È un lembo sottile, un angolo acuto quello che distingue la discrezione dall’indifferenza, il restare vigili sull’uscio dal celarsi oltre la porta, senza segnali di vita e men che meno mano tesa nel buio.
Me ne accorgo seduto da una parte del tavolo, con di fronte una persona che stimo e a cui per mesi non ho inviato neanche un messaggio.
“Non siamo più insieme, ci siamo separati”.
Lo dice così, senza girarci attorno, esaurito il nicchiare cortese e tutti i tentativi di sviare il discorso, un filo esasperata dal mio incalzare, facendomi sentire uno sciocco.
Per due ragioni.
Non aver neppure immaginato che due persone ai miei occhi così complici potessero prendere strade diverse, recidere l'asse del loro giunto cardanico.
Averlo scoperto soltanto adesso, conscio di esser stato latitante nel mezzo, quando chi è amico ne ha più bisogno.
Vorrei rimediare dicendo molto, mi accontento del poco.
Così guardo chi ho di fronte e in quegli occhi limpidi scorgo non soltanto l’esperienza di milioni di persone, ma anche i miei, quelli dei miei figli, di amici, parenti, realizzando che l’unico reagire alla constatazione del “separarsi” è “stare vicino”.
P.S. Appartengo a una generazione e a un ceto in cui il “lasciarsi” non era contemplato, un’opzione che mancava persino nel libretto di istruzioni per l’uso. Quel mondo, pian piano, s’è sgretolato, e anch’io ho imparato che non esistono soltanto i tasti “on” e “off”, ma un ampio spettro, nel mezzo. Così come ho compreso l’ovvietà che al di là di torti e ragioni la “separazione” comporta quasi sempre sofferenza, dolore, stranianento, disagio. Ecco perché al turbamento che inevitabilmente crea occorrerebbe non aggiungere sensi di colpa, carichi emotivi, ipocrisia, stigma, giudizio.
1 commento:
Che rispettosa e delicata descrizione di un dramma spesso silente, quel non aver chiamato o scritto appartiene a tutti poiché lasciamo che il tempo ci sorpassi con evidenti sorprese. Amo i tuoi articoli! Sono la più bella riflessione
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