Due ore e mezza di risate. Non proprio di continuo, perché spesso cantava o lasciava che a ballare fossero gli altri (le altre, le "Seconda Chance", cioè "tutte le ragazze scartate da Tarantini e a cui ho voluto dare una seconda possibilità").
Checco Zalone s'è preso qualcuno dei miei trentacinque euro e mi fatto passare una serata bella. Un po' scomoda forse, con i seggiolini del Forum di Assago fatti a misura di gnomo col sedere di pietra e la schiena ad angolo retto.
Non si è risparmiato, ha giocato tutte le carte che aveva, pescando dal repertorio che l'ha fatto conoscere e offrendo qualcosa di nuovo, in alternativa. Un bravo comico, di quelli che stanno sul palcoscenico come a casa loro, fiutando l'uomore del pubblico e capaci di domarlo o di aizzarlo, come gli aggrada.
Formidabile nelle imitazioni (Vendola su tutti, ma anche Cassano e Saviano), esilarante nelle battute, bravo a cantare e ancora meglio a suonare.
"Volgare" lo hanno definito, ma è un aggettivo usato a sproposito. Checco Zalone non è volgare. Dice parolacce, quello sì. Moltissime parolacce, e non do torto a chi evita di portare i bambini, visto che io stesso ero imbarazzato con Giacomo accanto, che di anni ne ha quasi quindici.
Volgare tuttavia è un'altra cosa. Volgari sono i personaggi che lui imita, volgari i paradossi di questa nostra Italia, che racconta facendo ridere su cose su cui invece ci sarebbe da piangere. Volgare è la cultura che lui mette in scena, interpretando il personaggio del cafone che però, in lui, ha un salvacondotto: il talento e la preparazione di chi si impegna, suda, studia, di chi fin da ragazzo ha passato giorni davanti allo specchio a provare e riprovare una smorfia, una battuta, una scena. Volgare è la finzione mentre lui è una persona vera, genuina, che prima e meglio di altri ha compreso il segreto per avere successo in una società patinata e spesso artefatta: essere sincero, mostrare quello che è, senza maschere o trucchi da prestigiatore di terza fila.
E bravo Checcho. Cozalone, ma artista.
Foto by Leonora
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