Primavera vera. Sole, cielo sereno, prati verdi e fiori che sbocciano ovunque: un mazzetto di viole persino tra le pietre del piazzale d'ingresso. Purtroppo il contemplativo ch'è in me non taglia l'erba, né pota le piante o vanga l'orto, così mi metto di buzzo buono e parte del fine settimana lo dedico alle occupazioni per tenere in ordine il giardino. L'altra sera invece sono stato invitato a Bollate, dal consorzio dei comuni che gestisce parte dei servizi sociali dei paesi limitrofi. Il tema era: "Mass media e affido famigliare: saperi a confronto". Al tavolo dei relatori ero in buona compagnia: il giudice del tribunale per i minori Luca Villa e la psicologa consulente delle stesso tribunale, Cecilia Ragaini. Se ritrovo gli appunti metto sul blog la sintesi del mio intervento ("coda alle edicole" direbbe il mio direttore), qui volevo soltanto aprire una parentesi sugli assistenti sociali, che per i mezzi di comunicazione sono sempre donne, brutte, antipatiche e cattive, perché portano via i bambini. Uno stereotipo assai più diffuso di quanto io stesso immaginassi e che purtroppo trova riscontro nei resoconti dei servizi tg o sugli articoli di giornale. In effetti una così l'ho conosciuta anch'io, ad Olgiate Comasco, ma quando ero ancora un ragazzo (trovai così desolante e abnorme la differenza tra una professione a mio parere nobilissima e l'applicazione che ne dava quella persona, che decisi di diventare io stesso un assistente sociale), mentre la realtà è ben diversa. Innanzi tutto le professionalità sono diverse e ciò che per il giornalista medio è un "assistente sociale" (una "assistente sociale") nei fatti contempla figure diverse: l'educatore, lo psicologo, l'ausiliario socio assistenziale, il dirigente del settore servizi sociali e l'assistente sociale vero e proprio, che in sintesi potremmo definire così: colui o colei che fa da tramite e mette in relazione bisogni e risorse. E poi, è vero che quando frequentavo la Cattolica, con il mio amico fraterno David prendevamo in giro quasi tutte le nostre compagne o le ragazze del secondo o terzo anno, per il look da santa Maria Goretti o, in alternativa, da seguace convinta degli Intillimani, ma (quasi) tutte erano dolci, molto materne, carine e qualcuna bella proprio. Nulla a che vedere comunque con certi personaggi grifagni (ecco, grifagno è un aggettivo ch'è piaciuto molto, quando l'ho detto, a Bollate), del tutto simili alla strega cattiva de "La Sirenetta". Sia detto per amor di verità, a espiazione dei troppi errori dei colleghi giornalisti e ad onore di una categoria spesso bistrattata ma ad altissimo tasso di professionalità, capace di far fiorire il deserto anche con a disposizione poche risorse e aiuto ridotto a zero.
Foto by Leonora
1 commento:
Ti bacio ;-))!!! Purtroppo, però, il discorso è molto più complesso di come lo poni. L'immagine-stereotipo dell'assistente sociale, si nutre, prevalentemente, di contenuti politici, di utenti-pazienti che, portando spesso internamente ferite profonde e separazioni dalle figure di attaccamento, le cercano e le rifuggono allo stesso tempo. L'assistente sociale è, a un tempo, quella a cui ricorrono in prima istanza, quella a cui si consegna la storia della famiglia, quella da combattere per potersi rendere autonomi; è l'indicatore della fragilità.
Dico spesso agli studenti di porsi questa riflessione: se fosse reale questa immagine che i mass media riportano sul rapporto paziente-assistente sociale, chi continuerebbe a svolgere la professione? In realtà è proprio dalle persone che giunge la considerazione maggiore, specie in questo nero periodo politico!
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