Timeo Twitter et dona ferentes. Sì, come giornalista, come professionista dell'informazione, come colui che si guadagna e vuole continuare a guadagnarsi il pane e anche il companatico "facendo sapere alla gente", temo Twitter. E lo temo proprio perché porta in dote doni generosi, che allettano per primo me e che spingono ad utilizzarlo pur se potrebbe essere il cappio che stringo al collo con le mie stesse mani.
Il vantaggio innegabile di questo strumento è che scardina l'intermediazione giornalistica, che per anni è stata esclusiva del nostro mestiere. Per sapere cosa aveva detto, come la pensava il presidente del consiglio o l'allenatore del Milan oppure Bruce Springsteen dovevi comprare il giornale o al più guardare la tv, che riportava frasi o scampoli di intervista, sempre "mediata" comunque, vuoi per le domande fatte e che orientano inevitabilmente le risposte, vuoi per i "tagli" ad hoc, vuoi per la traduzione non letterale del pensiero. Ora questo monopolio non c'è più, basta un tweet perché il campione di basket o il capo di un partito o il preside della scuola possano esprimere quello che pensano e soprattutto "farlo sapere".
Non solo. Se i tweet del singolo è dirompente, addirittura devastante è l'aggregazione. L'insieme dei tweet infatti, se filtrato e interpretato, diventa esso stesso storia, narrazione, con il propulsore di contare non su una, bensì su dieci, cento, mille, milioni di fonti. Un dato di fatto applicabile a qualunque evento e che non si riduce al terremoto o al concerto. Ho già fatto presente altrove che quando partecipo a dibattiti, convegni, manifestazioni ormai il mio modo di prendere appunti consiste nel leggere i tweet altrui ed assemblarli *.
Dico tweet, ma vale per altri strumenti (secondo l'arguta considerazione fatta da Luca De Biase in apertura del suo intervento a State of the Net 2013 di Trieste: "Oggi ho capito che Facebook morirà ma i social network sopravviveranno". Vale anche per Twitter e i social media).
È la rivoluzione tecnologica e non il singolo prodotto che sta cambiando i paradigmi dell'informazione ed è questo mutamento che dobbiamo avere ben presente, perché fuggire è impossibile, mentre negarlo sarebbe ancor più sconveniente.
Da che mondo è mondo "conoscere" è la premessa per affrontare il concorrente e possibilmente sperare di utilizzarlo, di trasformarlo da limite in risorsa, da avversario in concorrente e da concorrente in alleato, per fare ancora meglio il proprio mestiere.
* Saper assemblare i tweet, interpretandoli, scegliendoli, mettendoli in fila e trasformandoli da massa confusa in narrazione non è forse il nostro mestiere? Coraggio, anche se c'è molta nebbia e temiamo che da un momento all'altro ci si palesi sotto i piedi un burrone, molte sono le speranze in un futuro diverso e, perché no?, migliore.
P.S. Questo post nasce in aperta polemica con quanto avvenuto a Trieste, dove i media tradizionali - con la furba ma miope complicità di buona parte degli esperti tecnologici - ha estrapolato uno dei molti dati forniti da Vincenzo Cosenza lanciando note di agenzia e titolando: "Facebook, Google+ e LinkedIn in crescita, Twitter in calo". Quel dato tiene però conto solo dei desktop, non del "mobile", che invece per Twitter è il canale principale. Mi arrabbio moltissimo e insisto su questo aspetto non tanto per la superficialità di resoconto e neppure per l'errore (Twitter è un colosso, se vuole può difendersi in proprio) bensì perché di fatto si minimizza la minaccia, mentre io - a costo da esser mandato a quel paese o, peggio, esser mangiato dai serpenti - preferisco fare il Laocoonte e dire: "Timeo Twitter..."
P.P.S Ho scritto questo post appena svegliato, poi sono andato a correre e mentre correvo m'é venuto in mente di ribadire, di sottolineare di nuovo e meglio il valore dei social media e di come possono essere utili. Lo farò con la metafora del sarto. Fino a ieri il giornalista era colui che tosava le pecore, filava la lana, la tesseva ricavandone stoffe da cui ritagliava e cuciva un vestito. Ora la tosatura, la filatura, la tessitura possono farla anche altri (più diffusamente, più massicciamente e spesso più efficacemente), ma occorrerà sempre qualcuno che sappia tagliare, cucire, realizzare il vestito e in questo i più bravi, gli indispensabili persino, possiamo essere noi, i giornalisti. Ecco perché ai colleghi disorientati, ai giovani che non sanno se in futuro potranno fare questo mestiere dico: non smettete di desiderarlo, raccontare fatti, narrare storie è ancora il futuro del nostro lavoro, badando ad essere un bravo sarto piuttosto che lamentarsi di aver perso il monopolio della tosatura, del filatoio e del telaio.
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