Foto by Leonora |
Metto la carta nel mazzo dei pensieri di questi giorni, finalmente sgombri da incombenze e compiti urgenti, aprendo la finestra di casa e appuntando che in un mese hanno fatto un Papa ma non un governo, dato una svolta alla Chiesa e restando invece fermi al palo di uno Stato avvitato su se stesso, sempre meno dalla parte dei cittadini e distante anni luce dai bisogni reali di ciascuno. Perciò me ne sento distante, disattendendo un coinvolgimento per le vicende politiche che ho da quando ero piccolo e conoscere onorevoli e senatori in parlamento distingueva il bambino mediocre che ero.
Il Papa mi piace, pur se temo gli osanna a trecentosessanta gradi che sta ottenendo. Conosco gli uomini e so che ai ramoscelli di ulivo di ogni entrata a Gerusalemme risponde un "crucifige" al primo refolo di vento. Credo che lo sappia anche lui, Jorge Bergoglio detto Francesco, la cui serenità che traspare dal volto è testimonianza di fede assai più delle prediche e dei documenti compilati dallo studioso.
Mi interrogo sulla povertà a cui fa riferimento spesso, sul significato che ha, su chi sia veramente il povero e come possiamo fare per stargli vicino, per essergli prossimo. Assodato che la sopravvivenza è il minimo che deve esser garantito a ciascuno, cioè un bicchiere d'acqua e un pezzo di pane, possibilmente con del companatico, cosa altro occorre a una persona per realizzarsi come donna, come uomo. Il denaro? Quanto? Sono mille i fattori che incidono sulla condizione del sentirsi ricco e sovente dipendono dalla formazione, dalle convinzioni personali o banalmente dal caso, da dove siamo nati, da un posto piuttosto che un altro. Per il ragazzo cresciuto a Beverly Hills la povertà è non poter contare sulla servitù, non avere vestiti firmati, l'auto sportiva all'ultimo grido, per quello che cresce nella baraccopoli di Città del Capo o di Rio de Janeiro la ricchezza è uno stipendio fisso da impiegato e un appartamento pulito. Sono i due estremi e li ho scelti perché nel mezzo ci può stare di tutto. Ciò che mi importa ribadire è che non si può tirare una riga e definire che quel che sta di qua è "povero" e di là è "ricco". Il beato Arlatto, uno dei padri che scelse di vivere meditando, nel deserto, sosteneva che la vera ricchezza non sta nel molto possedere, bensì nel poco desiderare. La penso così anch'io. Credo che la vera rivoluzione sia proprio questa, uscire dall'illusione capitalistica che il denaro sia misura di tutto, dando valore a una dimensione comunitaria che via via è scomparsa, secondo cui dare il proprio tempo, le proprie conoscenze, le proprie energie al servizio del bene pubblico è giusto, oltre che buono. Dobbiamo tornare a un'essenzialità che abbiamo perso, a una sobrietà non imposta, ma scelta da ciascuno. Non sono pessimista, i segni di un miglioramento ci sono, è sufficiente coglierli e saperli interpretare per tornare a guardare il futuro sorridendo.
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