oggi, un tempo la laurea assicurava un impiego, tranquillità economica, prestigio sociale.
“L’ingegnere moderno è un professionista il cui salario sarà remunerato solo se offrirà un lavoro di natura creativa, che le macchine non possono fare. L’attività creativa è insostituibile poiché, come diceva Socrate, è esoterica, non spiegabile con carta e matita”.
Non esiste dunque il pericolo che l’uomo diventi accessorio?
“Creare è una prerogativa esclusiva dell’essere umano. Significa inventare nuovi modelli del reale. Vuol dire percepire delle premesse sulle quali la macchina può poi elaborare. Un computer simula uno Sherlock Holmes seduto in poltrona che ragiona su delle premesse che ha percepito precedentemente. Un robot è uno Sherlock Holmes che ragionando va a cercare il mastino dei Baskerville nella foresta di fronte al castello. Oltre a pensare, esso agisce con il mondo esterno”.
Como è più simile all’uomo che ragiona, all’elaboratore che informa o al robot che lavora?
“Ad una “agenzia”, cioè ad una macchina scoperta di recente e che tale si chiama poiché è composta da più “agenti”. “Agente” è il simulatore di un singolo uomo. La “agenzia” imita un gruppo di uomini che lavorano insieme con un unico obiettivo. Agenzia significa futuro. Con la telematica c’è la possibilità di collegare il magazzino, con lo stabilimento o con la direzione della propria impresa, anche se essi si trovano a chilometri di distanza. Con Internet è concreta la possibilità di inviare in tutto il mondo il catalogo aziendale e ricevere immediatamente ordinazioni.
Como si trova in una situazione stimolante. Il fatto che sia una città di confine, abituata ad un confronto cosmopolita, rende la mentalità del comasco pronta ed aperta a queste interazioni internazionali. Per questo possiamo farci valere nello sviluppo delle tecnologie e dell’economia globale”.
Giorgio Bardaglio
Anche in questo caso, avevo ricopiato altre frasi d'appunto. Eccole.
Dobbiamo omogeneizzarci nella competizione qualitativa. Se mi è permesso uno slogan: Inserire una qualità nella vita per ottenere una vita di qualità. Questa è la sfida che i comaschi possono reggere perché hanno dimostrato in passato di tenere alto un aspetto per il decoro. Una serie di umili, ma tenaci comportamenti di qualità.
Como non è legata alle risorse naturali, bensì al fenomeno della comunicazione, ciò vale anche per il turismo. Abbiamo delle tradizioni solide dell’industria tessile , del mobile e meccanica. L’automazione in esse è sempre più importante, occorre svilupparla maggiormente. Abbiamo sempre più un meccanismo di integrazione telematica tra i singoli centri soprattutto fuori dal tradizionale catino di Como, anche medie e piccole industrie tessili che hanno realizzato collegamenti telematici, ad esempi tra lo stabilimento e il magazzino o la direzione amministrativa. Telematica non è solo visitare un sito in Internet, bensì un nuovo modo di lavorare. Il futuro si chiama “agenzia”, che è il nome di una macchina inventata recentemente che ha come componenti invece che i transistori gli “agenti” , cioè un elaboratore o un robot . L’agenzia” rappresenta un gruppo di uomini che cooperano insieme, i primi sono macchine dell’informazione, l’agenzia” cioè più elaboratori collegati insieme, con un unico fine, noi realizziamo una nuova macchina che emula una società di uomini , come gli ingranaggi di un unico orologio. Agente è un simulatore di un singolo uomo, “agenzia” è un simulatore di un gruppo di uomini.
Con Internet, invece del commesso viaggiatore, posso mandare in giro per il mondo il mio catalogo in rete. Bisogna avere una mentalità internazionale.
Esiste qualche coadiuvante per aiutare a stimolare?
L’efficienza, la flessibilità, l’intelligenza e l’onestà. Virtù che i lombardi hanno, ma che vanno applicate anche alle cose normali, dai trasporti ai mezzi di comunicazione telefonica, dalle strade alle banche, dalle scuole ai giornali. Dobbiamo omogeneizzarci nella competizione qualitativa. Se mi è permezzo uno slogan: Inserire una qualità nella vita per ottenere una vita di qualità. Questa è la sfida che i comaschi possono reggere perché hanno dimostrato in passato di tenere alto un aspetto per il decoro. Una serie di umili, ma tenaci comportamenti di qualità.
Sono un professore universitario del politecnico diMilano, ho fatto la mia carriera a Como nei licei, ho fatto tutti i gradini della carriera universitaria diventando prima assistente poi prefessore incaricato poi stabilizzato , poi ordinario.Ho vinto una cattedra nel 1979 di ingegneria informatica e mi sono giovato per la mia carriera brillante del periodo di ricerca svolto alla Standefor University in California dal 1969 al 1972. E’ un posto avanzato, la migliore università di informatica al mondo e ritenendo che un individuo impara molto dall’ambiente in cui si inserisce mi è sembrato giusto viaggiare . Ho avuto la fortuna di andare a lavorare al progetto di intelligenza artificiale del fondatore di questa importante disciplina in cui mi sono specializzato.
Occorre piuttosto che i professori di ruolo della nuova sede siano concentrati sullo sviluppo della ricerca di questa sede.
Questo è il criterio di qualità che garantisce il successo in un’università nuova che nasce con dimensioni ridotte, ma che vede ridotta la quantità e non la qualità della ricerca. Due mali. Una vita della sede non fisiologicamente salutare con una permanenza dei docenti limitata nel tempo. Sia la legge, sia la morale impongono che i docenti di ruolo frequentino a lungo l’università
Non si tratta di avere una università di serie B, bensì una non università. Essa è ricerca e didattica. Se manca la prima non esiste il tutto . Non squalifica la limitatezza della qualità dei docenti. Ogni forza attiva deve avere le idee chiare che importa
Il buon professore d’altra parte deve sentirsi rispettato venendo utilizzato anche dall’ambiente esterno. Per primi i giornali non devono classificare di serie inferiore la nostra università, mi permetta un concetto molto profondo. Nella vita universitaria non esiste una gerarchia, a differenza delle aziende, delle funzioni svolte da un professore di ruolo il giovane ricercatore. Entrambi sono pieni nelle loro funzionalità scientifiche. Ciascuno è un maestro con i suoi discepoli, cioè gli studenti. Non c’è gerarchia.
Ho uno slogan: ogni docente deve avere i suoi libri, la sua biblioteca personale nell’ufficio della sua università.
Foto by Leonora
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